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sabato 6 febbraio 2021

ADA PRISCO LEGGE: "ULTIMI PENSIERI" DI LUCIANO POSTOGNA


Luciano Postogna

ULTIMI PENSIERI 

Recensione di Ada Prisco

 

 

Il filo dei mesi raccoglie questi Ultimi pensieri di Luciano Postogna, editi da Miano Editore (Milano 2020). I mesi fungono da contenitore ideale: è questo un modo per scandire il tempo o tradisce il desiderio inconfessato di congedarlo il prima possibile, accompagnandolo alla porta, paltò al braccio? È un tempo dal respiro corto, si snoda da marzo a luglio del 2020, anno fatidico, di fatto trascorso, in parte ancora in agguato.

Luce e buio portano il passo della raccolta, attraggono in un’atmosfera, non disponibile a concedersi del tutto. La loro alternanza che si palesa a tratti come commistione proietta in una dimensione primordiale, quella in cui nulla esisteva e tutto ha avuto inizio. E ci fa riflettere sul fatto che in alcune stagioni questo processo può riprodursi nel cosmo che è dentro di noi. Si manifesta attraverso il dubbio, il desiderio embrionale, l’ardore gemellato al timore. Sa di inizio, ma anche di fine. È paradossale: la raccolta si presenta come dedicata al tempo, cadenzata dalle stagioni, ma in sostanza ne palesa l’insufficienza. Si è portati legittimamente a ipotizzare che l’organizzazione umana del tempo, la smania a strutturarlo in giorni, settimane, mesi anni, corrisponda all’esigenza di chiarezza, di sicurezza, persino di controllo. Le epoche più difficili, però, smascherano questa ambizione e la umiliano, ricacciandola nell’angolo. La durata del tempo si misura nella sua qualità, che talvolta risulta veramente ardua da valutare, talaltra appare assente. E l’essere umano continua a cercarla, nei modi più svariati.

E così si mette più nitidamente a fuoco quanto è più lontano, mentre nel perimetro spazio-temporale più immediato la vista si offusca, cala il buio, si procede a tentoni. Bella e ben descritta la scena del componimento di apertura.

 

“Nitide vedo … nelle stelle

la mia malinconia, la mia ansietà,

la mia tristezza e tutte le mie paure.

Madido aspetto il sorgere del Sole” (p. 14).

 

La realtà si presenta a livelli intrecciati fra loro, con livelli diversi d’intensità. I sentimenti personali occupano il fluire di una sorta di eterno presente, ma il loro ricordo si acuisce di notte, “una buia notte senza fine (p. 14).

È suggestiva questa lettura che trasfigura sensazioni ed esperienza, restituendole, nella metafora delle stelle, come un complesso di luce e orientamento, da un lato, di influenza duratura che grava sulla notte dell’essere senziente.

L’io narrante indugia nella meditazione, si dispone all’ispirazione, che cerca in compagnia della natura. Quante ispirazioni potremmo raccogliere addentrandoci in un analogo esercizio di approfondimento della quotidianità collegato al contatto con la terra, l’acqua, l’aria, il fuoco. È una poesia dello spazio aperto, che cerca l’interiorità per riflettere in maniera compiuta il proprio fascino.

Lungo la lettura si odono tante altre voci, quelle armonizzate con maestria lieve dai grandi poeti del passato. Quanto deve essersene nutrito l’autore! Il componimento non si affida esclusivamente alle parole e ai loro suoni, si tuffa oltre, si dimostra abile di una particolare arte pittorica, che ritrae la scena, fino ad alleviare alla fantasia del lettore ogni fatica. Il poeta è capace di aprire la scena, come levando un sipario e conducendo immediatamente in un quadretto perlopiù agreste, devoto del raccoglimento della campagna di una volta, forse espressione di quella pace interiore sola in grado di placare l’ansia che coglie rispetto al domani, avvolgendo in una coperta intessuta sì di luci, ma nel cielo scuro della notte.

L’orizzonte appartiene a un’alterità completamente diversa che interviene a ridimensionare il ritmo del giorno, le stagioni dell’anno e anche l’alternanza di giorno e notte dell’animo, smarrito sempre per via di qualche affanno. Quanto gelo nell’anima! La pelle, però, non manca di esporsi alla carezza del sole. Le stagioni sono realmente dentro di noi, anche se questa poesia non si chiude mai in un solipsismo. Al contrario trae nutrimento da interlocutori esterni in un continuo gioco di specchi, di riflessi, ma anche di scambi docili, nella disponibilità a lasciarsi modificare, persino nell’attesa fiduciosa che qualcosa di buono giunga in virtù di questo scambio naturale tra vasi comunicanti.

È pur vero che questi versi attecchiscono più spontaneamente nel clima incerto, nella malinconia della pioggia autunnale. La luce non deve essere troppa. Scemerebbe altrimenti l’esigenza della sua ricerca e non s’aprirebbe quella ferita da cui trapela la luce della musa, come se questa provvidente accorresse a sostegno di chi è prostrato dall’affanno dei giorni uguali a se stessi. La letteratura compie e fa compiere un salto di qualità che trasforma la routine quotidiana in qualcosa degno di essere vissuto. E non c’è tristezza che vince questo slancio appassionato che raggiunto la vita, approda alle sue braccia con la confidenza ottimistica con cui il bambino si sente protetto fra le braccia dei propri genitori.

Colori, sapori, movimenti ciclici narrano una storia che scorre ineluttabile, infonde l’impressione di sapere da che cosa è preceduta e che cosa la seguirà. Non le somiglia la famiglia di ricordi, la percezione di quanto aveva promesso di rimanere per sempre, ma non si è più visto. Tutto è placido. Nel mondo del Nostro nessuno alza la voce, anzi regna il silenzio. La voce è diventata fatto, proprio come in principio. Questi versi appartengono alla fase che non cerca né potrebbe accontentarsi delle definizioni. Si esprime liberamente, per quello che è.

È una realtà che è legata alla terra, ma che non se ne lascia appagare del tutto, perché discretamente volge lo sguardo al cielo e sa anche superarlo per raggiungere il paradiso (p. 56) e ivi rinvenire finalmente la radice della speranza e la cornice unificante del tempo e degli affetti. Malgrado le apparenze, gli elementi vari in cui natura e cultura magistralmente si articolano non sono slegati né isolati. Ragione e fine non mancano. Il mondo naturale è come intrecciato in una speciale affezione, che ci fa udire e assaporare il mondo raccolto delle miniature, il tepore delle dimore essenziali ma accoglienti di una volta.

La tenerezza diventa espressione della poesia e ci si sente tutti un po’ parte di questo mondo, che, d’un tratto, da maestoso, diventa bambino e trova scudo e valore nei versi, che ricordano tanto le nenie sussurrate ai piccoli per non far sentire loro il trauma della notte, per accompagnarlo con dolcezza nel mondo del sonno, fra le braccia del sogno:

 

“Or fa notte,

dormi Natura

sotto un manto di stelle

e di una Luna piena

che nel lago si specchia” (p. 62).

Ada Prisco

 

 

 

Luciano Postogna è nato nel 1942 a Trieste, dove a tutt’oggi risiede. I suoi primi versi risalgono alla fine degli anni ‘50 quando, ancora studente, componeva per i giornaletti studenteschi. Le prime raccolte di poesie sono datate anni ‘70 e rimaste nel cassetto per quasi trent’anni: alla stregua di un diario intimo che memorizza i sentimenti e i ricordi del poeta. Solo nel 2000, infatti, Postogna comincia a divulgare e pubblicare le sue poesie, sia giovanili sia quelle scritte fino ai giorni nostri. Nel 2000 esce la sua prima silloge, intitolata Pensieri nudi, seguita da Ali d’Arcangelo (2000), Raggi rossi al tramonto (2001), Anatomia del vento (2002), Oltre ogni orizzonte (2003), L’ombra dell’anima (2006), Antologia (2020), Ultimi pensieri (2020).

 

Luciano Postogna, ULTIMI PENSIERI, prefazione di Nazario Pardini, Guido Miano Editore, Milano 2020, pp.88, isbn. 978-88-31497-37-4.

 

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