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domenica 27 dicembre 2020

MARIA RIZZI LEGGE: "CROMIE" DI VINCENZA ARMINO



Vincenza Armino

CROMIE 

Recensione di Maria Rizzi

 

Mi sono accostata alla Silloge “Cromie” della professoressa Vincenza Armino, edita da Guido Miano, in punta di piedi, con pudore e rispetto profondi. Si tratta di un testo introdotto magistralmente dal caro Nazario Pardini e da Enzo Concardi, che mettono in rilievo le particolarità dell’opera e quanto la Poetessa, in virtù del suo talento meriti di essere inserita nella Letteratura Italiana del nostro secolo. La prima impressione che ho provato, scorrendo le liriche, è stata che l’Autrice l’abbia composta con quattro sensi. Il tatto, ovvero l’esperienza materiale dell’esistenza, sembra, e ripeto ‘sembra’, assente sin dalla dedica. “Al ricordo / compagno dell’attesa”. Un viaggio straordinario tra i colori dei sentimenti, tra i profumi, gli ascolti, le immagini che accompagnano le stagioni del tempo terreno. Un romanzo in versi di sfumature emotive, che imprigiona mente e cuore, come il vapore che annebbia lo specchio al mattino, come il calore che sale dal selciato, come il vento d’estate. La prima lirica recita il potere del silenzio e può sembrare un ossimoro in poesia, in realtà è l’incipit della sublime storia d’amore della Armino con il lirismo. Le parole rappresentano spesso un intralcio, in quanto le verità sono nodi nel legno dei nostri corpi, luoghi nei quali il sangue scorre all’indietro:

 

“Parlo

 nei miei pensieri

 affollati.

 Parlo nelle mie ore

 sveglie,

 nei miei momenti

 di abbandono.

 Nelle mie fughe

 nei silenzi,

 parlo.

 E’ forte la mia voce.

 Dentro”

(Lirica “Senza parole”)

 

La Poetessa coglie i misteri e i limiti della vita, ne evidenzia la precarietà e il dolore che derivano dal senso dell’effimero, che “si scioglie / in un bagno / di campiture / vivaci”. La distribuzione delle tinte dell’anima sul quadro spazio - temporale consente di creare il giusto sfondo per aderire alle paure, alle illusioni, alle aspettative, senza esserne fagocitata. La luce è il miracolo salvifico, luce che nelle sue rifrazioni si disperde dando origine alla magia dei colori. Ella procede, da splendida funambola, sul filo dei versi, grazie ai segreti delle cromie interiori. La poesia “Assolo” ne è la dimostrazione. Quattro versi superbi per dipingere l’anima che si districa, come corda di violino, in quella luce e trova le strade più ‘sentite’ per realizzare le proprie fughe.

 

“Ragnatele vibratili,

 lattiginosa luce.

 

 Passaggi segreti

 dell’anima assorta”.

 

L’Autrice possiede il dono di navigare nell’universo dei sensi liberandosi dalle convenzioni sociali. Sa seguire il flusso delle onde con fiera trepidazione. E con la sua poderosa cifra stilistica, che invita a pensare al grande Ungaretti, sa cogliere l’essenza, sa calarsi nel sole dei ricordi e riemergere tra le nubi del presente, confrontandosi con l’ineffabile e l’effimero insiti in ogni esperienza.

 

“Vita che fugge,

sfugge,

cerca,

anela”

(Versi tratti da “Nenie e…)

 

La Nostra procede per sottrazione, sceglie la poesia - frammento, eppure ogni pagina della sua Silloge è esplosione immaginifica. Saper comporre versi come i suoi significa possedere il coraggio di svuotare l’anima e di lasciarla libera di riesplorare il vissuto e di cercare, con ritmo incessante, la natura intima, la quintessenza del proprio universo sentimentale. Ella non teme il confronto con il nucleo delle singole forme di conoscenza della vita. Osa e soffre. Si consuma e risorge, quale Araba Fenice, dalle ceneri delle delusioni, delle amarezze. “il cuore / chiuso in un gemito / sommesso” non rischia atrofie, vibra arde, ‘si rattrappisce’ per poi liberarsi dinanzi ai miracoli poetici della natura. Figlia del mare, l’anima dell’Autrice, ne conosce i segreti, per dirla, parafrasando Charles Baudelaire, ‘contempla i moti del proprio spirito nello svolgersi infinito delle sue onde’:

 

“Sembrerebbe dipinto

il mare,

se non fosse

per le increspature

quasi impercettibili:

leggeri aliti di vita”

(Versi tratti da “Alchimie)

 

I territori della memoria concedono sospensioni al viaggio della cara Armino. Il minimalismo dei versi, compensato mirabilmente da una estensione emozionale che non finisce di sorprendere, trova nella saudade un’apertura d’ali infuocata. Ne è chiaro esempio la lirica “Musica e parole”, diversa dalle precedenti, in quanto pur composta di frammenti, si distende, chiede lo spazio per posare i battiti del cuore sui momenti felici, sul delirio d’onnipotenza, sulla magica certezza che la sofferenza abitasse altrove… deliziosa furia della giovinezza:

 

“E una voce,

lo stradivari di Dio

si leva

a completare

le armonie

 

Come balsamo scende

restituendo

gusto alla vita”

 

Il ritorno al paese della memoria concede al romanzo in versi di acquisire il quinto senso, di trovare la percezione tattile, quasi per il desiderio di arricchire l’universo interiore del colore della fisicità. D’altronde per comprendere i lati oscuri che sono dentro di noi è indispensabile ritrovare quelli radiosi. E devono esistere per tutti cuscini sui quali portino i ricordi, se quest’ultimi sono belli. La Armino sa tornare indietro, per incontrare i sogni, quasi li vedesse per la prima volta:

 

“Luci

in minuscole gocce

di rugiada,

bacche aperte

come bocche

al bacio.

Cespi di fuoco

e paglia.

Scricchiolii.

Teneri abbracci

nei vicoli segreti”

(Lirica “La meraviglia percorre)

 

“I ragazzi si baciano contro le porte della notte”, recitava Prèvert, e la nostra versatile Poetessa sa viaggiare su numerosi registri, rendendo il proprio romanzo un prisma atto a riflettere tanti giochi di colori. In questo spettro emozionale la Armino si misura poi nella verticalità, nell’ascesa verso l’alto, verso la storia di una fede, che è senza spiegazioni, come può essere solo la spiritualità autentica. Ogni certezza è figlia del timore, sangue del dubbio:

 

“Ci provo a parlarTi,

non oso,

misera è la favella.

Spesso Ti ho raccontato

Come se non sapessi”.

(Versi tratti da “Madre Celeste”)

 

Sul finire del viaggio il tatto entra di prepotenza nei frammenti, mentre la Nostra lascia che i ricordi si stringano, divengano simili a una stanza, le pareti della quale tendano a contrarsi sempre di più, finché possa rimanere solo lo spazio per due persone:

 

“Eccoti madre,

a ricucir ferite

sopra la soglia

della tua vecchiaia”

(Lirica “Amore di madre”)

 

Il grembo dona la vita e attende… Inizio e termine d’ogni storia terrena. Siamo nati dal ventre materno, dal grembo di madre - terra, e dal grande grembo celeste della Madre che diede vita al nostro Salvatore. Portiamo i segni, le cicatrici, le lacrime, i baci, delle madri secolari e la protezione della Grande Madre divina. Si muore ogni giorno nell’attesa di rientrare tra le pareti del liquido amniotico, atto a prevenire i traumi, di ridiventare zolla che darà semi e frutti, di tornare nel ventre sacro che accoglie suppliche, interrogativi, timori.

Legata dal filo di Arianna al miracolo di quella ‘casa’, la Armino compone note struggenti per le ultime pagine del suo romanzo in versi o frammenti, che dir si voglia. La penultima lirica l’ho vissuta come specchio, l’ho consumata con gli occhi umidi di lacrime. La Poesia è l’unica Arte che consente simili prodigi. L’Autrice si rivolge ancora alla madre e dimostra come i ricordi nei quali le nostre vite si decidono sono in continuo movimento. I tempi di colpo si uniscono:..

 

“Il tempo ha usurato

 la trama ma io,

 ritrovo te

 avvolta nella seta.

 Anch’io lo facevo

 di nascosto

 vedendomi già grande.

 E’ passato quel tempo.

 Sono io adesso,

 con la tua età

 di allora”

(Versi tratti da “Torna”)

 

Sono entrata nel prisma della Professoressa Vincenza Armino, ne ho colto la miriade di sfumature, mi ha abbagliata e coinvolta in molti stati d’animo e ho preso coscienza, una volta di più, che le parole possono divenire orpelli del nostro vivere. Spesso evaporano dalla bocca prima che si abbia il tempo di pronunciarle. Non saprei dire quali sono dolci e quali salate. Vi è una sola verità, condivisa dalla nostra soave Poetessa: il tempo cresce intorno agli abbracci come un rampicante… Ed è verità dirompente in questo limbo d’attesa.

 Maria Rizzi

 

 

Vincenza Armino, CROMIE, prefazioni di Enzo Concardi e Nazario Pardini, pp.104, Guido Miano Editore, Milano 2020, isbn 978-88-31497-36-7.

 

 

 

2 commenti:

  1. La splendida esegesi di Maria Rizzi su "Cromie" della Poetessa Vincenza Armino mi ha colpito nel profondo.
    Leggere l'Opera è stato, come lei stessa afferma, "un viaggio straordinario tra i colori dei sentimenti, tra i profumi, gli ascolti, le immagini che accompagnano le stagioni del tempo terreno". Le liriche dell'Autrice hanno ispirato Maria a cogliere tutte le sfumature del nostro tempo in questa vita. I limiti, la precarietà, il dolore, ma anche i ricordi e i momenti felici.Maria riesce a catturare il suono dello "stradivari di Dio" che "come balsamo scende restituendo gusto alla vita". Sgrana tra le dita un rosario immaginario, le parole come perle, commentando la poesia dedicata alla Madre "il tempo ha usurato la trama ma io ritrovo te avvolta nella seta". È il tempo dell'inverno, del ritorno nel grembo della terra. Maria, come sempre, riesce a distillare dalle liriche l'anima e il senso e si dimostra sempre più una grande lettrice dell'animo umano.
    Non c'è in lei nessun narcisismo, nessun compiacimento intellettuale, ma solo fuoco creativo, che scalda e trascina.
    Congratulazioni alla Poetessa Vincenza Armino, alla carissima Maria Rizzi ed un abbraccio al Nume tutelare di questa Isola meravigliosa.

    Loredana D'Alfonso

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  2. Lory adorata, tu filtri con l'affetto, che è una lente magica e pericolosa. Io so scrivere soltanto a fior di cuore e quindi ho limiti enormi. La Silloge della professoressa Armino è un capolavoro. Ogni lirica si incastona nell'anima, merita molto di più e ha ricevuto molto di più. Ti sono grata sempre della tua vicinanza 'fisica' - la sento tale -, e ti stringo al cuore, come vorrei fare!

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