EPICURO NELLA VISIONE DI MUZIO TERRIBILI
Relazione di Franco
Campegiani svolta nel corso del 3°Festival Epicureo
Franco Campegiani, collaboratore di Lèucade |
"Non era passato un secolo dalla morte di Socrate (399 a.C.), Platone era morto solo da una ventina di anni (347), Aristotele era ancora vivo (muore nel 322), Accademia e Peripato erano funzionanti a pieno ritmo, e già i grandi sistemi di pensiero, che storicamente sono le icone della civiltà e del genio dei Greci, subirono un attacco che mirava a un vero e proprio ribaltamento. Il fatto che Scettici, Stoici ed Epicurei, pur nelle distinzioni specifiche, insistessero concordemente nel proposito di conferire alla filosofia un carattere morale e pratico, concreto e utilitaristico, significava che la gente era stufa di astruserie e astrattezze, e preferiva ammaestramenti terra terra, di applicabilità generalizzata e immediata".
Si apre così, con queste rapide
ed incisive pennellate, l'affresco di Muzio Terribili di cui oggi parliamo. Il
libro, edito in e book e scaricabile
dal sito www.epicuro.org, s'intitola
"Epicuro o della Vita Serena"
ed è dedicato all'epicureismo, una delle filosofie post-aristoteliche che hanno
caratterizzato l'epoca alessandrina, o ellenistica. Si era all'alba
dell'antropocentrismo e già apparivano i segni del suo declino, la stanchezza
dell'umore greco per le astrazioni del pensiero classico, la sfiducia per quel senso
della libertà appena inaugurato, che fondava il suo statuto sull'affrancamento
dell'uomo dalle leggi di natura. L'epicureismo, in questo quadro, si fece
paladino di un netto rifiuto, sferzando ogni forma di intellettualismo che
intendesse stravolgere l'ordine di natura. Per il suo fondatore, Epicuro, la
vera libertà stava tutta nell'aderire alle leggi di natura, anziché nel
distanziarsene. Un ribaltamento radicale, che poneva in guardia nei confronti
di ogni artificio o sovrastruttura intellettualistica.
Il fatto che una scienza
nasca dal bisogno di liberarsi di una necessità non significa, a mio parere,
che una cultura debba per forza sorgere in antitesi alla natura, bensì, al
contrario, significa che necessità e libertà, natura e cultura debbono
collaborare tra di loro. L'uomo non deve competere con la natura (competizione
di cui oggi vediamo i risultati letali), ma deve cooperare con essa, scoprendo
che negli orizzonti del proprio libero arbitrio c'è anche il libero arbitrio di
non approfittare del libero arbitrio. Potremmo dire una semplicità ritrovata, dove natura e cultura sono strettamente
connesse tra di loro. Terribili rammenta che "Epicuro ci tiene a presentarsi
come autodidatta e discepolo di nessuno", ma poi sottolinea "l'esplicita
e indiscutibile dipendenza e continuità (di quella visione del mondo) con una
filosofia storica, l'atomismo di Democrito".
E nel ricordare la famosa
esortazione attribuitagli da Diogene Laerzio ("Fuggi a vele spiegate
ogni genere di cultura"),
chiarisce che per cultura, in questo caso, "bisogna
intendere un sapere disancorato dai bisogni concreti dell’esistenza".
Quindi si chiede: "se niente filosofia e niente cultura, che si faceva
nelle scuole epicuree?". La risposta è immediata: "tutto,
naturalmente, filosofia, scienza, letteratura, in una parola cultura, ma
badando che tutte queste attività fossero finalizzate a una vita individuale consapevolmente
più felice, o meno infelice". La filosofia e la conoscenza non dovrebbero
mai distaccarsi dalla realtà e dalla vita. E giustamente Terribili ricorda Pascal,
pensatore in un certo senso accostabile ad Epicuro, il quale dice: "Il
miglior modo di fare filosofia è di non farne affatto".
Poi, riassumendo il
pensiero del maestro di Samo, scrive: "finiamola di rovinarci l’esistenza
appresso ai grandi ideali come la verità assoluta, la giustizia assoluta, il
bene assoluto, che tanto nessuno li troverà mai e servono solo ai parolai e ai
furbi, e contentiamoci dei piccoli piaceri che sono a portata di mano di tutti".
Immagino che sia muovendo da queste considerazioni che si è voluto porre il
terzo festival epicureo sotto l'egida del genio di Recanati. Una scelta
intrigante ed oculata, dato il rifiuto delle metafisiche che fu proprio di
entrambi, di Leopardi come di Epicuro. Tuttavia occorre sottolineare una
distanza tra i due, per la differente ed opposta considerazione che avevano
della natura: negativa per l'uno, positiva per l'altro. La Natura di Epicuro non
è madre matrigna, come lo fu per
Leopardi, e tuttavia essa non ha nulla a che vedere con i misteri dell'arcaica
madre eleusina. La Natura di Epicuro
non ha alcunché di misterico ed è una fonte di puri e semplici ammaestramenti
razionalistici.
L'epicureismo non vuol sentir parlare di spirito. Tutt'al più di ragione,
purché depurata, questa, delle astrattezze che la allontanano dalla semplicità
e dalla aderenza all'ordine di natura. Nota è la polemica epicurea contro le religioni
e le mitologie. Stando a Terribili, non è che il maestro disprezzasse il mito tout-court, in assoluto. Bisogna
intendere bene la polemica di Epicuro. Del mito egli apprezza il senso estetico,
sempre e comunque alleato del buon senso pratico. Ciò che del mito rifiuta è la
sua degenerazione in dogma, in religione, in ideologia. Al contrario dei
metafisici che amano distaccarsi dalla vita sensitiva, a lui sta a cuore l'alleanza
del sensibile con l'intelligibile, purché questo intelligibile non si perda
dietro i fumi dell'iperuranio platonico o della logica aristotelica, ma sia
pensato come buon senso, misura, intelligenza elementare. Ci sarebbe
indubbiamente molto da discutere, approfondire, argomentare, ma non è questa la
sede per farlo. Ciò che conta è comprendere come per Epicuro i sensi siano
assolutamente innocenti, non abbiano né
potrebbero avere colpe di alcun genere.
Allineati con le
leggi naturali seguono istinti infallibili cui non è consentito sbagliare. Che
l'uomo sia fallibile è vero, ma la sua fallibilità non ricade sui sensi, bensì,
più in generale, sulla propria natura. Che è come dire sulla mente dell'uomo
stesso, sui suoi meccanismi psichici che rifiutano di girare secondo ingranaggi
naturali. Ogni forma di intellettualismo,
vanamente rincorrendo l'universale,
finisce per affogare paradossalmente nei particolarismi
faziosi e partigiani. Epicuro non ama il termine universale, ma fa intendere che non c'è nulla di più universale
dell'ordine di natura, della vita dei sensi, dell'innocenza animale. Per non dire
della semplicità del mondo infantile. Che bisogno c'è di costruire gabbie artificiali
allo scoccare della cosiddetta età di
ragione? Bisognerebbe crescere senza uccidere il bambino che è in noi. Divenire
adulti senza adulterarsi, senza perdere smalto e senza smarrire se stessi,
l'amore di sé (filautia), che non è
l'amor proprio egoistico, e coincide
con la disinteressata amicizia, la forma più nobile dell'amore tra esseri umani.
La filosofia
epicurea è ingiustamente accusata di amoralità dai dogmatici di ogni tipo, dai
fautori dei cosiddetti valori ideali che giungono alle peggiori aberrazioni -
loro si - in nome dell'ideologia. Le anime semplici purtroppo cadono nella trappola tesa da questi
raffinati manipolatori e finiscono per farsene complici. Nella Lettera a Meneceo, Epicuro lo dice
espressamente: "le opinioni del popolo sugli Dei non sono nozioni
evidenti, ma false congetture". Forse non intende prendersela direttamente
con il popolo, tratto in inganno, ma in ogni caso lo ritiene corresponsabile dei
pregiudizi, delle superstizioni, delle paure e dei feticismi alimentati dagli
abili plagiari. Il materialismo antireligioso di Epicuro - sostiene Terribili -
non costituisce in sé una radicale negazione degli Dei, ma è solo un rifiuto
del modo in cui queste cose vengono credute a livello popolare.
La
religiosità greca, avverte l'autore, non ha nulla di trascendente, ma è una
traduzione simbolica dei fenomeni di natura. "Se la religione è questo, fa
dire l'autore ad Epicuro, allora io sono religiosissimo. Ma questa religione
non si coltiva nei templi, attraverso i sacrifici e gli atti di culto, ma nella
scuola e nella ricerca scientifica" (io direi meglio - consentitemi di entrare
nella discussione - nel tempio interno dell'uomo ed in quello esterno della
natura). In ogni caso, secondo Muzio/Epicuro, la trasformazione della mitologia
in religione non è opera dei poeti, ma dei semplici e degli incolti, facili
prede di menti avide, astute, acculturate. Tuttavia, lasciatemi spezzare una
lancia in favore delle masse contadine e popolari di un tempo, che possedevano
una loro naturale scaltrezza per svincolarsi da tali malie. Pensiamo alle
Pasquinate, a quei feroci sarcasmi plebei lanciati verso il clero ed il potere
temporale. Pensiamo all'italum acetum
di cui parla Orazio, o ancora ai salaci fescennini
rurali. E che dire degli aspri motteggi indirizzati dai soldati romani stanchi
verso i generali in pompa trionfale?
Certo, qui
stiamo parlando dei Greci, non dei Latini, e forse non è lecito generalizzare.
Forse, ma era solo per dire che una mente semplice, seppure incolta, non è
necessariamente una mente debole o sprovveduta, soprattutto se riesce a ridere
di tanta astuzia escogitata per la propria sottomissione. Vedremo poi, nei
dialoghi, il giovane Andrea avanzare un sospetto in tale direzione:
"Ammesso poi, insinua il giovane, che la religiosità degli incolti sia
realmente sentita come tale. Penseranno davvero che le feste e le altre
manifestazioni di culto siano richieste da Dio o sono loro che le vogliono per
divertirsi un po'?". Epicuro sembra approvare. Il fatto è che il mito sorgivo
è un conto, la mitologia un altro. Epicuro (o Terribili/Epicuro è il caso di
dire) distingue nettamente il mito dei poeti (e io aggiungerei dei popoli nativi)
dalla sua degenerazione in dogma e misteriosofia. La mitopoiesi, ingenua e sorgiva, amplifica il senso estetico e morale
della vita. La mitologia, subdola e
dogmatica, è finalizzata alla prevaricazione e all'egemonia.
Epicuro dichiara che
il fine della sua scuola è la ricerca del piacere, ovvero di una vita felice in
sintonia con la natura. E' qui che sorge l'equivoco. Di quale felicità parla
Epicuro? Di una felicità che è rifiuto del superfluo, capacità di vivere con
quanto basta, ovvero con l'essenziale, con il necessario. Che piacere è, si
chiede, l'avidità che fa soffrire e causa agitazione? Felice è chi sa vivere
con poco, chi coltiva l'amicizia, chi non smette di essere curioso. Un'istanza
che potremmo dire pauperista, pur
tenendola distante dal misticismo francescano. Nessun sacrificio, nessuna
privazione aprioristica dei beni materiali. E tuttavia soddisfazione dei
bisogni reali autentici, non di quelli eccedenti o voluttuari. L'aspetto economico, materialistico, di questa
visione del mondo, legata ai bisogni, è fuori discussione, ma parliamo di istanze
sane, non confrontabili con l'utilitarismo e l'edonismo sfrenati. Non si capiscono
pertanto le ragioni (o forse si capiscono bene) di tanto risentimento nei
confronti di questo maestro di equilibrio e saggezza.
In questo agile
e prezioso ritratto, il genere letterario prescelto, anziché la trattazione
classica, è quello del dialogo, con
il risultato di alleggerire di molto il discorso filosofico. Una scelta che
rende il testo seducente e vivace. L'autore ricorre all'espediente di far
incontrare uno studente dei nostri tempi direttamente con Epicuro, nel suo
Giardino ateniese del IV secolo a.C., con il risultato di annullare le distanze
temporali. Il Maestro può così spiegare al giovane Andrea - spiazzandolo, ma
restandone a sua volta piacevolmente sorpreso - le proprie teorie trasgressive,
in un colloquio alla pari che, non togliendo nulla alla scientificità delle
argomentazioni, dona loro il fascino dell'attualità e della semplicità
comunicativa. Per la verità, Terribili ammette che il suo discorso possa non
risultare sufficientemente rigoroso o scientifico, ma cos'altro è fare storia,
si chiede, "se non ricostruire, estrarre da quello che si ha quello che
verosimilmente doveva e poteva esserci?".
"Come si
fa, continua, a fare storia senza un minimo di fantasia? E che senso avrebbe la
rivisitazione dei Classici se non quello di scovare in essi la linfa, buona a
nutrire la vita spirituale di noi moderni?". D'altro canto, avverte
Michele Pinto, curatore dell'opera, "purtroppo il tempo non è stato indulgente nei
confronti del pensiero di Epicuro e assieme ai tanti suoi scritti sono andate
perdute parti importanti della sua dottrina". Tuttavia, sottolinea, "Terribili
non si rassegna e ne ricostruisce, per quello che si può, il pensiero. Mette in
bocca al personaggio Epicuro anche le sue parole". E' questo lo stile
prescelto, fantasioso e scientifico a un tempo. Esso alimenta dalla prima
all'ultima pagina l'intero elaborato, ma è negli ultimi capitoli che giunge
alla sua massima espressione, laddove l'eloquio, facendosi scientificamente più
pregnante e rigoroso, richiede proprio per questo una maggiore levità
discorsiva.
Dopo essere
giunto ad Atene in cerca di Epicuro, il giovane Andrea, nostro contemporaneo,
si ritrova nel quartiere di Melite e attraverso una porticina spalancata entra
nel Giardino, dove è direttamente il maestro ad accoglierlo, riservandogli
squisite attenzioni. Nei quindici dialoghi che seguono, si affrontano decine di
argomenti di cui possiamo dire qualcosa, ma che non possiamo sviscerare per
intero. Dopo avere disquisito di metodo nelle prime battute, Epicuro enuncia le
modalità dolci e flessibili del proprio insegnamento, contrapponendolo al
dogmatismo aristotelico, nei confronti del quale esterna tutta la sua ostilità.
Aristotele - dice - deve la sua fortuna al fatto di essere stato maestro
privato di Alessandro il Macedone, definito "un grande soverchiatore, un
grande professionista del sopruso e della violenza".
E aggiunge:
"la relazione tra i due non era soltanto di carattere culturale, ma anche
politico. Perché ad Atene si contrastavano due partiti, uno democratico e
antimacedone, guidato da Demostene, l'altro conservatore e filomacedone, che
faceva capo ad Aristotele". Quindi il giustificato sospetto: "Alla
permanenza del filosofo a guida del Liceo e ai suoi successi editoriali e
accademici, si può pensare estranea l'ombra protettrice del grande monarca? Non
è possibile". Al contrario, il programma filosofico epicureo si fonda
sull'assenza di arrivismo, di avidità, di invidia, e ovviamente di manie
imperialistiche. La sua scuola mira al raggiungimento di una vita serena e alla
liberazione di ogni paura. Esistono tanti tipi di paura, ma tutti in fondo si
possono contenere con la retta ragione. Tranne uno, quello di morire. Di fronte
alla morte non c'è ragione che tenga e l'unico antidoto è pensare che essa in
fondo non è una presenza, ma un'assenza, un venir meno, un nulla. E come può
impaurire un nulla? Quando noi siamo, lei non c'è, e quando c'è lei non ci
siamo noi.
Moltissimi
argomenti vengono trattati nei dialoghi. Si parla di Patria, di amore
coniugale, di amicizia, di solidarietà, e di tanto altro che qui è impossibile
affrontare per esteso. A proposito di Platone, Epicuro dice che il suo torto
sta nell'aver fatto dell'anima una sostanza a se stante, vivente di vita sua,
che più fa a meno del corpo e meglio sta. E aggiunge che la tradizione
filosofica dei Greci era un'altra, quella naturalistica. Il suo fine, al
contrario, è mostrare come la via più sicura e diretta della conoscenza siano i
sensi, ai quali è dato di cogliere, si, la verità, ma soprattutto la bellezza
delle cose. Straordinario l'esempio del cane che riesce a nuotare per istinto,
senza prendere lezioni di nuoto. La vera conoscenza non è concettuale: "Mi
vuoi spiegare perché mai questa pietra, per essere vera, deve diventare
concetto?". Platone ha tirato Socrate dalla sua parte, facendone
l'antesignano della conoscenza teoretica, sostiene Terribili/Epicuro. Per
Socrate, infatti, strenuo contestatore dell'arroganza intellettuale, il daimon era respiro vivo, tutt'altro che arido schema concettuale.
Epicuro è un
pensatore che è opportuno riscoprire negli angosciati tempi attuali, e bene ha
fatto Terribili a proporne questa edificante lettura. Ma chi era Muzio Terribili,
personaggio non meno scomodo di lui, tutto da conoscere e scoprire? Una personalità
dirompente e geniale. Nato nel 1928 a Marino laziale (Roma), nei Castelli
Romani - che è anche la mia città natale - è scomparso nell'agosto del 2015.
Docente di Filosofia, fu artista a tutto tondo: pittore, musicista,
drammaturgo, saggista e finanche poeta dialettale. Dopo avere svolto studi
severi di cultura religiosa, indossò l'abito talare, restando presto deluso dal
conformismo, dalla superficialità e
dal pressapochismo degli ambienti religiosi circostanti. Disagio destinato ad
approfondirsi nel tempo, fino a divenire irritazione e insofferenza, esplodendo
infine, sul finire degli anni Ottanta del secolo passato, in interiore e
contenuto rifiuto. Si autosospese infine dall'esercizio per libera scelta, senza
clamori, pur conservando ottime relazioni personali con alcuni alti ecclesiasti,
suoi estimatori ed amici.
Collaborò
vivacemente con la Diocesi, prendendo parte, tra l'altro, ai lavori della
Commissione diocesana per l'Arte Sacra. Per conto della stessa Diocesi,
promosse la pubblicazione dell'opera "Le
origini del Cristianesimo in Albano e le Catacombe di San Senatore",
elaborata nel 1990 dall'Archeologo Pino Chiarucci con la collaborazione del
fotografo e regista Pio Ciuffarella. Di suo pugno, Terribili elaborò numerosi
scritti di ambientazione religiosa: da "Alcune
di noi e Lui" (Edizioni Cultura e Dialogo, 1988), a "Se tu avessi pazientato..." (Edizioni
Paoline, 1997). Infine citiamo "Io,
Saulo di Tarso" (New Edit), uscito nel 2002. Gli interessi religiosi e
teologici andavano in lui di pari passo con quelli umanistici. Insegnò infatti per
decenni materie umanistiche presso il Complesso Scolastico "San
Giuseppe" di Albano laziale, e divenne Preside dello stesso Istituto nel
1955. Generazioni di studenti lo ricordano per aver assistito, in quella sede,
a lezioni memorabili di Filosofia e di Storia, con il problema estetico
(implicitamente morale) al centro delle sue profonde attenzioni.
Terribili svolse un'intensa
attività pedagogica anche al di fuori dell'ambiente scolastico, in contesti
pubblici e privati, nell'intento di promuovere un'educazione non arroccata
nella propria torre d'avorio, bensì al servizio della comunità e generosamente
aperta al territorio. Tra i suoi lavori di interesse scolastico, va ricordato "Favole e fantasia" (Mursia
Editore 1988, e successive ristampe), un'antologia del genere favolistico
scritta con Anna Verani e Jolanda Bianchi, per aiutare a comprendere che cosa
sono le favole e perché si raccontano. Sul versante artistico, la prima musa a
cui rivolse il proprio interesse fu la musica, alla quale si applicò fin
dall'infanzia (pianoforte e composizione), coltivandola successivamente
attraverso la costituzione e la direzione di complessi corali. Delle arti
figurative si interessò dapprima in qualità di docente, conferenziere e
saggista, poi di organizzatore di esposizioni, e di partecipe a giurie
esaminatrici, insieme a valorosi artisti e critici (Manzù, Venturoli, Ponente, Maltese,
Guzzi, e altri).
La preparazione
teorica gli permise di accingersi a svolgere azione concreta, munito di una
sorta di metafisica estetica, sulla
scorta del teologo Hans Urs Balthasar, che studiò a fondo e tenne come punto di
riferimento nelle sue riflessioni, negli scritti e nelle lezioni. Dopo un
ventennio di figurazione, nel 1980, approdò all'espressione astratta, tenendo
gli occhi ai grandi artisti del sec XX: Kandinskji, Burri, Afro, Magnelli,
Turcato, eccetera. L'ultima fase della sua ricerca fu caratterizzata dalle
cosiddette stampe a mano, rispondenti
ad un'esigenza di astrattismo puro, un
cromatismo squillante e geometrico ottenuto con colori tipografici spalmati con
rulli su cartoni patinati, utilizzando mascherine pazientemente ritagliate, con
un risultato decisamente più brillante rispetto alla pittura ad olio.
Un'esultanza visiva dalle ascendenze neoplastiche che trovava nel clima
gestaltico della Op Art la sua giusta
collocazione.
Preziosismi, quelli
di Terribili, non mai gratuiti ed effimeri, ma sempre alimentati da uno stupore
profondo, da un meravigliarsi interiore autentico. Stupore dei sensi come
stupore spirituale. Ed è l'unità del Vero, del Buono e del Bello di cui parla
il teologo Hans Urs von Balthasar, sulla scorta del vetusto Platone. E' da qui,
da questa rivalutazione della sfera sensibile, che si deve partire per
un'attenta analisi della speculazione filosofica di Muzio Terribili. L'attività
sensibile come promotrice di vita spirituale. Ed è qui che s'innesta il suo
interesse per Epicuro, anche se costui, come abbiamo visto, di spiritualità non
voleva sentir parlare. Almeno nel significato tradizionalmente dato al termine.
Nel libro "Estetica in genere ed estetica
pedagogica" (2009), Terribili svolse una fondamentale riflessione
sulla bellezza, citando passi emblematici dall'opera di Hans Urs von Balthasar.
Il quale aveva scritto: "In un mondo senza bellezza... anche il bene ha
perso la sua forza di attrazione... e gli argomenti in favore della verità
hanno esaurito la loro forza di conclusione logica". E la mente di
Terribili correva a Platone, laddove nel Convivio
aveva detto: "Bellezza sola può liberar l'uomo da quest'immenso
dolore". Quel Platone, commentava, che "non intendeva la filosofia
come Aristotele e tanto meno come la intende la moderna cultura occidentale,
intellettualistica e sistematica. Per Platone la filosofia è scienza d'amore", "dove amore è amore di bellezza".
Poi
argomentava: "l'uomo che attraverso la scienza ha capito tante cose,
dovrebbe oramai... non meravigliarsi più di niente. Invece non è così. Lo
stesso atteggiamento meravigliato, stupito e incantato del primitivo e
dell'ignorante di fronte a un fenomeno di natura, ritorna nell'uomo evoluto,
quando egli accantona lo scienziato e lascia spazio al poeta (il fanciullino pascoliano che è al fondo di
ogni uomo)... Galileo ed Einstein, che, come tutte le vere grandi menti
scientifiche, erano immuni dall'intellettualismo gretto, non finivano di
incantarsi davanti al firmamento, che pure avevano esplorato per lungo e per
largo". Ed eccolo, infine, il nucleo centrale di questo finissimo
scrittore e pensatore controcorrente: "il sentimento estetico è il principio motore di ogni altra attività,
non solo quella strettamente artistica; il carattere estetico ne accompagna lo
svolgimento e ne è il fine generalissimo".
Terribili
dette vita, tra l'altro, ad alcune agili, brillanti monografie riguardanti
filosofi, e se avesse avuto tempo ne avrebbe prodotte sicuramente molte di più.
Una di queste è dedicata a Socrate. Un'altra, dedicata ad Epicuro, è l'oggetto
del presente elaborato, tendente a smascherare l'inganno dei detrattori del
noto filosofo, "che si battono per i valori tradizionali, gli ideali
religiosi, gli interessi del paese e della società", ignorando che nel
materialismo di Epicuro, "nelle sue
massime, di vivere ignorato, di
preferire la pace della campagna al rumore della città, di tenersi lontano da
cariche e responsabilità sociali, di non correre appresso ai soldi, di essere
frugali nel cibo, di evitare anche il matrimonio se è possibile, e cose di
questo genere, non a torto si sono trovate anticipazioni della morale cristiana". Utilitarismo, edonismo, egoismo,
amoralismo, eccetera, non sono riferibili alla filosofia di Epicuro.
Eppure, scrive Terribili, ancora oggi epicureo si
continua a dire di persona smodata, crapulona e corrotta, che è tutto il contrario di quello che era e insegnava
Epicuro. Il quale, tra l'altro, "pur
sostenendo essere il piacere l'unica regola dell'agire, razzolava benissimo:
era mite, sobrio, austero e tollerante". Per concludere questo rapido excursus
sulla figura e sull'opera di questo ingegno che è assolutamente doveroso,
oltre che estremamente edificante, ricordare, non posso tacere un versante
apparentemente secondario, ma non meno illuminante, della sua produzione
letteraria. Mi riferisco a due testi di
sonetti romaneschi al vetriolo ("Li
cattolici d'oggi" New Edit, 2007 e "Papa
oggi Papa ieri", New Edit 2009), scritti sull'onda dei suoi malumori
crescenti nei confronti del cattolicesimo in generale, con l'impietosa denuncia
del fariseismo e della degradazione della fede quando si riduce a facciata di
comodo, a pura e semplice formalità esteriore. Tuttavia un'avvertenza, prima di
concludere, è doverosa, giacché non vorrei, con questa panoramica, avere
alimentato una falsa immagine della sua figura.
Su moltissime cose
ci intendevamo, anche se i nostri pensieri non erano sovrapponibili, ma non è
di questo che intendo parlare. Ciò che ci tengo a sottolineare è che lui ha continuato
ad avere fino in fondo una fortissima fede cristiana. Una fede autentica che,
come mi scrisse un giorno, lo portava a credere nella Persona che "pur
negli ininterrotti rapporti con la sua natura animale e necessaria, coltiva e
perfeziona il suo spazio di libertà, grazie alla quale può perfino sottrarsi ai
legami della natura e della necessità". Credeva insomma nella trascendenza
(tutt'altra cosa della religione naturalistica greco-romana) e credeva
nell'infinito: "l'Infinito
spinoziano-romantico, specificava in quello scritto, nel quale il Poeta
naufragava. Un "dolce" naufragio,
ma naufragio vero e proprio". E con questo concludo, riportando il
discorso direttamente nel cuore e nell'ambito del festival che stiamo
celebrando, entro l'orbita del genio di Recanati.
Franco Campegiani
Ritengo sia impossibile commentare questa pagina dell'amico Franco, ma avverto il desiderio di provare un intervento anche in nome dello straordinario Muzio Terribili, che proprio tramite Franco, ho avuto l'onore di conoscere. La sua statura di Artista è stata ed è tale che non lo si può dimenticare e il caro Franco Campegiani gli tributa questo grande omaggio nel corso del 3° Festival Epicureo. Terribili, da pedagogo, impiantò l'Opera sul filosofo come dialogo tra un allievo moderno e il pensatore che "ci tiene a presentarsi come autodidatta e discepolo di nessuno". Il titolo dell'Opera è "Il piacere di Epicuro" e sfata giustamente il luogo comune di un amante dei beni materiali, un ateo seguace del piacere. Da sempre sembra che la filosofia di Epicuro insegua il godimento e si caratterizzi per questa peculiarità. In effetti Franco nel leggere Terribili chiarisce che La felicità secondo Epicuro è riuscire a vivere con quanto basta. Questo ci è possibile, però, solo riconoscendo che esistono importanti differenze tra i nostri bisogni e i piaceri che derivano dal soddisfarli. Personalmente da estimatrice di questo filosofo credo che mai come oggi pensare con Epicuro è un potente antidoto all’ansia rispetto alla propria vita. Infatti, il filosofo ci ricorda che è davvero poco l’irrinunciabile e che possiamo procurarcelo abbastanza facilmente. Questo non significa che la felicità secondo Epicuro comporti un vivere al ribasso. Al contrario, essa deriva da un continuo esercizio di scelta. Felice è chi sa vivere con poco. Chi si accontenta e gode delle felicità che ci vengono date in dote nell'attimo eterno che viviamo. Un concetto di grande rilevanza e di attualità imbarazzante. Franco mette in luce come Terribili tenda a confutare come "ancora oggi epicureo si continua a dire di persona smodata, crapulona e corrotta". Lo si può considerare anticonvenzionale, innovativo, ma non si deve negare la sua natura "mite, sobria, austera e tollerante". Un saggio quello presentato dal nostro Franco che fa onore a lui, filosofo rivoluzionario del terzo millennio, a Muzio Terribili, pedagogo, musicista e grande artista figurativo. Un gioiello che arricchisce l'Isola e ha sicuramente appagato i numerosi presenti al Festival. Mi complimento con lui, lo ringrazio per il tributo all'amico e, naturalmente lo abbraccio forte!
RispondiElimina"Mai come oggi pensare con Epicuro è un potente antidoto all'ansia rispetto alla propria vita". Hai ragioni da vendere, Maria. Cercare la felicità è stato il programma di Epicuro, e quanto questo possa essere rivoluzionario in tempi come i nostri votati all'infelicità (anche e soprattutto perché si confonde allegramente la felicità con l'ingordigia sfrenata), non c'è alcun bisogno di essere provato. Ti sono immensamente grato per questo attento e puntuale contributo.
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