Antologia essenziale della critica
«…l’antica nostalgia, / fedele
compagna della vita mia /...» è uno di quei versi che resta nella mente dopo
aver letto questa silloge di Franco Donatini. Ma sì, il tempo che fugge porta
via con sé molto di noi, ma lascia tracce del suo passaggio che ne conservano
l’odore e spesso un forte sapore... È la nostalgia, il sentimento che ci
accompagna, che non ci fa sentire la solitudine, fino al punto di farsi realtà
viva.
Donatini infatti “vive” in questo
sentimento, che a sua volta vive presente in ogni verso della silloge, per
questo la sua poesia è sempre una realtà, un presente ritrovato, tanto nel
piacere quanto nella consapevolezza amara di cosa perduta. Nei passaggi
emotivamente più sentiti il verso respira un lirismo di leggerezza, ma più
spesso il lirico cede la parola al pensatore tout-court. È notevole il
coinvolgimento del mito, nelle poesie di Donatini, ma più per argomentarne che
per celebrarne la bellezza. Franco è poeta di cultura, di riflessione e attaccamento
al logos più che al mythos, perché la concretezza del tempo, anche di quello
passato, gli è sempre presente, ed è questo che porta il senso di malinconia
che si avverte come back ground della sua produzione poetica.
In molte di queste liriche - peraltro
stilisticamente curate e con elegante lessico, - emerge la presenza della
negazione (vedi la prima poesia dedicata all’autunno, e soprattutto quella
intitolata Il Poeta...), sì come
“non” ma anche nella scelta semantica significante. Il Poeta nega per
affermare, quasi per voler sottolineare la fermezza del suo pensiero.
Dove invece il tono poeticamente
sale è nelle reminiscenze dei giorni felici, in particolare di quei momenti
vissuti nell’amore, rivissuti con appassionati accenti che li potenziano e ne
attuano una realtà ancora presente e viva. La parola è sempre molto importante
in queste liriche, perché è lei che ha il compito di trasmettere pensiero e
sentimento, oltre che evidenziare il valore della conoscenza. La parola “urla”,
come si legge nella lirica Urlano le
parole, e urla per dire e comunicare. Non dimentichiamo i versi finali di
questa composizione, versi che suonerebbero ottimamente come un esergo: «scrivo
soltanto perché voglio narrare / il navigar nel mio pensoso mare». In effetti
il poeta Donatini “narra” la sua storia, forse anche per riviverla, con quella
malinconia che le cose finite danno a chi le ha intensamente vissute, pur
tuttavia non nasconde il suo pensare e riflettere su un Presente che giudica
non positivamente, come avviene nell’ultima lirica della silloge. In Oh Icaro, più che altrove, il Poeta
esprime il suo pensiero sull’umanità. È difensore della tradizione e grida:
«Non può scienza andar contro natura /... e / Ma non son ali / per la libertà /
(...) ma per mostrargli la sua precarietà».
In ultima analisi noto che c’è un leit motiv
in questa Silloge, ed è chiaramente indicato nella poesia Omaggio ai miei poeti. In definitiva nessuno di noi potrà negare
che la vita umana è sogno e realtà.
Edda
Pellegrini Conte
Dal blog
“Alla volta di Lèucade”, 7.01.2020
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Sono avvezza a leggere Franco
Donatini, uomo di scienza e di parola, esperto narratore di storie, romanziere
e biografo di artisti, ma confesso che il Donatini poeta mi ha commosso, perché
il poeta non può non scavare nell’anima, dove si raccolgono le più intime
malinconie. Ed ecco, tra le crepe del tempo, ripercorrere le stagioni, gli
amori, gli incontri frugali. «Scrivo soltanto perché voglio narrare il navigare
nel mio pensoso mare», confida. Il Donatini poeta respira l’oscurità e il
mistero che ammalia suo animo inquieto, e in compagnia di Achab, Don Chisciotte
e Ulisse con le ali vuol spezzare le catene della sua cattività perenne. E
questo, solo la poesia può farlo.
Nadia
Chiaverini
Dal blog
“Alla volta di Lèucade”, 28.12.2019
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Cosa ci faccia un uomo di scienza
come Franco Donatini nei territori della poesia è presto spiegato: esistono
uomini che non intendono chiudersi nel loro piccolo mondo e a poco a poco
morirci, ma amano gli spazi aperti della vita, le avventure dell’intelletto,
gli slanci dello spirito. Donatini è uno di questi. La scienza si pone domande,
coltiva dubbi, cui poi dà risposta o soluzione: la poesia insinua dubbi, pone
problemi, ma quasi mai offre soluzioni. L’uomo di scienza, abituato a
rispondere positivamente a quesiti e difficoltà che attengono alla vita fisica
e materiale, quando entra in ambito poetico o morale o semplicemente nelle
tematiche e problematiche esistenziali, deve fare i conti con le difficoltà e
le aporie tipiche della condizione umana. Ciò accade anche a Donatini che dalle
scienze esatte si porta, a corredo della sua attività poetica, un esprit de
clarté che informa la sua nitida scrittura. Per il resto la sua poesia,
proponendosi alla lettura senza remore e senza paure, consapevole della propria
forza, rivela un contesto creativo in cui hanno un ruolo importante da un lato
il recupero memoriale di vicende, affetti, situazioni; dall’altro una tensione
spirituale che induce al ripiegamento interiore, all’auscultazione dei moti
dell’anima, allo scrutamento dei sentimenti più reconditi.
E anche se apparentemente il piglio
stilistico sembra essere piuttosto definitorio e senza tentennamenti (eredità
scientifica anche questa?), lo spirito critico del lettore non tarda a notare
quanto problematica e dolente sia la condizione psicologica sottesa a questa
poesia che possiamo definire dell’uomo e sull’uomo, poiché ne esamina gli
atteggiamenti e li commenta, spesso con un filo di delusione sottolineato a
volte da versi brevi e franti (quinari e settenari) in un processo metrico
prevalentemente endecasillabo.
Pasquale
Balestriere
10.04.2021
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Poesia di ampio respiro questa di
Franco Donatini - scevra da contaminazioni ermetiche - che si snoda lungo il
doppio binario dell’intimismo e della natura. Poesia che, quindi, segue i
canoni classici anche nella forma: l’unica concessione al moderno è la
ungarettiana assenza di punteggiatura. Un fraseggio limpido, sicuro, - basato
soprattutto su un endecasillabo di ottima fattura - ci riporta a squarci di
vita vissuta, quasi flashback affiorati alla memoria quando la nostalgia o
meglio la saudade si materializzano e diventano presenza tangibile nel contesto
poetico. C’è sempre immanente anche la fuga del tempo, questo Moloch che tutto
ingoia e restituisce deformato e mutilo ad una mente già di per sé turbata, in
quanto il poeta «respira l’oscurità e il mistero / che ammalia il suo animo
inquieto / mentre i rintocchi del tempo / batton lenti / accordandosi al fluir
dei sentimenti». Sì, il tempo entità non misurabile nel ricordo: «Ignoro quanto
tempo sia passato / un lustro un anno un giorno o solo ieri / Non son capace di
contare il tempo / né prevedere quando finirà / e cosa resterà di questa storia
/ se il vento spazzerà... dalla memoria». E allora si scrive per fissare sulla
carta quello che potrebbe scomparire da un momento all’altro e non darci più
contezza del nostro vissuto, l’unica cosa che veramente ci appartiene e di cui
solo noi ne conosciamo tutti i risvolti. Ma purtroppo quello che rimane, quello
che affiora è spesso il rimpianto di non aver goduto con piena intensità quanto
ci era stato riservato anche se «questa vita altro non è che un gioco / di dadi
che corrono su un verde / bizzarro e cinico tappeto di roulette...» e «…non c’è
più né ieri né domani / solo il presente ora e poi più niente / un’esistenza
che sfugge dalle mani». Pessimismo cosmico? Forse, ma è risaputo che la
maggioranza dei poeti spesso scrive quando le asperità del cammino sembrano
insormontabili e li assale lo sconforto. Tuttavia, come in questo caso, da
questi momenti esistenziali difficili nascono piccoli semi che germogliando ci
avvolgono di intenso profumo. Lasciamoci allora prendere dalla lettura di
questi versi - dal linguaggio suggestivo ma nel contempo semplice - per qualche
ora di svago, per dimenticare infine, per un breve lasso di tempo, i nostri
piccoli problemi quotidiani.
Carla
Baroni
10.04.2021
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Acquerelli dai toni pacati, i
quadretti di vita quotidiana e gli scorci emozionali, in cui l’ambiente e le
cose, sono un pretesto per l’autore dagli echi decadenti, per lasciar passare
il messaggio di rassegnata consapevolezza sul tempo che inesorabile, tutto
muta. Rare volte il languore pervade il lettore, subitanea la vigile
ragionevolezza dell’autore ci riporta sul piano sottilmente disincantato, che
tutto perdona e comprende. Sempre la lucidità della consapevolezza, ci
accompagna per mano e non ci lascia cadere nell’ amarezza senza ritorno dei rimpianti
asciutti, senza lacrime che lacerano.
Leggendo la poesia di Donatini, puoi
viaggiare toccando le tappe della poetica novecentesca, gustandone accenni e
sovrapposizioni, che niente tolgono alla sua fresca personale interpretazione
che profuma di tenerezza verso la vita e l’esistenza umana, qualcosa simile
alla pacata dolcezza di colui che sa come vanno le cose nel tempo, lontano da
impeti drammatici, perché velati dalla serenità sottile della coscienza, che
smorza e allinea i versi in una metrica musicale aderente agli stati d’animo e
al senso profondo dell’esistenza.
Stefania
Maffei
15 aprile
2021
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Davvero superbo l’omaggio di Franco
Donatini, che non ho l’onore di conoscere, al Poeta Giovanni Pascoli,
senz’altro meno citato di altri classici, nonostante le sue rare capacità
stilistiche e di contenuto. L’Autore del nostro tardo ‘800 cantava soprattutto
il mondo della natura, caricandolo di significati simbolici. Infatti, la sua
poetica, detta “del fanciullino” (dal titolo di un saggio di poetica, da lui
pubblicato nel 1897), consisteva nel trovare la poesia negli oggetti
quotidiani, nella campagna e nella natura, osservandoli con lo stupore e la
meraviglia di un bambino, e riscoprendone la purezza originaria. Franco
Donatini attua una sua interpretazione della notte del dieci agosto. Evita i
riferimenti al dolore del Pascoli per la grande perdita del padre e scrive un
gioiello in novenari interrotti tra due versi di tre sillabe sulla notte di
buio pesto, che s’illumina all’improvviso di una luce, «Un istante che sfida
l’immenso» - espressione sublime!, ma resta cosa vana per il dolore immenso del
Poeta. E Donatini si avvicina in modo sorprendente alla visione poetica del
Pascoli, tanto diversa da quella del suo contemporaneo Gabriele D’Annunzio, una
visione tesa a rendere la propria poesia un’espressione naturale e spontanea.
Condivido la necessità di valorizzare questo Artista umile e Immenso e credo
che Franco Donatini sia riuscito in modo eccellente nell’intento. Mi
complimento con lui e lo saluto con grata cordialità.
Maria
Rizzi
Commento alla lirica “Omaggio al Pascoli”
Dal blog
“Alla volta di Lèucade”, 13.08.2020
Ringrazio Franco Donatini per aver reso pubblico il mio commento. La sua Silloge non aveva bisogno di una così umile aggiunta. Mi complimento per l'Opera e gli auguro di ricevere il plauso che merita. Lo saluto con affetto.
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