PRESENTAZIONE DELLA SILLOGE “PADRONA DI GIOCHI DI LUCE” DI SILVIA COZZI
(Edizione
Enoteca Letteraria-Roma)
Negli anni scolastici, la mia
professoressa d’italiano, quando ci assegnava un tema, continuava a ripeterci: “ Mi raccomando… il
preambolo, il cappello sono necessari per introdurre e discutere a fondo
l’argomento che dobbiamo trattare”.
Bene! Noi questa sera il preambolo lo
saltiamo e il cappello invece ce lo togliamo, per rendere omaggio alla
pubblicazione dell’opera prima “PADRONA
DI GIOCHI DI LUCE” di SILVIA COZZI.
Presentare un’opera prima non è mai
semplice per il critico di turno, soprattutto quando si tratta di poesie,
perché il poeta, in fondo, vive in un mondo tutto suo che gli altri non
riescono a vedere o immaginare, in quanto i sogni sono sempre e solo personali.
Non vi aspettate, quindi, un mio giudizio sulla pubblicazione, ma solo una
raccolta di pensieri e sensazioni percepiti dalla lettura del tomo, perché
penso che si possa giudicare solo conoscendo a fondo l’opera omnia
dell’autore/autrice che sia.
Si tratta di una silloge poetica in cui
l’autrice stimola l’attenzione del lettore predisponendolo alla fruizione
estetica del testo utilizzando efficacemente (può sembrare anacronistico oggi)
la metrica della rima prevalentemente alternata.
E’ una poesia molto variegata, allo stesso tempo semplice e sofisticata, quotidiana e surreale, stonata e musicale, che provoca un groviglio di dubbi ed emozioni, ma non lascia certo l’amaro in bocca, perché , come diceva un mio amico poeta :”La poesia è come la verità, dapprima fa male alle coscienze, poi rasserena e trascina la ragione al cuore”.
Quello che si respira tra i versi di Silvia è un perenne senso di inquietudine volta alla ricerca di una connessione tra il mondo apparente e quello interiore in cui si agitano i demoni della realtà contingente.
Le immagini
rappresentate nelle liriche dell’autrice danno l'impressione di essere dei
flashback autonomi che nulla hanno a che vedere con le poesie stesse.
Sono versi
secchi, perentori, quasi messi insieme senza un'apparente logicità
consequenziale, ma da più approfondita rilettura scopri che non sono altro che
lo specchio di un'anima travagliata e in perenne conflitto con se stessa,
perché il poeta, come diceva Herman Hesse è "un parto infelice
della natura che porta dentro di se il germe dell'infelicità'".
Nel
flusso e riflusso della vita, infatti, ci troviamo a navigare in un oceano di
sentimenti spesso in contrapposizione tra loro, tanto da farci sentire in balia
di tempeste e uragani furiosi, che mettono a repentaglio la nostra stessa
incolumità e stabilità sia fisica che morale. E in questo mare di inquietudini
il poeta (non mi piace il termine poetessa) diviene l'alta marea che tutto rasserena e rende
tranquillo quando dice: “ Se
fossi un canto parlerei d’amore / dolce e struggente quella melodia / che
sembra un valzer, scaccia via il dolore, / e ci travolge nella sua magia.”
Il
suo cammino poetico è un perdersi nel tempo, avere mille occhi, scandagliare
ove più possibile lo scibile, l’universo, il proprio alter ego e costruirsi
addosso l’abito perfetto per vivere la vita nella realtà e non nel sogno, come
si evince dai versi: “Mi sintonizzo e
adesso, / (stordita dal fragore che rimbomba) ,/ cavalco il mio momento.”.
Una
poesia dolorosa quella di Silvia Cozzi? Tutt’altro! E’ una poesia pregna di sentimento,
di alcune folgorazioni e riflessioni magmatiche che si integrano nell’ascesi
dello spirito verso la ricerca della rivelazione del mistero della vita, della
morte, dell’amore, del sogno senza confini, del nulla e dell’essere, della
sacralità del reale e della realtà del razionale. E se è vero che, da quando
esiste la vita, l’Amore è gioia e tormento, pace e guerra, notte e giorno,
paradiso e inferno, ma nonostante tutto irrimediabilmente ne restiamo vittime,
l’Autrice ne è talmente ipnotizzata da diventarne parte integrante, molecola
vitale per una poesia colma di amore cosmico, che diventa ammonimento per il
lettore a voltare pagina, abbandonare la futilità edonistica di questa società
e vivere questo soffio di vita immersi nella felicità e nella serenità che solo
l’amore può darci.
Concludo con una citazione di Octavio Paz: “La poesia non conosce confini, salva dalla solitudine, perpetua la speranza attraverso il canto dell’amore e fa della massa un popolo di individui”.
Massimo Chiacchiararelli
SE
FOSSI
In questa lirica Silvia Cozzi si rifà
al sonetto più famoso del poeta CECCO
ANGIOLIERI (1260-1313) “S’i fossi foco””, peraltro ripreso
in una famosa canzone da Fabrizio De Andrè, ribaltandone il filo conduttore,
che in Cecco era costituito dalla rabbia e malessere verso la società della sua
epoca, mentre in Silvia si tramuta in amore verso il suo “lui” e il mondo
intero.
Se
fossi il vento ti accarezzerei
piano
sul viso con delicatezza,
i
tuoi capelli un po’ scompiglierei
come
se fossi tenera carezza.
Se
fossi il mare in me ti accoglierei,
nel
silenzioso e sconosciuto mondo,
nel
mio mistero ti travolgerei,
ne
coglieresti il senso più profondo.
Se
fossi sole accenderei il tuo giorno,
disciolto
il gelo che ferisce il cuore,
coi
miei splendenti raggi tutt’intorno
ti
scalderei col dolce mio tepore.
Se
fossi luna invertirei le rotte,
disperderei
la tua malinconia
rendendo
luminosa quella notte
in
cui l’insonnia fa da compagnia.
Se
fossi fuoco lambirei vivace,
con
la mia fiamma poi t’avvolgerei,
riaccenderei
l’incandescente brace,
ti
brucerei nei desideri miei.
Se
fossi un canto parlerei d’amore,
dolce
e struggente quella melodia,
che
sembra un valzer, scaccia via il dolore,
e
ci travolge nella sua magia.
QUEL
GIORNO
In
questi versi ci sono azzurri frammenti di gioie e dolori colti al volo,
scavando nel fondo dei ricordi e del proprio io, che a poco a poco mutano in
note musicali, suonate con tocco lieve e magistrale, da assaporare lentamente e
ad occhi chiusi.
Quel
giorno sembrava ideale
per
viverlo dentro un sorriso,
ma
adesso il ricordo fa male
e
offusca il tuo viso.
Ti
ho amato tra gioia e dolore
sfidando
il più ostile destino
e
in questa stagione che muore
sei
solo un puntino
lontano,
disperso nel vento,
frammento
di un lieve ricordo
che
piano lenisce il violento
dolore
un po’ sordo.
E
resta soltanto nel cuore
Il
senso di un sogno rubato;
il
gusto davvero insapore
di
un bacio mai dato.
LA
CAREZZA DEL SILENZIO
Troppo
spesso l’uomo fugge da sé stesso per recuperare parte del proprio vissuto ed in
questa fuga il silenzio diviene il miglior compagno della solitudine, che a sua
volta tramuta in malinconia, per la consapevolezza che “ di fronte c’è il tempo”, che nuovamente lo riporterà, un po’ alla
volta, a ricongiungersi alla propria memoria.
Non
fare più rumore,
perché
questo fragore mi sovrasta
e
spegne l’entusiasmo,
annienta
la carezza del silenzio.
Come
un’eco la voce,
che
assordante rimbomba e squarcia il cielo.
Non
so che cosa siamo,
non
so cosa eravamo in un passato
che
distorce le forme
e
deforma certezze nel presente.
Adesso
fai silenzio
che
invitante ci culli un altro sogno
in
cui non ci saremo
e
ci saluterà solo il ricordo
di
quel tempo che fugge
che
con le tue parole fai di sale,
ma
la realtà non mente,
sa
già che ci faremmo solo male.
VORREI
CHE FOSSI QUI
E’ questa una poesia fresca ma inquieta, viva ma
nostalgica, sognante ma reale, idilliaca ma razionale: poesia che, comunque,
vibra di musicalità, sensibilità, amore, passione, desiderio e… tanta speranza.
Vorrei
che fossi qui,
per
colorare un poco la mia vita,
sulla
tua spalla poserei la testa
ed
accarezzeresti i miei capelli
facendomi
tornare ragazzina.
Ti
parlerei di me,
e
mi daresti ancora dei consigli
sdrammatizzando
con la tua ironia,
dipingeresti
il buio di allegria.
Noi
canteremmo insieme,
le
solite canzoni un po’ stonate,
che
ancora io non ho dimenticate,
ma
ho chiuso in un cassetto in fondo al cuore.
Ridendo
e commentando di ogni cosa,
renderesti
la vita meno uggiosa,
il sole tornerebbe nel mio cielo.
Ma
solo nei bei sogni ora mi appari,
i
nostri pochi incontri sono rari,
avvolti
d’impalpabile tristezza.
Ed
io vorrei fermare quel momento,
in
cui ti vedo, volto senza tempo,
inconsistente,
fragile figura.
Un
giorno, chi lo sa tra quanto ancora,
noi
due, vicini, voleremo insieme,
e
ci confonderemo con l’aurora.
Poesie d'amore molto belle, delicate, suggestive. Molto gradevole anche la forma che serve a rendere meno banali le frasi che gli innamorati si ripetono da millenni credendo che siano le uniche al mondo. Brava, continua così.
RispondiEliminaCarla Baroni
Ringrazio di cuore Nazario per aver dato voce al nostro Massimo Chiacchiararelli, un pilastro del Circolo e della Cultura in genere, di rara umiltà. Da quarant'anni scrive poesie, romanzi e calca le tavole dei palcoscenici teatrali da attore e da regista. Prima delle lunghe chiusure doveva presentare la Silloge di Silvia Cozzi, che è un'artista a noi vicinissima,in qualità di Segretaria Iplac, di autentico valore, in quotidiana crescita. Abbraccio forte entrambi insieme al Condottiero, di generosità inesauribile.
RispondiEliminaRingrazio il Professore Nazario Pardini per l'ospitalità nel suo Blog, onorata davvero. Massimo Chiacchiararelli ha saputo cogliere a pieno l'essenza della mia poetica con grande sensibilità, la sua recensione è stato un dono inaspettato e di gran valore che mi ha resa felice. Grazie a chi è intervenuto e interverrà con un suo commento❤️
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