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martedì 14 settembre 2021

IN USCITA LA SILLOGE DI FRANCO DONATINI: "LA SOLITUDINE DEL POETA": ALCUNE RECENSIONI

 Antologia essenziale della critica


«…l’antica nostalgia, / fedele compagna della vita mia /...» è uno di quei versi che resta nella mente dopo aver letto questa silloge di Franco Donatini. Ma sì, il tempo che fugge porta via con sé molto di noi, ma lascia tracce del suo passaggio che ne conservano l’odore e spesso un forte sapore... È la nostalgia, il sentimento che ci accompagna, che non ci fa sentire la solitudine, fino al punto di farsi realtà viva.

Donatini infatti “vive” in questo sentimento, che a sua volta vive presente in ogni verso della silloge, per questo la sua poesia è sempre una realtà, un presente ritrovato, tanto nel piacere quanto nella consapevolezza amara di cosa perduta. Nei passaggi emotivamente più sentiti il verso respira un lirismo di leggerezza, ma più spesso il lirico cede la parola al pensatore tout-court. È notevole il coinvolgimento del mito, nelle poesie di Donatini, ma più per argomentarne che per celebrarne la bellezza. Franco è poeta di cultura, di riflessione e attaccamento al logos più che al mythos, perché la concretezza del tempo, anche di quello passato, gli è sempre presente, ed è questo che porta il senso di malinconia che si avverte come back ground della sua produzione poetica.

In molte di queste liriche - peraltro stilisticamente curate e con elegante lessico, - emerge la presenza della negazione (vedi la prima poesia dedicata all’autunno, e soprattutto quella intitolata Il Poeta...), sì come “non” ma anche nella scelta semantica significante. Il Poeta nega per affermare, quasi per voler sottolineare la fermezza del suo pensiero.

Dove invece il tono poeticamente sale è nelle reminiscenze dei giorni felici, in particolare di quei momenti vissuti nell’amore, rivissuti con appassionati accenti che li potenziano e ne attuano una realtà ancora presente e viva. La parola è sempre molto importante in queste liriche, perché è lei che ha il compito di trasmettere pensiero e sentimento, oltre che evidenziare il valore della conoscenza. La parola “urla”, come si legge nella lirica Urlano le parole, e urla per dire e comunicare. Non dimentichiamo i versi finali di questa composizione, versi che suonerebbero ottimamente come un esergo: «scrivo soltanto perché voglio narrare / il navigar nel mio pensoso mare». In effetti il poeta Donatini “narra” la sua storia, forse anche per riviverla, con quella malinconia che le cose finite danno a chi le ha intensamente vissute, pur tuttavia non nasconde il suo pensare e riflettere su un Presente che giudica non positivamente, come avviene nell’ultima lirica della silloge. In Oh Icaro, più che altrove, il Poeta esprime il suo pensiero sull’umanità. È difensore della tradizione e grida: «Non può scienza andar contro natura /... e / Ma non son ali / per la libertà / (...) ma per mostrargli la sua precarietà».

 In ultima analisi noto che c’è un leit motiv in questa Silloge, ed è chiaramente indicato nella poesia Omaggio ai miei poeti. In definitiva nessuno di noi potrà negare che la vita umana è sogno e realtà.

Edda Pellegrini Conte

Dal blog “Alla volta di Lèucade”, 7.01.2020

 

 

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Sono avvezza a leggere Franco Donatini, uomo di scienza e di parola, esperto narratore di storie, romanziere e biografo di artisti, ma confesso che il Donatini poeta mi ha commosso, perché il poeta non può non scavare nell’anima, dove si raccolgono le più intime malinconie. Ed ecco, tra le crepe del tempo, ripercorrere le stagioni, gli amori, gli incontri frugali. «Scrivo soltanto perché voglio narrare il navigare nel mio pensoso mare», confida. Il Donatini poeta respira l’oscurità e il mistero che ammalia suo animo inquieto, e in compagnia di Achab, Don Chisciotte e Ulisse con le ali vuol spezzare le catene della sua cattività perenne. E questo, solo la poesia può farlo.

Nadia Chiaverini

Dal blog “Alla volta di Lèucade”, 28.12.2019

 

 

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Cosa ci faccia un uomo di scienza come Franco Donatini nei territori della poesia è presto spiegato: esistono uomini che non intendono chiudersi nel loro piccolo mondo e a poco a poco morirci, ma amano gli spazi aperti della vita, le avventure dell’intelletto, gli slanci dello spirito. Donatini è uno di questi. La scienza si pone domande, coltiva dubbi, cui poi dà risposta o soluzione: la poesia insinua dubbi, pone problemi, ma quasi mai offre soluzioni. L’uomo di scienza, abituato a rispondere positivamente a quesiti e difficoltà che attengono alla vita fisica e materiale, quando entra in ambito poetico o morale o semplicemente nelle tematiche e problematiche esistenziali, deve fare i conti con le difficoltà e le aporie tipiche della condizione umana. Ciò accade anche a Donatini che dalle scienze esatte si porta, a corredo della sua attività poetica, un esprit de clarté che informa la sua nitida scrittura. Per il resto la sua poesia, proponendosi alla lettura senza remore e senza paure, consapevole della propria forza, rivela un contesto creativo in cui hanno un ruolo importante da un lato il recupero memoriale di vicende, affetti, situazioni; dall’altro una tensione spirituale che induce al ripiegamento interiore, all’auscultazione dei moti dell’anima, allo scrutamento dei sentimenti più reconditi. 

E anche se apparentemente il piglio stilistico sembra essere piuttosto definitorio e senza tentennamenti (eredità scientifica anche questa?), lo spirito critico del lettore non tarda a notare quanto problematica e dolente sia la condizione psicologica sottesa a questa poesia che possiamo definire dell’uomo e sull’uomo, poiché ne esamina gli atteggiamenti e li commenta, spesso con un filo di delusione sottolineato a volte da versi brevi e franti (quinari e settenari) in un processo metrico prevalentemente endecasillabo.

Pasquale Balestriere 

10.04.2021 

 

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Poesia di ampio respiro questa di Franco Donatini - scevra da contaminazioni ermetiche - che si snoda lungo il doppio binario dell’intimismo e della natura. Poesia che, quindi, segue i canoni classici anche nella forma: l’unica concessione al moderno è la ungarettiana assenza di punteggiatura. Un fraseggio limpido, sicuro, - basato soprattutto su un endecasillabo di ottima fattura - ci riporta a squarci di vita vissuta, quasi flashback affiorati alla memoria quando la nostalgia o meglio la saudade si materializzano e diventano presenza tangibile nel contesto poetico. C’è sempre immanente anche la fuga del tempo, questo Moloch che tutto ingoia e restituisce deformato e mutilo ad una mente già di per sé turbata, in quanto il poeta «respira l’oscurità e il mistero / che ammalia il suo animo inquieto / mentre i rintocchi del tempo / batton lenti / accordandosi al fluir dei sentimenti». Sì, il tempo entità non misurabile nel ricordo: «Ignoro quanto tempo sia passato / un lustro un anno un giorno o solo ieri / Non son capace di contare il tempo / né prevedere quando finirà / e cosa resterà di questa storia / se il vento spazzerà... dalla memoria». E allora si scrive per fissare sulla carta quello che potrebbe scomparire da un momento all’altro e non darci più contezza del nostro vissuto, l’unica cosa che veramente ci appartiene e di cui solo noi ne conosciamo tutti i risvolti. Ma purtroppo quello che rimane, quello che affiora è spesso il rimpianto di non aver goduto con piena intensità quanto ci era stato riservato anche se «questa vita altro non è che un gioco / di dadi che corrono su un verde / bizzarro e cinico tappeto di roulette...» e «…non c’è più né ieri né domani / solo il presente ora e poi più niente / un’esistenza che sfugge dalle mani». Pessimismo cosmico? Forse, ma è risaputo che la maggioranza dei poeti spesso scrive quando le asperità del cammino sembrano insormontabili e li assale lo sconforto. Tuttavia, come in questo caso, da questi momenti esistenziali difficili nascono piccoli semi che germogliando ci avvolgono di intenso profumo. Lasciamoci allora prendere dalla lettura di questi versi - dal linguaggio suggestivo ma nel contempo semplice - per qualche ora di svago, per dimenticare infine, per un breve lasso di tempo, i nostri piccoli problemi quotidiani.

Carla Baroni 

10.04.2021

 

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Acquerelli dai toni pacati, i quadretti di vita quotidiana e gli scorci emozionali, in cui l’ambiente e le cose, sono un pretesto per l’autore dagli echi decadenti, per lasciar passare il messaggio di rassegnata consapevolezza sul tempo che inesorabile, tutto muta. Rare volte il languore pervade il lettore, subitanea la vigile ragionevolezza dell’autore ci riporta sul piano sottilmente disincantato, che tutto perdona e comprende. Sempre la lucidità della consapevolezza, ci accompagna per mano e non ci lascia cadere nell’ amarezza senza ritorno dei rimpianti asciutti, senza lacrime che lacerano.

Leggendo la poesia di Donatini, puoi viaggiare toccando le tappe della poetica novecentesca, gustandone accenni e sovrapposizioni, che niente tolgono alla sua fresca personale interpretazione che profuma di tenerezza verso la vita e l’esistenza umana, qualcosa simile alla pacata dolcezza di colui che sa come vanno le cose nel tempo, lontano da impeti drammatici, perché velati dalla serenità sottile della coscienza, che smorza e allinea i versi in una metrica musicale aderente agli stati d’animo e al senso profondo dell’esistenza.

Stefania Maffei 

15 aprile 2021

 

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Davvero superbo l’omaggio di Franco Donatini, che non ho l’onore di conoscere, al Poeta Giovanni Pascoli, senz’altro meno citato di altri classici, nonostante le sue rare capacità stilistiche e di contenuto. L’Autore del nostro tardo ‘800 cantava soprattutto il mondo della natura, caricandolo di significati simbolici. Infatti, la sua poetica, detta “del fanciullino” (dal titolo di un saggio di poetica, da lui pubblicato nel 1897), consisteva nel trovare la poesia negli oggetti quotidiani, nella campagna e nella natura, osservandoli con lo stupore e la meraviglia di un bambino, e riscoprendone la purezza originaria. Franco Donatini attua una sua interpretazione della notte del dieci agosto. Evita i riferimenti al dolore del Pascoli per la grande perdita del padre e scrive un gioiello in novenari interrotti tra due versi di tre sillabe sulla notte di buio pesto, che s’illumina all’improvviso di una luce, «Un istante che sfida l’immenso» - espressione sublime!, ma resta cosa vana per il dolore immenso del Poeta. E Donatini si avvicina in modo sorprendente alla visione poetica del Pascoli, tanto diversa da quella del suo contemporaneo Gabriele D’Annunzio, una visione tesa a rendere la propria poesia un’espressione naturale e spontanea. Condivido la necessità di valorizzare questo Artista umile e Immenso e credo che Franco Donatini sia riuscito in modo eccellente nell’intento. Mi complimento con lui e lo saluto con grata cordialità.

Maria Rizzi 

Commento alla lirica “Omaggio al Pascoli” 

Dal blog “Alla volta di Lèucade”, 13.08.2020

 

 

 

 

 

 

 

 

 

1 commento:

  1. Ringrazio Franco Donatini per aver reso pubblico il mio commento. La sua Silloge non aveva bisogno di una così umile aggiunta. Mi complimento per l'Opera e gli auguro di ricevere il plauso che merita. Lo saluto con affetto.

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