Epillio
(Dialogo
sul suicidio
tra un
filosofo e un gesuita)
F.
Quanta
storia! Mi affascina il profumo
della carta
invecchiata. Ci respiro
tutt’intera
una vita.
Figure di
filosofi,
di poeti,
di storici; di ognuno
mi facevo
un’idea. Ricostruivo
immagini di
santi o pensatori
tormentati
dai dubbi più feroci,
isolati
magari nei profondi
loro
turbamenti. Atri pensieri
di violenze
commesse da viventi
senza
ancoraggi, in alcuni, ed in altri
amori
eccelsi sopra soglie umane
d’imprevisti
bagliori.
E proprio
del suicidio
con te
vorrei parlare Don Vincenzo.
D. V.
Brutta
cosa! Non è che la tua vita
da Epicureo
ti abbia stancato?
e che il
pensiero privo d’Assoluto
mediti
strane cose?
Speriamo
che non sia.
Tu hai
bisogno di fede, mio Roberto.
F.
Non sono qui
venuto a confessarti
ripensamenti
estremi. Tantomeno
medito
torva fine. Nel mio credo
ci sono, e
tu lo sai, saldi valori,
altrettanto
vigorosi: l’edonismo,
il paradiso
in terra, soprattutto
l’amore ed
il piacere di gustare
le cose che
natura ci ha donato:
la vita
senza un fine,
la sana
libertà,
con cui
sfruttare il caso irripetibile
della
nostra venuta. Ma quest’oggi
io sono qui
da te per affrontare
il tema del
suicidio nella storia,
mio
Vincenzo. Tu sei un amico colto,
grande
maestro, e in più sommo gesuita.
Con chi
indagare in modo più appropriato
un
contenuto che coinvolge storia,
filosofia,
scienza, psichiatria,
letteratura
o altro; verrà a galla
Saffo, Bruto minore, e prima Jacopo
o Werter o Eloise o perché no!,
L’uomo dal fiore in bocca.
Per citare.
Premetto
che il suicidio è sempre stato
in tutti i
tempi il tema di filosofi,
religiosi e
medici. E le cause
(pur
personali) sono rintracciabili
nei
rapporti sociali ed in culture,
che tanto
hanno influenzato menti umane.
Ti ricordo che
il più antico documento,
a
proposito, è il papiro di Berlino:
la morte si
considera in quei fogli
una gran
sorte di accogliente porto;
liberazione
estrema dai dolori.
E nella
lunga storia poi sarà
a volte
condannato, a volte ammesso.
Furono
epicurei, stoici e cinici
a
difenderlo. Anche Lucrezio amò
l’azzeramento
come libertà.
Ed il
saggio restava indifferente
sulle cose
e la vita.
D. V.
Ma i
seguaci di Platone e di Aristotele
vi videro
un’azione
contraria a
ogni volere degli dei.
La vita è
sacra e per il primo è un dono.
Usurpare
nessuno può agli dei
di ritenere
il diritto che una sorte
sia giunta
ormai alle porte.
Il pensiero
di Aristotele va oltre:
cancellare
non può un’azione umana
i doveri
che l’uomo ha verso i simili.
Il cristianesimo
prese il suo pensiero.
Ma parlare
dovrei anche dei padri:
S. Agostino
e S. Tommaso si ritengono
certamente
contrari a tale pratica.
Grave
delitto in quanto violazione
del
fondamento biblico che è un ordine:
“Non
ammazzare”. L’uomo, ti ripeto,
non ha
nessun potere. Spetta a Dio
creare ed
annullare vite umane.
Tribunali
ecclesiastici sancirono
norme
severe e dure punizioni
per ogni
inosservanza a pensatori.
Età
particolare
fu
certamente quella medioevale.
F.
Offuscava
il tempo, con soffocante
aria di
punizione e di peccato,
ogni
coscienza. E si capisce bene
perché per
lungo tratto quel fenomeno
si fosse
assottigliato. Ma il suicidio
fu visto
solamente
sotto il
profilo etico
e religioso
fino a quella età.
Attendere
dovremo
il
rinascente spirito
e ancora di
più il tempo dei lumi
per essere
stimato
come un
atto di libertà dell’anima.
E ne fa
fede l’opera di Hume;
da noi fu
d’accordo il Beccaria
per
un’azione vista con ragione
e non più
sotto l’azione
offuscante
dei sogni. Ma per Kant ...
D. V.
Kant è ben
altra cosa mio Roberto.
L’osservazione
sua sul suicidio
che fa
torto a se stesso quando ignora
che
l’esistenza (al di là dell’empirismo
di una
persona umana portatrice
di valori
esteriori) è dotata
di una
particolare dignità,
è di radici
cristiane. Ma è tra
i romantici
che esplode il nostro caso.
F.
Veniva il
tempo in cui amore, onore
ed eroismo
furono ideali
che ne
fecero incetta. E tutti furono
simboli di
quella generazione.
E si aggirò
senz’altro sulle sponde
del suo
mare o sui colli solitari
del suo
suolo, con in mente un duraturo
marmo sugli
Euganei, il poeta.
Per lui
deluso, solo la battaglia
più antica
di un eroe con l’immagine
eletta di
un aedo, fece sì
che
vincesse la vita. Lunga storia
da caduco
mortale ai propri versi
lesse esaltato.
Eppure, epicureo
anche lui,
e senza ardore per il regno
dei cieli,
seppe dare ad un sepolcro
eterna
giovinezza. Eppure vide
la durata
dell’uomo nel pensiero
che
tramandò la storia. E così,
il gran
cantore di saffiche stagioni
e della
cruda sorte del minore
dei Bruti,
nonostante divorasse
natura
l’Islandese, amò l’amore
e in Silvia
e in giovinezza; e in arduo modo,
fuori da
intendimenti trascendenti,
esaltò
epicamente
il senso
della vita e propugnò
che l’uomo
si associasse contro sorte.
D. V.
Ma tanto
più serena è l’esistenza
se si vede
la fine
in grembo
al Creatore. Di quei tempi,
di cui hai
portato esempi
da fuoco
degli Uberti, è pure il monito
di colui
che predicò nel grande libro
la mano del
divino e vide il còrso
a dominare
il mondo perché fu
Iddio che
lo volle. Più sereno
fu
certamente l’animo dell’uomo
che
s’impegnò civile e religioso
verso mete
di fede e di speranza.
F.
Più eroico
però di certo è il ruolo
di quelli
che notarono convinti
nella vita
terrena uguale sorte
per ogni
mortale. Ed in loro,
sfortunati
di fede, fu senz’altro
più
apprezzabile lo sforzo di assegnare
all’esistenza
un impegno e un dovere.
D. V.
è il filosofo estremo ad
affermare
che è
attraverso il suicidio che un vivente
confermerà
il dominio sul volere
senza
esserne schiavo. Esistenziale
sarà il
problema. E tanto crescerà
lo sfronto
tra l’esistere e la vita
che
aumenteranno i dubbi. Facilmente
si ridusse
alla morte in un albergo
chi non
vide possibile
risplendere
la luna sui falò.
E proprio in
questi tempi puoi notare
quanto sia
duro il fatto dell’esistere.
Quanti
dubbi imperversino in viventi
soltanto
inariditi
da scopi
materiali. I nostri giovani
li vedi
spersi e incerti vagolare
in mondi
defraudati dello spirito.
F.
Penso alla
civiltà d’Oriente. E a quanto
sia diversa
la prassi nei confronti
del
suicidio. Accettato, spesso acquista
funzione
religiosa, laggiù. In Cina
ha valore
di protesta contro offese
di disonore
pubblico
per chi
l’abbia commesse. Ed in Giappone
moralmente
non era condannato;
diventava
una vera cerimonia
di
“harakiri” che
(a volte,
morendo l’imperatore)
portava a
suicidi collettivi.
Questo è un
solo esempio.
D. V.
Mentre il
Buddismo è in linea generale
contrario a
tale atto. Ché si pensa
non possa liberare
dal circuito
delle
reincarnazioni. Solamente
si ammette
che (se un monaco si sente
di avere
ormai raggiunto la beata
contemplazione)
il religioso possa
compiere il
gesto estremo con il fuoco.
è in India che si aggiunse
anche una pratica
(detta “sutuee”):
imponeva
di seguire
alla vedova sul rogo
il corpo
del defunto. Come vedi,
per chi era
nei paesi più diversi
altrettanto
diversi erano gli usi.
F.
Se mi
permetti voglio completare
con note
più precise
riguardanti
la scienza. Solamente
a partire
dal secolo di Freud
viene
affrontato l’atto suicidario
con ottica
medica e scientifica.
Tutti gli
aspetti sono contemplati:
il diritto
dell’uomo,
la libertà
di scelta,
fino ad
ogni forma preventiva
con studi
sia di psiche che di ambiente.
D. V.
La psichiatrica
tesi di Esquirol,
ripresa da
Brondel ed alienisti,
portò alla
conclusione
che il
suicidio è una conseguenza
d’infermità
mentale, temporanea.
Fu una
condivisa affermazione.
F.
Anche
Virginia Wolf era ammalata?
Disse di
sé: “Mi sento come un cumulo
di sabbia
sotto un’onda.” E proprio l’onda
recise la
sua età
galleggiante
nel rischio.
Forse
doveva attendere
che il
destino giungesse
a recidere
il filo: una tempesta
per
Schelley, una stazione per Tolstoj,
(la stessa
conclusione per Karenina)
o una
povera spina di una rosa
per Kilke.
Ma per Virginia forse
fu
possibile soltanto epigrafare
l’idea di
libertà in “death by water.”
E qui da
noi che dire sul problema.
In Italia è
follia? Ma di chi?
Degli
indagati o degli indagatori?
In un paese
dove cresce il numero,
vi cresce
la pazzia?
È malattia di mente o è il
sistema
che non
funziona più, il potere occulto
che occulto
più direi.
L’ultimo è
Lombardini (e lo speriamo)
dopo
Gardini, Cagliari, Amorese,
Moroni,Vittorìa;
questi indagati
non ressero
al tormento. In prospettiva
di un
calvario così triste delle indagini,
e di una
risonanza,
che un
fatto può ottenere nei mass-media,
Lombardini
ha scelto la sua fine.
Mi hanno
insegnato a scuola ed ho insegnato
che alla
base di un mondo democratico
vige la
divisione dei poteri.
Non è così.
Il sistema è squilibrato.
Ed anche un
grande uomo
ha dovuto
sottostare agli ostacoli
di lotta
burocratica e politica,
che taluni
individui
gli volsero
contro con superbia.
Dimostrò
lottando che la storia
della prima
repubblica non era
del tutto
da gettare. E quanto fosse,
al
contrario, opinabile e illusoria
l’onestà
della seconda. Che illusione!
Il piccolo
cimitero di Hammamet
lambisce il
mare e assorbe quelle aurore
che
aspergono le coste dell’Italia.
Volge lo
sguardo a Oriente,
le spalle
ad Occidente
inebriandosi
dei canti
degli
inquieti gabbiani.
è là che, morto, vive un
Italiano
in un
perpetuo esilio della mente
rivolta
alla gente del suo cielo.
Guarda
lontano che si levi il sole.
Forse gli
porterà note e portali
di Verdi,
di Puccini e del Vasari.
Da questa
parte
se vuoi
vedere l’alba
gli devi
volgere le spalle di vergogna;
per
guardare il tramonto
sei
costretto con gli omeri a una patria
rossa nelle
facciate e sopra i tetti
di un’aria
che ricorda altri sospetti.
19/01/2000
RICEVO E PUBBLICO
RispondiEliminaCaro Nazario, sei coraggioso come lo dovrebbe essere qualsiasi poeta che si rispetti e non si limiti a parlare di tramonti e fiorellini ma esprima le proprie opinioni anche se possono essere controcorrente. Questo poemetto in morte di Bettino Craxi – che non so se si sia suicidato come tu lasci intendere – oltre a essere intriso di un'enorme cultura ha momenti di grande lirismo soprattutto nel finale nel parallelismo dei due luoghi dove lo statista è vissuto. È una denuncia forte e drammatica la tua, un “J'accuse” preciso senza fraintendimenti che tu lanci nelle ultime strofe del tuo scritto. E lo fai con una leggerezza sorprendente quale solo un grandissimo artista, quale tu sei, può fare. Non so se la data che tu metti in calce allo scritto sia quella effettiva del componimento oppure serva solo per rendere evidente, senza nominarlo, di chi si parli. E mi piacerebbe saperlo perché normalmente noi scrittori con il tempo perdiamo smalto mentre tu ogni giorno ci stupisci con nuove invenzioni.
Credo che, al di là di ogni considerazione, dovresti far pervenire in qualche modo questo tuo poemetto ai figli di Craxi. Te ne sarebbero certamente grati.
Carla Baroni
una carrellata che apre la mente a numerose osservazioni, tutte pregne di valori caleidoscopici. Hai toccato le corde della memoria e dell'ingegno con il passo rapido e sicuro di chi entra nella storia per suggellare valori assopiti! Da rileggere!
RispondiEliminaIn questo poemetto lo Straordinario e Unico Prof. N. Pardini, al massimo della Sua maturità anagrafica, culturare, etica, di fede, morale e perchè no psicologica (quando cioè si iniziano a pesare sulla propria stadera i pro e i contro del proprio vissuto) descrive, in una prosa versificata o in versi volutamente quasi in prosa (vedi a confronto la Sua "La piena del Serchio", una seguenza inarrestabile di interrogativi, domande, di quesiti, dei perchè e dei come prettamente esistenziali che solo un uomo che personifica la Cultura a 360 gradi può chiederseli e tutti. Come Dante nella Divina Commedia si pone a latere di un suo pari (Virgilio), così il Prof. Pardini si pone a fianco un Gesuita-teologo dove il dialolo con lo stesso acquista una profondità di pensiero non comune ed insolita nel contemporaneo, se non per gli adetti ai lavori. Estasiato, di tanta capacità dialogica-espressiva, trasborda nel lettore tutti quei suoi perchè per una propria meditazione esistenziale che l'uomo, in quanto tale (entità di pensiero), ha forse il dovere o la necessità di porgersi per chiedere a se stesso il perchè in questa -esiste-.Pasqualino Cinnirella
RispondiEliminaNazario mio, continui a lasciarmi basata con il tuo eclettismo e la tua capacità di cimentarti anche su tematiche di rara difficoltà. In questo breve poema d'indole epica, scritto rispettando rigorosamente i canoni poetico - narrativi dei testi greci, per l'esattezza alessandrini, esplodi con un problema come il suicidio mettendo in rilievo i sostenitori e i detrattori dello stesso. Il tuo è un viaggio condotto in forma di dialogo, come si addice allo stile ellenico, tra un filosofo e un padre gesuita sui vari pensatori, poeti, narratori e sulle loro posizioni etiche. Tra coloro che sostengono il libero arbitrio nel porre fine alla propria vita citi la poetessa Saffo, che saltò dalla rupe della tua magica Isola; il Bruto minore della canzone leopardiana; lo Jacopo Ortis delle Ultime Lettere di Foscolo; e il protagonista della novella di Pirandello "L'uomo dal fiore in bocca". Ti soffermi sulle correnti religiose, filosofiche, politiche, sulle scelte individuali più o meno opinabili e, come sottolinea Carla con la consueta splendida fierezza espressiva, arrivi al leader politico dei nostri tempi, Bettino Craxi, che 'ha dovuto sottostare agli ostacoli/
RispondiEliminadi lotta burocratica e politica,/ che taluni individui/
gli volsero contro con superbia". Di fatto esprimi il tuo parere, con il coraggio che ti contraddistingue e, alla luce delle vicende politiche attraversate negli anni, credo sia velleitario darti torto. Sul suo suicidio ho le mie perplessità, in quanto sembra sia morto d'infarto, dopo lunghe sofferenze cardiache, ma il cuore, si sa, risponde spesso alle ragioni del vivere. Ed è indubbio che Bettino Craxi rifiutasse l'esilio e continuasse le sue lotte da Hammamet. Gli ultimi versi si infuocano del tuo ardore di Uomo e di Poeta, descrivi il letto di morte del leader italiano e io mi lascio andare con il pensiero a Borges e al suo assunto: "Nessuno e la Patria. La Patria è un atto perpetuo come il perpetuo mondo". Nessuno perde le radici, Amico immenso, le piantiamo nei cuori di coloro che amiamo. Un poemetto travolgente che meriterebbe intere pagine di autentica critica. Ti chiedo scusa per la mia pochezza e ti ricordo che rappresenti la partitura delle mie giornate. Senza di te mi sento muta. Ti stringo insieme ai miei illustri compagni, Carla e Antonio...
Il mistero Pardini continua…
RispondiEliminaDa sempre, trattare e parlare del suicidio è stato è, e continuerà ad essere, un argomento del quale non si può parlare a cuor leggero.
In questo “Epillio” (poema epico), lo storico e umanista illustre Prof. Pardini osa parlarne con la leggerezza tipica del volo di una farfalla o di un passo di danza leggero come quello di cui solo un’abilissima ballerina di danza classica è capace.
Non serve sapere quando è stato composto e non ci interessa neanche conoscere il motivo o la persona per cui o per il quale è stato scritto.
L’autore, in questo mirabilissimo saggio, varca i confini di ciò che è, apparentemente semplice, e allo stesso tempo complesso, dando senso al fatidico “Consenso informato” contrapposto “all’Accanimento terapeutico”. Argomenti che hanno riguardato e riguardano l’etica e la morale corrente di ogni tempo con gli infiniti temi e problemi a cui sono legati.
Per chi crede in un Ente Supremo, il suicidio è un gesto da condannare e per chi non crede pure ma, non v’è dubbio alcuno che, coloro i quali ne sono coinvolti, per forza di cose, ne vengono stravolti.
Solo un grande maestro di vita può calcare il sacro sentiero che porta alla illuminante verità del “Libero arbitrio”.
Ma Egli, alla maniera tipica dei grandi scrittori e saggisti, vi si inoltra camminando con il passo leggero dei Suoi inconfondibili versi intrisi di poesia pura e vera.
“Essere o non essere” è stato e continua ad essere il dilemma di sempre ed il bravo autore di questo immaginifico dialogo ne sa fin troppa di filosofia e storia per evitare di trattare un argomento così spinoso e delicato. E non vi è tempo, era ed epoca in cui l’uomo, unico essere pensante, non si sia cimentato con il suicidio, seppur senza mai arrivare ad un approdo certo e sicuro.
Ciò nonostante l’Illustre prof. Pardini, ne parla senza timore alcuno, con la leggerezza e la grazia di un grande maestro di vita quale egli è e sa di essere.
Chi legge questo saggio non può fare altro che inginocchiarsi e piegarsi di fronte a cotanta bellezza. Quella bellezza di cui parlava Dostojewsky, nota solamente a coloro i quali è stato dato il dono del talento naturale scaturito dall’immensa cultura che li ha resi grandi per sempre.
Il Prof. Pardini è uno di questi.
Un grande del nostro tempo che non ha, né avrà mai perso il Suo tempo a giocare con le parole in quanto queste, pur essendo state scritte, non sono altro che musica armonica e melodica nelle Sue poesie fino a diventare addirittura sinfonie in questi poemetti epici nei quali Egli, di tanto in tanto, si diletta.
Mi sarebbe piaciuto veramente conoscerlo di persona un uomo di così alta cultura poiché se non altro sarebbe valsa la pena vivere anche solo per poter dire che al mondo esiste quello che io definisco un vero e proprio mito del nostro e di ogni tempo.
Grazie mille di esistere professore, l’ho sempre ammirata e continuerò a farlo fino alla fine dei miei giorni. La ringrazio molto così come, infinitamente, ringrazierò gli amici che mi hanno dato la possibilità di conoscere i Suoi magnifici componimenti.
Josye Traulcer
RICEVO E PUBBLICO
RispondiEliminaCaro Nazario,
una volta di più sono meravigliata e stupita dalla forza della tua scrittura poetica. Chi ti segue ben conosce la ricchezza e la varietà del tuo itinerario proteiforme, ma questa volta mi hai stupito per la forma del poemetto, anzi dell’epillio, come dottamente intitoli, per l’argomento e per l’articolazione dei pensieri... alla fine di un anno così catastrofico da indurre molti a consentire all’ipotesi di un ultimo viaggio verso “accogliente porto”.
È sempre il tuo amore per la letteratura quello che prevale, quello per “la carta invecchiata”, ma in questo caso è espressione di grande turbamento anche per te, abitualmente e stoicamente sereno.
Ci ritrovo la tua attività di studioso, la tua grande cultura, il tuo passato da insegnante. Eccoli comparire allora nel loro succedersi storico i grandi suicidi : Saffo, Bruto minore, Jacopo, Werter o Eloise, Pirandello…. E poi la riflessione geografica e geopolitica, possibile di infiniti approfondimenti.
Concludi con un caso politico per te significativo, ma molto molto controverso.
Perdonami: avrei terminato con un cenno o forse più alle donne, le tante donne disperate, le poetesse dalla parola negata che non hanno retto all’angoscia, come A. Pozzi, A. Rosselli, A. Storni, A. Pizarnik, S. Plath, A. Sexton M. Cvetaeva…c’è solo l’imbarazzo della scelta.
Un sereno anno nuovo, nonostante tutto. Ricordandoti con affetto.
M. Grazia
RICEVO E PUBBLICO
RispondiEliminaNOTA DI COMMENTO SU “EPILLIO”, DIALOGO DI NAZARIO PARDINI.
Due figure emblematiche, un filosofo e un gesuita, ossia un religioso colto e “ragionatore”, dialogano sul tema del suicidio in questo “Epillio” di Nazario Pardini riprendendo idealmente il leopardiano “Dialogo di Plotino e Porfirio” delle Operette Morali. Leopardi vi aleggia anche nelle citazioni del “Bruto Minore” e dell’ “Ultimo canto di Saffo”, ma molte sono le fonti e le figure letterarie inerenti al tema che il poeta toscano aduna nel suo breve ma intenso dialogo.
“Ma tanto più serena è l’esistenza, se si vede la fine in grembo al Creatore”. Con queste illuminanti parole il gesuita Don Vincenzo introduce la figura del Manzoni, ”colui che predicò nel grande libro la mano del divino”, l’autore forse più vicino alla sensibilità e alla cultura di Nazario Pardini.
Partendo dal testo apocrifo del “papiro di Berlino”, tutto l’immaginario della sua formazione letteraria, un’ideale compagine di letterati ( Lucrezio, Leopardi, Goethe, Foscolo, Manzoni, Virginia Wolf, Shelley, Tolstoj, Rilke, Pavese…), di filosofi ( Epicuro,Platone, Aristotele, Tommaso e Agostino,Hume, Beccaria, Kant, gli esistenzialisti…), di uomini di scienza ( Freud, Esquirol,Blondel, gli alienisti,…) e le religioni e le culture d’Occidente e d’Oriente, sono citate e convocate a testimoniare sulla “vexata quaestio”.
Non si tratta di una congerie disordinata e neppure di una mera elencazione di nomi: il dialogo, nel suo insieme, risulta piuttosto come una sorta di caleidoscopio filosofico, dove i bagliori di ogni posizione ideologica si succedono e si riflettono, venendo a contatto e interagendo fra loro.
Fra le rivisitazioni letterarie forse manca quella, conturbante e penetrante, del monologo dell’Amleto scespiriano, così carica com’è di quella indeterminatezza, di quella vaghezza che è propria della poesia.
Nell’ultima parte Pardini, abbandonando gli ambiti dell’immaginario iconografico letterario, irrompe a sorpresa nella cronaca politica della recente storia nazionale, citando per nome alcune delle vittime suicide della cosiddetta “tangentopoli”, per chiudere con la commemorazione, polemica e visionaria, del rappresentante emblematico di quel “dies irae” giudiziario, di quella stagione sanzionatoria e apocalittica che molti ingenui salutarono come un’alba di giustizia: Bettino Craxi, morto esule in terra africana.
Cosa sia mai dunque il senso del suicidio, la rinuncia volontaria all’immenso dono della vita?
Idea o atto? Libertà o costrizione? Opportunità o condanna? Santità di martire o peccato di empio? Coraggio o viltà? Dissennatezza o affermazione ultima della volontà? Cieca disperazione o dignità suprema? Eroica ribellione alle persecuzioni della sorte o perdizione miserabile e senza appello?
Ponendo questi dilemmi e argomentando su di essi, i due dialoganti passano in rassegna i testimoni delle epoche e delle culture della storia dell’uomo.
Col suo “modus scribendi” sobrio ed epigrafico, aristotelico, quasi compilativo, squisitamente colloquiale, alieno com’è da enfasi ed iperboli, in quest’opera straordinaria che si richiama al modello leopardiano, Pardini dispiega e illumina un panorama culturale grandioso e stimolante.
Questo dialogo non appare come una dissertazione trattatistica e comunque, a ben vedere, resta sul terreno dell’aporia e non vuol dare risposte definitive.
Appare piuttosto, per l’inclito e per l’incolto, come una chiamata a riflettere. ad approfondire, un invito a prendere coscienza riguardo a un tema cruciale del pensiero umano .
Un lievito culturale, un’occasione da non perdere.
Luciano Domenighini
1 gennaio 2021
RICEVO E PUBBLICO
RispondiEliminaCarissimo Nazario, ti invio queste mie riflessioni dopo la lettura del tuo Epillio.
Se non dovessero piacerti puoi non pubblicarle.
^^ Leggo alcuni commenti su la più recente (?) opera di Nazario Pardini.
Leggo e prendo atto di quanto si dibatte su questo Epillio squisitamente letterario.
C'è un Pardini filosofico? certamente sì, perché l'argomento anche nella sua stessa strutturazione ha tutti i motivi di una argomentazione etico-religiosa.
Leggo interessanti e dotte "spiegazioni" di un problema dibattuto nei vari secoli della Storia , fin dai primi filosofi greci. Leggo anche qualche appunto di personale approfondimento...;
ciascuno degli scrittori dichiara la sua stima e ammirazione nei confronti dell'Autore, che ancora una volta sorprende i suoi lettori con un'opera "nuova". Tutti concludono poi con il plauso di affettuoso stupore per l'uomo di immensa cultura che scrive con versi leggeri persino un dettato tanto austero.
Io, che non mi ritengo una esperta di scienze filosofiche né una accreditata scrittrice critica per un lavoro tanto specifico, non riesco a staccarmi dal mio pensiero fondamentale, sempre attratta dalla costante ricerca dell'Uomo.
Pardini filosofo? Pardini uomo di immensa cultura? Pardini poeta? Sì, tutto questo non si può negare leggendo questo Epillio. Certamente il Professor Nazario Pardini è tutto questo!
Ma perché ancora guarda e analizza, anche se questa volta non direttamente , lo scomodo personaggio Thanatos?
Qui la presenza di Thanatos è ancora più inquietante, si nasconde dietro il lato più complesso della eterna lotta con l'uomo: la forza del suo pensiero. Per Pardini oggi non conta la partita a scacchi con la Morte, c'è in gioco molto di più: c'è il dubbio.
E forse il dubbio è più interessante di una certezza cui non si può sfuggire.
Dunque è questo l'argomento che richiama il suo poiein.
Perché Pardini è e resta comunque "il Poeta"
Concludo questa mia breve nota di riflessione affermando ancora una volta che l'animo del vero Poeta è votato nunc et semper esclusivamente alla sua Musa.
Perciò grazie, amico Poeta, che sai così bene subordinare alla Poesia qualsiasi altra forma di pensiero.
Con immensa stima e grande affetto,
Edda Conte