Loredana D’Alfonso su “L’altra metà della notte - Bologna non uccide” di Fabio Mundadori
“Dove sei?” “Al parco” “Com’è il parco?”
Loredana D'Alfonso, collaboratrice di Lèucade |
Inizia così il thriller di Fabio Mundadori, “L’altra metà della notte - Bologna non uccide”, pubblicato nel 2016 con “Comma 21” Editori.
Da un
punto di vista tecnico il dialogo è un flashforward,
un espediente letterario caro ai giallisti, che non si aggancia alle pagine che
seguono, ma che ha l’effetto di trasportare il lettore in avanti, nel punto
cruciale della narrazione.
L’incipit del romanzo è un incubo, un odore
di foglie decomposte, un luogo oscuro e terrorizzante.
La
scena cambia repentina e ci ritroviamo nella realtà, precisamente a Bologna, a fine
luglio nel 1980.
Il
romanzo si muove su due piani, passato e presente e l’Autore intreccia due fili
di colore diverso sullo stesso ordito.
Il
filo blu ci porta indietro, al 2 agosto 1980, alla strage di Bologna ed a un giovane
sovrintendente di polizia, Cesare Naldi, che si trova coinvolto nella tragica
vicenda, restando per una notte sotto le macerie.
Il
filo rosso, invece, ci strappa in avanti nella narrazione e ci presenta il
Naldi attuale, commissario d’assalto, non propenso a finire dietro una
scrivania, sempre pronto all’azione.
L’Autore
ne rivela la crescita precoce, di orfano adolescente, e Naldi ci piace
immediatamente. E con lui, la sua collaboratrice, l’agente Cristina Colombo.
I
delitti si susseguono, il ritmo incalza, e si scopre che la strage di Bologna
non ha lasciato solo morti e feriti, ma anche altri generi di piaghe profonde
che hanno lasciato segni che non si vedono, ma non per questo meno gravi.
E’ il
caso del personaggio di Anna Serra, anche lei sopravvissuta alla strage, con il
marchio indelebile di un disagio psichico mai superato, le fughe nel nulla, le
poesie ispirate alle vittime innocenti di questa oscura pagina della nostra
storia.
Lo
stile è scattante, nervoso, i periodi brevi rendono la lettura incalzante e
scorrevole.
Un melting pot da brivido davvero ben
riuscito. Unisce infatti le caratteristiche del giallo made in Usa (inevitabile l’accostamento a “Il collezionista di
ossa” di Jeffery Deaver) e l’orrore ossessivo caro ai
norvegesi ed in generale ai giallisti scandinavi come Jo Nesbo e Anne Holt.
Bologna
fa da sfondo ai personaggi, numerosi e descritti con minuziosità ed abilità. Lambrusco
e piadine danno un sapore di casa a questa vicenda che si svolge nella città
dei sogni, delle belle ragazze e delle biciclette rubate.
Bellissimi
e struggenti i flash sui quartieri e
i personaggi: il Bar Loris, le birre che faticavano a rimanere fredde
nell’estate torrida del 1980, Bisachén, il senzatetto, che rasente al muro,
alla stazione centrale, con la mano tesa, è testimone e vittima di un segreto
scomodo.
Originale
e toccante l’accenno all’Antologia di Spoon
River di Edgar Lee Master. Vengono i brividi a ricordare la celeberrima “Dormono sulla collina”,
cantata dalla voce malinconica e inconfondibile di Fabrizio De André.
Ogni
passo del romanzo presenta un nuovo enigma, i fili di passato e presente si
intrecciano sempre più fittamente e, a tratti, l’orrore del bosco oscuro e
delle foglie decomposte ricompare con i suoi miasmi fetidi, ci tiene in tensione, spingendoci a finire
più in fretta possibile il libro.
Raymond
Chandler scrisse le dieci regole per scrivere un romanzo giallo e tra queste
quelle che ho sempre condiviso: la storia deve essere credibile, deve essere tecnicamente
solida, realistica, deve avere un valore di fondo, deve avere una struttura
abbastanza semplice nella sua essenza per non farsi scappare di mano il finale e,
infine, la soluzione del mistero deve essere in grado di sfuggire ad un lettore
ragionevolmente intelligente.
Fabio Mundadori
ha scritto un giallo ad alta tensione, credibile, che, come tutti i gialli a
schema classico, risolve la vicenda, rivelando il colpevole con il colpo di scena finale.
Non
possiamo dilungarci perché diremmo troppo, togliendo mistero e fascino alla
lettura, ma mi sembra doveroso fare un primo piano sul protagonista.Convince il
commissario Cesare Naldi, cicatrice sulla fronte, ricordo di quel 2 agosto
1980, sessantenne che dimostra parecchi anni di meno. Segni particolari: un
viso che ricorda Harrison Ford, single
ma sentimentale, con il Creatore - per usare le sue parole - ha un rapporto di cordiale amicizia, ama la
birra rossa fredda e, soprattutto, non molla la presa.
Ha
nella fondina la rigorosa Beretta di ordinanza che considera come una moglie, mentre
la pelle liscia dell’amante è appannaggio della più spregiudicata Glock (pistola semiautomatica progettata negli
anni ’80).
Il
commissario fa sempre di testa sua, questo è sicuro, e non ha nessuna paura di
ricominciare da capo una nuova vita.
D’altronde,
è questa l’unica formula magica dell’eterna giovinezza.
Ed è
anche vero che “solo pensando in grande
che si diventa grandi”.
Dici solo cose giuste, commissario Naldi, arrivederci alla prossima avventura.
Loredana
D’Alfonso
Splendida Lory con questa ennesima recensione ex novo di uno dei testi più interessati che abbiamo presentato negli anni. Stai conducendo un lavoro superbo, Amica mia, dando nuova voce ad autori di grande calibro che si sono cimentati in libri importanti come questo. Fabio Mundadori, bolognese d.o.c., ha scritto un giallo attenendosi alla famosa, irrisolta strage avvenuta nella sua città. E' riuscito, come metti magnificamente in evidenza, a far confluire più storie e a descrivere Bologna in modo visibile. La tua penna sempre più fluida garantisce a tutti i lettori un approccio intrigante ricco di pathos. Io ti ringrazio per questo lavoro di recupero, che testimonia l'impegno e l'amore che nutri verso la nostra attività di operatori culturali. Ti bacio con infinito affetto ed estendo i miei sentimenti al grande Capitano!
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