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mercoledì 26 maggio 2021

PATRIZIA STEFANELLI E NAZARIO PARDINI: "LA DIMENSIONE UMANA DELL'ESISTERE"



Le poesie di questa silloge sono state scritte in pochi giorni e, a parte la correzione di qualche refuso, non hanno subito alcuna manipolazione per non sciupare l’intento giocoso.

Il genere epistolare adottato, diverso da altre espressioni prosastiche, pur mantenendo un formulario stilistico non improvvisato, ha un procedimento spontaneo, un flusso di coscienza che rispondendo ai versi, volta per volta, resta sì aderente al testo, ma riesce a staccarsene per riflessioni sulla vita vissuta e la contemporaneità. La quotidianità rientra ampiamente nei dettati qui esposti, sostenendo il valore degli affetti e dell’amore; in alcuni passaggi si sfiorano il senso anagogico, satira e ironia con la consapevolezza delle nostre imperfezioni, e della vanità del tutto.

Il registro colloquiale adotta il codice comunicativo adeguato alla comprensione, così come si fa normalmente con un interlocutore, risolvendo e introducendo questioni, domande e risposte, ma mai adattandosi alle aspettative dell’uno o dell’altro. Il viaggio intrapreso in concinnità è diretto alla poetica pardiniana e si concentra, soprattutto, sull’interpretazione dei suoi libri: “Dagli scaffali della biblioteca” (Guido Miano Editore-novembre 2020) e Alla volta di Lèucade (Mauro Baroni Editore – Settembre 1999).

 

 DAL TESTO:

(...)

Nazario, ore 18:00

 

Parlerò della mia malinconia,

di quella che ti acchiappa e non ti molla,

di quella dolce e sana che ti dice

di ragionare a lungo del suo prato,

di quello che ancora regna dentro,

di quando si correva fino al cielo

per arrivare a un bacio che incontrava

stelle lucenti in seno ad un sentire

che cresce a dismisura e non dà pace.

Parlerò della mia malinconia

che si fa strada in mezzo a fiumi e fossi,

di quando si saltavano impazienti

di giungere al capanno di cannucce

che per noi era il regno degli dèi.

Ti parlerò…


 

Patrizia, ore 22:12

Tu dimmi, ascolterò

poiché non ho ricordi malinconici

che siano dolci e sani

se non di pochi sprazzi

in cui la gioia

era cullare mio fratello che

aveva un orecchiuccio un po’ attaccato.

Morì che aveva un anno.

Conservo, ora, la stoffa della culla.

Poi venne Sandro; mi attendeva quando

tornavo a sera tarda dal lavoro

e sorrideva in fondo a quel pulmino

che a casa dall’asilo lo portava.

Il capo biondo e gli occhi come il cielo.

Morì anche lui – ed io pregavo tanto –

che aveva cinque anni.

Non ho malinconie da raccontare.

Memorie di ricordi e sangue amaro:

figlia di istriana profuga e di affanni

figlia venuta a caso, forse amata,

da madre stanca, mai più rassegnata.

Non ho malinconie da raccontare.

Poi del collegio i giorni

passavano con le ics su una schedina.

Io le mettevo in fretta, che fortuna!

Ma mamma non veniva.

Non ho malinconie da raccontare.

I giochi miei? Una bambola: Esmeralda,

distrutta da mio padre. I giorni belli?

Son quelli dei miei figli; e, sai, il più giovane

maestro è di chitarra.

Non ho malinconie da raccontare.

 

 

Nazario, 26 febbraio ore 10:20

 

Io ho quelle di mio padre e mio fratello,

sono scomparsi prima che potessi

dare loro l’ultimo saluto.

Mi porto dietro l’immagine di loro

che mi chiedono il perché di questo addio

ed io non so, non so che cosa dire,

dacché il dolore per averli persi

mi accompagna ogni istante della vita.

Quindi vado spesso sul fiume

o in mezzo ai prati, tra i giganti platani

dove spesso giocavamo a biglie.

Li rivedo con me sorridenti

per avere fallito una misura

ma ci ridevano sopra e mi

prendevano in braccio scanzonati

senza pensieri. La vita scorre via

cara fanciulla, e chi la ferma? Va.

Non sai nemmeno qual è il suo tragitto,

sarebbe bello poterlo anticipare

e scoprire così che la fortuna

non è più un mistero. Ora mi fermo

sennò questo discorso si fa triste

e non voglio che tu per colpa mia

ti senta un groppo in gola. Ma ti voglio dire

che questa vita è tutta una minchiata

non vale proprio arrabbiarsi o stare male

te lo posso giurare dai miei tanti anni

è meglio amare, amare, e poi riamare

fino alla fine dei giorni. Fino a quando

il destino lo vuole.  E se non vuole

fare di testa nostra. Solo l’amore

ci salverà nel mondo, donandoci

quei brividi che più toccano il cielo,

forse da là potremo assistere

alle vicende strane dei mortali.

 

ore 14:09

 

Una volta ti chiesi se potevi

restare con me sulla sponda

di questo fiume. “È tardi” mi dicesti,

non posso perder tempo devo andare

a casa da mia madre che mi aspetta.

Eppure si sarebbe potuto, di sicuro,

vincere il destino, amarci più che mai,

avvinti al tramonto di quel giorno

che pettinava le acque

mentre i dintorni brillavano per noi

che aspettavamo l’ora dell’amore.

Il tardi che dicesti è un’ora che svapora

e che ci ha fatto perdere il futuro,

ma io ti amo, e continuo ad amarti

così come sei. Continuerò ad aspettarti

su quell’angolo di luce quando il sole

si cala nelle acque, e si prepara

al nuovo giorno che ancora non è

primavera. Se verrà, rispondi,

sarai lì questa volta? Io ti sogno

e nel sogno ti aspetto come tu fossi mia.

 

 

Patrizia, ore 18:42

 

È stata una giornata complicata

ma bella. Fino a poco fa la luce

era un’arancia sul far della sera.

Ora scende,

frattanto che ti scrivo,

una nebbia che copre ogni confine.

Quel cuneo rovesciato

mare tra i colli, scompare

e non vedo

che rami di un gran noce ancora spoglio.

La primavera ha già promesso tanto

ma non le passeggiate tra la gente.

Ancora ci secreta questo virus.

C’è sempre un giorno nelle tue poesie

in cui tu aspetti e immagini

che il sogno della notte ti si avveri

quale presagio arcano.

L’amore tu lo canti in ogni nome,

sia Delia/Ermione, sotto pioggia o sole,

con sfumature tue crepuscolari,

nelle preghiere di Saba un nostalgico:

“Fa’ che questa mia canzone vada in giro

fino a Trieste a ritrovare i luoghi

dove abitai con mia moglie Lina.” (XII).

 L’amore è la tua cifra:

la dimensione umana dell’esistere.

 

 

Patrizia, 27 febbraio ore 8:53

 

Non chiedo mondi altri

non ne ho voglia. Resto nel nucleo

di questa commedia;

ma a leggerti vengono i dubbi

che Amleto girò

per via di quel mero problema

sull’essere o no.

Ora mi arrovello:

mi pare assai strano che un morto

a un vivo richieda il favore

di andare alla tomba di un morto

perché dai suoi versi riascolti

il bene di chi più non è;

ma se invece è

e il morto alla tomba con lui,

che vale la voce di un vivo?

È un rebus eppure già chiaro

che un morto con morto discuta

per certe credenze anche allegre:

ricordi Totò e la livella?

Ma un vivo che parli per morti

non s’era sentito.

Ognuno ipotetico che

si scriva in volumi

desidera solo una cosa:

che resti il pensiero suo in voga

e non venga a dire

di mettere nero su bianco

soltanto per sé;

ma tu sei sincero:

"Mi piacerebbe tanto che i miei versi

trovassero del posto in biblioteca,

forse sarà un sogno o una pazzia

ma scrivere si può, non porta male..."( XXVI).

 

 

Nazario, ore 9:50

 

“…L’amore è la tua cifra:

la dimensione umana dell’esistere”.

L’ho cantato senza risparmiarmi,

nei giorni nebulosi, in quelli chiari

quando il sole batte sulle spiagge,

quando si sente il palpito dell’onda

o quando ci si abbraccia infreddoliti

al caminetto che risplende in luce.

L’ho cantato di giorno, nella notte,

quando due passerotti si accostano felici

o quando due piccioni si accarezzano

preparandosi agli effusi dell’amore.

Non c’è cosa più bella, e sinceramente

bisognerebbe che il mondo lo capisse,

ne facesse la bandiera della vita,

da sventolare sempre ai quattro venti.

Solo l’amore può salvare il mondo,

solo l’amore può tirarci fuori

dalla nebbia infeconda che sommerge

il nostro stare in questo spazio breve.

Amiamoci, facciamolo sovente,

e tradiamo il destino col nostro giovanile

impeto catulliano fino a che

la morte lo permette. Siamo vivi.

ore 10:13

 

Ti voglio raccontare la mia storia:

“Un giorno una fanciulla mi spingeva

a seguirla nel letto dell’alcova.

Io non volevo, perché era giovane

e soprattutto perché fidanzato

con quella che poi sarebbe divenuta

la compagna di sempre. Quel volto

l’ho sempre dentro e me lo porto

da una vita con me in ogni dove.

Che cosa ho fatto mai della mia giovinezza,

che cosa ho perso. Quello un amore vero,

una ragazza, bimba, che vedeva

solamente il mio volto. Quasi mi pregava

di andare in amore con lei. Il rispetto

che io portai a quella ragazzina

è sempre qui che mi tormenta.

L’amore è amore e non si può scherzare

coi nostri sentimenti. Non si può

se non vuoi soffrirne per la vita.

Ed io ne soffro. Quasi piangerei

per quello che rimane di un amore.

 

ore 11:00

 

La cenere calda dei falò

 

“Le faville volarono nel cielo

di una notte d'estate.

Si spensero i falò col primo giorno.

Ceneri calde sulla fredda rena,

incise di romanze e di sorrisi,

furono sparse dalla tramontana”.

Questo è il simbolo della vita,

i falò della notte si spengono al mattino

e resta solamente un po’ di cenere

a ricordarti le feste della sera;

i giochi dell’estate che veloce

passa e lascia solo ricordi

a pungerti l’animo come spine.

 

 

Patrizia, ore 11:31

 

Ebbene sia:

la vita è questa cenere

che resta dopo il fuoco.

L'amore, è lui che scherza,

miscuglio che da chimica si apprende.

In noi chi parla è il cuore dei poeti,

ma il corpo con la mente fa tutt'uno.

Per quanto dice il tuo amico del lupo:

"... ultimamente

trattando della fiaba

di Cappuccetto Rosso la ricerca

è stata indirizzata

su una nuova prospettica visione:

considerare il tutto

dalla parte del lupo."(XXIII).

Mai dalla parte sua

poiché quel lupo della fiaba cruda

altri non è che un fottuto pedofilo

voglioso di una carne

tanto ingenua da cedere a un consiglio.

Facesti bene, credo,

e adesso tracci il segno dell'amore,

amore vero, acceso a un nuovo fuoco.

Niente finisce, si trasforma solo

e quando il viaggio approda

si parte con la testa a un nuovo molo

con un bagaglio fatto degli errori,

di buoni semi e un goccio di Brunello.

 

 

Nazario ore 12:55

Veramente d’accordo.

Ma l’amore ti prende e si impossessa

di ogni tuo sentire. E non ti credere

di potere gestire con ragione

quello che il dentro detta. Siamo schiavi

e schiavi si rimane. Si matura

e senz’altro la storia personale

contribuisce non poco a farci meditare

su ciò che siamo. Bisogna farne conto

e poi tirare le somme. Quella cenere

che al mattino rimane è sempre tiepida

e può senz’altro farti memorare

che la vita ha i suoi pecchi e non bisogna

tradirla con la furia o con l’impulso

di una scelta di cui poi puoi pentirti.

Beviamoci un goccetto, come dici,

e lasciamo tutto al tempo. Senza dubbio

sistemerà le cose. E così sia…


ore 14:02

Non devi fraintendermi la bimba

di cui ti ho parlato aveva diciott’anni

ed io ne avevo otto più di lei.

Fu la stagione delle mele, delle fughe,

e ne facemmo una solitaria,

che ci vide

perdere gli sguardi all’orizzonte

senza fare l’amore,

ma guardandoci negli occhi, come  bimbi

e gustando la natura  che attorno sorvegliava

i nostri palpiti d’amore. Puri eravamo,

e puri  si girava sulla spiaggia illuminata

dai raggi della luna. Più l’ho vista

quella ragazza che m’illuminò

e forse è stato meglio non bruciare

l’immagine di un sogno. Il sogno di una vita.

 

ore 14:40

 

Stasera sono triste. E la tristezza

che mi assedia è di già una poesia:

“Volevamo cucire la vita

a nostra immagine,

a come la immaginammo. Purtroppo,

amore mio, non detti

quello che ti promisi;

il tempo è fuggito rapido e mi ha rapito

tutto ciò che avevo addosso. Ma stai certa

che prima della luna torneranno i sentimenti

che avevo in animo. Ti prometto

che il resto della vita sarà tuo

e non ci saranno nubi a deviare

quello che io sento per i tuoi occhi.

Già la luna è scesa in mare.

Risplendono le stelle. E sono tante.

Ricordati la poesia che scrivemmo:

“Scoprimmo il cielo il mare ed il sorriso.

Dicemmo al vento: Corri a perdifiato,

non ti arrestare, corri a spettinare

le chiome delle giovani fanciulle

che giocano col tempo. Vorrei tanto

essere a te daccanto per sfiorarti

le gote col respiro; vorrei tanto

correre lontano alla fine del mondo

e stringere la  mano

a te che diffondesti

banchi di solitudine

su questo stretto piano.”

 

ore 14:50

 

Verrà la sera e ci rapirà

con tutto il bagaglio memoriale.

Forse ci lascerà l'amore, il sentimento

che va oltre il tempo, oltre la vita,

con l'intenzione di tornare al cielo.


E venne sera

La luce crepitante dell’estate

invadeva la piana, delle reste

il giallo profumato d’erba stanca.

Sortivano i rumori dalle scaglie

di sterpaglie corrose. Sui prunai

galleggiavano i profumi già disposti

a cedersi alla terra. Anche la vista

toccava infastidita quelle gregne

che pregavano il sole

di cadere più presto oltre le siepi.

C’era bisogno di umido, di guazza.

E venne sera.

 

 

Patrizia ore 16:53

 

Maestro mio,

non potrei mai fraintenderti,

il tuo animo è puro

e chiari i versi. Ho preso giusto spunto

per dire della fiaba: altro non è

che sottile denuncia

di una piaga

che mai smette nel mondo di marcire.

Così la guerra. Tu ce la riporti,

generoso, nei versi di Quasimodo:

"E come potevamo noi cantare..."

Eh già, come possiamo noi cantare

se è necessario portare su un palmo

il nostro cuore, e magari vederlo

gettare come una vecchia cartaccia

di giornale. L’amore non è mai

razionale ed è bella la tua sera.

Non si appressa alla Nera, ma a promesse.

 

Ore 17:10

 

Eppure, chi ragiona veramente

è proprio quella parte

illogica di noi.

 

 

Nazario ore 17:24

 

“Eppure, chi ragiona veramente

è proprio quella parte

illogica di noi”. È proprio vero

è il cuore che ti chiede di seguire

gli impulsi che la ragione esclude

e che esso s’impunta  di affrontare

con tutta la libertà e la malia

che sono proprio le virtù dell’essere.

 

Ti voglio dedicare una canzone

dove giocarsi il mare è cosa facile

quando si vive indifferentemente

alla vita che scorre senza tregua.

Giocarsi il mare, sì, che è la cosa

più preziosa che esista, il grande mare,

il suo orizzonte, le schiume che assomigliano alla vita,

l’irrequietezza del battito dell’onda,

l’infinito suo estendersi lontano

dove non arriva lo sguardo,

dove non giunge  palpito terreno:

“… Passa dinanzi a me un paesano

che guarda il monte con lo sguardo sperso.

Sembra distratto, fuori dal suo mondo,

o forse un po’ poeta che confonde

la sagoma di un monte cinerino

con la voglia di tornar bambino.

Una voglia che prende anche me stesso,

forse perché tornando ai primi passi

si fa di un gioco una cosa seria:

è il gioco della vita

che se ti lascia tu ti trovi solo

senza saper perché ti sia sfuggita

quella spiaggia su cui

ti sei giocato il mare.”.

Questa è la canzone della vita

che si regge su note musicali

a dirti che la poesia è infinita

come infinito l’animo che detta

accompagnato da una vera orchestra

che suona il canto della tua canzone.

 

 

Patrizia, 28 febbraio ore 8:42

Ripenso alla tua Luna, a quei falò,

amo il Pavese dell’ultima donna:

declinazione estrema

di un solstizio d’estate; ed è il ventuno.

Vedi? Ritorna in me l’indizio strano.

La luna oggi cambia la sua faccia,

sempre cresce e decresce

come fa la fortuna

e pare che risponda sempre uguale.

Non è un segreto ormai

la sua sembianza

eppure un uomo a sera vuol scoprire

quanto del volto mostri oppure taccia.

E passano stagioni

e gonfia l’astro di maree i sogni

dove tu resti in bilico

dormendo il sonno delle fate buone.

Bruciano a notte fonda

tra contadini e falò le illusioni;

ma qui, tra questi versi

che ora ho in mano,

approdi ad uno scoglio

dell’isola di Leuca

dove le spume danzano misteri

e il Mito segue della vita il volo.


Nazario ore 11:02

La mia Lèucade è un’isola fatata

dove mi rifugio in tempi bigi

dove mi raccolgo dentro me

per pensare alla vita, all’amore,

a tutto ciò che sembra e non appare.

Cara fanciulla, vieni con me

sull’isola fatata.

Là siamo fuori dal mondo, da ogni intruso,

siamo fuori dal chiasso della vita,

si può vedere in alto, e anche lontano,

dove occhio umano non arriva.

Ci sono amici gli alberi perenni,

il battito dell’onda, le maree,

le macchie degli abeti, dei pini silvani,

ci sono amici i canti degli uccelli,

il volo dei gabbiani, e i sogni belli

che faremo in eterno. Perché Lèucade 

è l’isola dei sogni, non porrà

impedimenti alla vita. Tutto scorre

e con dolcezza, il tempo passa amico,

senza traccia. Senza lasciare scie.

Spesso io passo il mio tempo sull’isola

a sentire quanto bello sia il fruscio

delle acque sulla  battima. Il canto

degli uccelli nel cielo, sopra il mare

che suona per noi la sua canzone.

 

 

Patrizia, 1 marzo ore 12:59

 

Maestro mio,

perdona il mio ritardo.

È un’isola invitante, questa tua,

in essa si rispetta la Natura;

le si risparmia il velenoso gettito

dei clorofluorocarburi e (fortuna)

c’è il metano a richiudere

il buco dell’ozono.

È questione di chimica,

ma tu dirai di cuore.

Grazie,

verrò. Se puoi, prepara un tè.


 

NAZARIO PARDINI

(dal libro Alla volta di Leucade)

 

Fuga da settembre

E furono le Eumenidi a portarmi

dove non vi è stagione. Ventilava

zefiro eterno l’isola di Lèucade

eternamente dolce nel respiro

di lavanda e di timo. “Dallo scoglio”

mi dissero “Ove siedi ad osservare

gli ampi spazi del mare ricamato

da sciami di gabbiani, si gettavano

gli sfortunati umani per disperdere

reminiscenze estreme. Ed anche Venere

restò meravigliata nel sentirsi

serena dopo il volo. Gli infelici

a Lèucade accorrevano 

dai più lontani luoghi. Preparavano

con offerte ad Apollo e sacrifici

la loro prova. Ed erano sicuri

coll’aiuto del dio di sopravvivere

all’eccelsa caduta. Proprio qui,

dove tu siedi, stette il piede tenero

dell’infelice Saffo che Faone

abbandonò. Nel cielo di quest’isola,

lucido ed armonioso, riscontrava

solo dolore; andava su altre sponde

dove il mare violento tormentava

gli scogli dissestati per rivivere

il suo triste destino. Dalla cima,

sfiorata dalle mani

della dimenticanza, si gettò

in quest’onde fatali. Ed Artemisia

regina della Caria ed altre ancora

raggiunsero la meta, ma scambiando

la vita con la morte.” “Mi sovviene

il mio settembre tanto logorante

nei palpiti di umana inconsistenza,

nei flebili lamenti di esistenza,

nei pallidi scolori di tristezza

di un borbottio leggero di rumori

quasi alla fine. Ma non so se vale

di più restare immoti nella stasi

di un eterno sereno che provare

il dolce senso del dolore umano.”

“Proprio il poeta, diciamo di Nicostrato,

gettandosi dall’alto della rupe

non lasciò col patire

il respiro di vita. Forse il dio

volle che poesia perpetrasse, dopo il salto,

il suo divino suono. Ci chiediamo

se più grande pacato che in tormento

come da scoglio umano.” Ed io fuggii 

scabro settembre, mese addolorato, 

dal sangue che si sperde in ogni dove

dell’ultimo respiro della vita.

Io ti lasciai e un salto nelle oniriche

acque di Lèucade non mi concesse

morte né oblio, ma solo la ricchezza

d’immagini feconde rivissute

da un’anima al di sopra delle povere

storie del giorno. E ti rivissi, vita,

con un sentire lieve e tanto amato

che in ogni fatto lieto o meno lieto,

ma scampato, vidi un superbo dono.



9 commenti:

  1. Straordinario dialogo, "un superbo dono", grazie!

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  2. Amici straordinari, parlate di ironia, ma in questa corrispondenza di amorosi sensi io ritrovo le vostre essenze, che si rivelano affini e complementari. Nazario, bimbo, legato al paese della memoria, ti confida, adorata Patrizia, i momenti di dolore immenso dovuti alle perdite premature degli amori; ti narra la sua prima storia di amore platonico, le vicende legate al fratello - mare, compagno di ogni suo viaggio interiore e fisico, e termina con la scelta dell'Isola che ha scelto come dimora per i suoi versi e per i tributi di tanti amici... Bellissimo l'escamotage di precisare gli orari, che rende la Silloge a due cuori un diario privato, denso di pathos, caldo e vero come potete essere solo voi due... Tu, Patrizia mia, sei specchio in musica della vita negata, sofferta, invocata e poi, in punta di piedi, divieni confidente del Maestro, rispondi ai suoi racconti con le tue considerazioni, lo accarezzi, lo rassereni, sei compagna di viaggio e di Poesia. Una nuova forma di espressione la vostra, che trovo incantevole. Non posso negare di essermi commossa più volte. Ovviamente per realizzare un canto simile a due voci è necessario vivere in Poesia, saperla comporre in forma di pensiero... Amici immensi, vi dimostrate funamboli delle parole, delle similitudini, delle metafore, ma si evince che ogni 'lettera' di questo manoscritto d'amore è stata scritta senza forzature, in totale ispirazione, direi in stato di trance lirico. Vi ringrazio per aver pubblicato un Dono simile. Per un'amante matta e disperatissima dei versi, incapace di comporli a questi livelli è fonte di vita, di libertà, di armonia. Se 'la bellezza salverà il mondo', voi potete salvarlo! Vi stringo con infinito affetto!

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  3. Non ho parole: posso solo dire GRAZIE ad entrambi. Mi sono commossa, vibrando, fino alla radice delle mie eterne malinconie. L’amore è davvero la VOSTRA cifra: la dimensione autentica umana dell’esistere.

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    1. Sono io a ringraziare te per queste tue espressioni di condivisione emotiva. La tua critica è sempre preziosa. Grazie!

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  4. Grazie, in primis a Nazario, non solo per il dono della sua scrittura che mi è compagna, ma anche per aver pubblicato alcuni stralci lirici. Grazie,Claudio, per il tuo commento e grazie, Maria, per le tue parole così felicemente spontanee, che sempre adoro. Questo libro è nato da una serrata corrispondenza via e-mail ed è per questo che tra i testi ci sono date e orari. Otto giorni di noi, in cui ci scriviamo così come si legge. A volte tre o quattro volte di seguito, a volte dopo ore. Niente è stato manomesso o modificato. L'intento era quello di 'leggere' i libri del nostro Maestro (nominati nel post) e commentarli in versi. Il tutto ci ha preso il cuore (come direbbe Nazario) e la mente insieme. Per me è stato un regalo bellissimo e inaspettato. Credo che ad essere così nudi in poesia non faccia male. E' un epistolario che nasce dalla veloce comunicazione tecnologica e altro non chiede che la condivisione. Naturalmente ci sono altre lettere e alcune di queste hanno anche risvolti ironici. Iniziato come un play ( direbbero gli inglesi)è un diario di giorni come petali raccolti tra le pagine. Maria, la Poesia è vita, specchio della vita e non parole infilate con la tecnica dei versi. Tu sei Poesia di vita. Grazie! Abbraccione!

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  5. Grazie, grazie, grazie ad ambedue. Siete straordinari! Leggervi mi trascina in quel mondo che vorrei. Vi adoro!
    Serenella Menichetti

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  6. Pasquale Balestriere28 maggio 2021 alle ore 15:28

    Vicende di emozionante umanità, coinvolgenti e preziose di poesia. Nuda e forte.
    Pasquale Balestriere

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    1. Grazie, Pasquale, per questo tuo intervento. La nudità è essenziale.

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