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lunedì 20 settembre 2021

NAZARIO PARDINI LEGGE: "OLTRE IL TEMPO" DI ANTONIO COSTANTINO

 


Il poeta legge nel tempo la misura della vita mentre

ambirebbe ad andare oltre per scoprire il gioco dell’eternità

 

Recensione di Nazario Pardini alla silloge poetica

“Oltre il tempo” di Antonio Costantino

 


Il campo

Un campo enorme io vedo

se chiudo gli occhi

divino sotto il sole,

luce non chiusa tra quattro pareti

la luce che prigione non soffre

e il cupo non sopporta calendario della sera

risposte attendo

che tu darmi non sai

quasi offesa

la tua anima fosse,

così terrò chiusi gli occhi

per la vita

e penserò che altro non esista

oltre la luce.

 

È partendo da questa poesia incipitaria che si scopre da subito la fusione dell’animo del poeta Antonio Costantino con la bellezza della natura ma anche l’inquietudine splenetica che lo stesso si porta dietro nella sua ricerca di epistemologica fattura. Forse è proprio la bellezza che ogni giorno contempliamo dinanzi a noi a creare uno stato di perenne malinconia dettato dal fatto che prima o poi dovremo lasciare il tutto per lidi misteriosi. Infatti il motivo del tempus fugit, del correre impietoso del tempo, crea nel poeta un sentimento di precarietà dell’esistere considerando il fatto che la vita non è altro che un frangente prestato dalla morte. Ibi omnia sunt: la bellezza della natura, il memoriale, la malinconica riflessione sulla brevità dell’esistere, gli affetti, le radici, il cuore che pulsa per tutto ciò che lo commuove, sentimento, passione, e soprattutto la reificazione di stati d’animo in verbalismi di corposo oggettivismo. Oltre il tempo, il titolo della silloge, un titolo significativo che sta a indicare la volontà dell’autore di baipassare questo soggiorno per slanciarsi oltre, al di là dell’hic e del nunc, un po’ per scoprire il mistero del vivere e un po’ per conservare intatta la visione di una natura che spera viva e vivrà per sempre, oltre il tempo. E la poesia continua nel suo viaggio altalenante di vita e di morte, di luce e di penombra:

 

La roccia

 

Ormai non ci sei più

rapita da orizzonti lontani

di te non è rimasto che il sorriso

sulla roccia scura che scende

come una frana nell’acqua.

Oggi cerco questo sorriso antico

che di estati fu compagno

liete

forse è rimasta la tua voce

che io cerco

tra folate di vento

e che ripete fioca

una giovane berta

che sul palcoscenico precipita

azzurro riporto di inseparabili onde.

 

Quel “più” iniziale sta a significare il giorno dello strappo, dell’addio, dell’abbandono di una veduta insostituibile che ha accarezzato il sentire per tradursi in pericopi di ampio respiro. Altra caratteristica di questa narrazione sta nell’uso di un linguismo articolato e concreto sperso spesso in uno stato di esistenziale abbandono che illumina il poema di orizzonti lontani: il sorriso, roccia scura, frana, sorriso antico, compagno, voce, tra folate di vento, fioca, una giovane berta, precipita. Sono tanti elementi che contraddistinguono l’ossimorico gioco vitale del poeta, combattuto tra la bellezza della luce e il traumatico senso del buio. Ed è il sole a concretizzare il bisogno di luce e la necessità di inviarla oltre la data dell’addio; sole luce, luce vita, vita amore, amore radici.

Sole

Sul profilo verde dorato

dove biancheggiano le robinie

la tua gloria si consuma

nessuno ti può contendere

questo immane dominio del mondo

davvero non vuoi saperne del tramonto

e sfolgorante indugi nel tuo impero

quasi a fugar le ombre ancora nascoste.


Una continua gara tra splendore e tramonto, tra giorno e oscurità, è ciò che domina in questa poesia che si fa leit motiv di un animo che corre empaticamente con una melodia trasferita nei verbi del poema. Sì, una melodia quale è lo scheletro portante, la nervatura di un dire ampio e articolato dove pathos e logos si integrano per dare sostanza al dettato poetico. 

Candele

E quando le candele accenderai

non saprai quanto dureranno

se il tuo cuore potrà resistere all’addio

sarà un giorno un mese oppure un anno

e cercherai qual è il tuo porto cui approdare

tra tanti discorsi inconsueti

e duro sarà veder partire gli invitati

e quante sedie sembreranno ancora più vuote

quanti neppure ti avranno detto addio.

 

Spesso riappare il temine addio, visualizzato nella pericope di una candela, il cui lume dura a stento fino a quando cesserà di far luce. Una poetica fortemente simbolica dove gli oggetti più umili si fanno parole, linguaggio, di cui si serve il pota per esprimere il suo conflitto interiore. Sembra proprio che Antonio Costantino voglia esternare i suoi palpiti con corpi visivi per rendere più concreto il suo dire.

Il viaggio continua alla scopetta di una verità difficilmente perseguibile, dato che a noi mortali non è dato sapere più di tanto, nemmeno affidandoci alla luna:

Luna

Dove sei, dove sorgi questa sera

questo non è il tuo posto

in altra parte del cielo ti hanno acceso

una strada hai seguito diversa

e rischi di cadere

anche se oggi è una festa radiosa.

V’è un passaggio di aerei

di luci alternanti che si interrogano

e il rumore s’acqueta

come un commento fuori luogo,

incapace di carpire questa

illuminata caligine.

Fino alla similitudine del giardino, a chiusura della raccolta, di cui il poeta tutto conosce: i germogli, le betulle, l’alloro, quando la sera lontana non era, e mi sentivo della mia stessa vita. Il giardino, la conoscenza, la chiusura, il limite, l’aspirazione ad andare oltre, oltre il tempo, oltre l’esistere:

Il mio giardino

Più non vi sono rami

ch’io non conosca nel mio giardino.

Potrei i germogli contare

come i giorni del mio destino.

Là dietro le betulle

si leva l’abete bianco

seminascosto dall’alloro immenso

dove correvano i miei figli

che seguivo con lo sguardo stanco

fermo come una statua di gesso

quando la sera lontana non era

e come un ospite mi sentivo

della mia stessa vita.


Il flauto 

Quando potrò le nubi

con il mio flauto quaggiù attirare

quasi vi fosse un parco

dove riposare,

immenso

dopo tanto cammino.

Questo flauto è spento o più non sono

le note capaci

di giungere lassù.

Così vai immenso gregge

nel cielo veleggiando che non

conosco e che non vedo.

Motivi che si ripetono nella poesia il flauto dove il poeta rivela il bisogno di riposo da un percorso lungo e faticoso fatto di scogli e trabucchi, di inciampi per un pensiero troppo umano; troppo vasto per un essere che deve navigare in un mare tempestoso il cui orizzonte non conosce e non vede. Una ricerca complessa articolata che rivela un animo plurale, polivalente, turbato da risultati inefficaci in base a ciò che un uomo si ripropone. Fino all’ultima composizione dal titolo L’altro dove l’autore rivela tutta la sua versatilità, ecletticità nel tratteggiare i vari momenti di una vita affidata ad un canto che fa da cassa di risonanza a tutta la silloge:

L’altro

Se cade una stella

detto non è che lui la veda

guardi e non vedi nulla

o cerchi nelle nubi sparse il suo ritratto

presto il rintocco suonerà della notte

e come Jung raccontava

uno troverai in te che non conosci.

Forse l’altro l’anima ti sfiorerà

e spererai che lui almeno sia eterno

e del tempo la fine non conosca.

Lunga è la notte e il giorno incerto

e l’altro del mistero ti parlerà

della vita.

Qui fra il mistero della durata infinita della notte o l’incertezza del giorno si prolunga la vita, quel tratto di tempo che si fa nullo se misurato col tutto degli anni. D’altronde il poeta è prima di tutto un essere vivente e come tale si pone tutti quegli interrogativi che un uomo si pone: esisto?, il tempo che mi è dato quando scade, cosa resterà di questa vita, niente si può sapere dell’aldilà. Il fatto sta che proprio questa vicenda fa parte del nostro essere, e costituisce il dilemma del vivere e morire, di Eros e Thanatos.

Nazario Pardini

 

 

 

Antonio Costantino, Oltre il tempo, pref. Michele Miano, Guido Miano Editore, Milano 2021, pp. 102, isbn 978-88-31497-62-6, mianoposta@gmail.com.

 

 

 

 

 

1 commento:

  1. La cifra del nostro Vate credo non sia da ricercare
    soltanto nella qualità della sua critica letteraria (per la quale si è pur guadagnata i maggiori riconoscimenti accademici), ma anche in un suo talento raro e originale: quello di generare vita, a cominciare dalla sua propria, dalla più pura riflessione ermeneutica, ma anche di intensificare il pensare tanto da comprendere il vissuto dell'Autore. Ne è splendida dimostrazione questa pagina dedicata all'Opera di Antonio Costantino "Oltre il tempo". Si ritaglia per sé il ruolo dell’iniziatore, di colui che avvia a vivere una realtà, ad abitare l'insondabile: a dialogare con l’autore del testo, incontrando le emozioni, i sentimenti, la parola dell’altro. Poesie intense come il flusso dei giorni, soffuse di malinconia, dal velo che ci separa dall'oltre, dal mistero che è origine di vita e di poesia. E il Maestro recita: "Qui fra il mistero della durata infinita della notte o l’incertezza del giorno si prolunga la vita, quel tratto di tempo che si fa nullo se misurato col tutto degli anni. D’altronde il poeta è prima di tutto un essere vivente e come tale si pone tutti quegli interrogativi che un uomo si pone: esisto?" Una recensione pedagogica di una Silloge che è specchio di ogni esistenza e induce a riflettere sull'unica eternità che può indurci a tacere: "questo immane dominio del mondo/davvero non vuoi saperne del tramonto". Complimenti vivissimi all'Autore e al nostro straordinario Condottiero.

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