Francesco
De Caria legge
“Sussurro
estivo” di Lino D’Amico
Sussurro estivo
Nel primo raggio di luce mattutina,
variopinti fiori di campo
sbocciano, profumano,
poi, scolorano, al vespero
nel declino di un tempo sospeso
che svanisce nel fruscio di un soffio,
inebriato nel fiatare di un sogno.
Nulla resta a recitare giorni scossi,
ostaggi d’attese e di silenzi,
sapori di fantasie ad occhi chiusi,
apparenze, parole mute
per distillare l’attimo nell’attimo,
suggere il sogno dei colori
di quel primo sussurro estivo .
“Sussurro...soffio … silenzi … parole mute // …
petali … quei fiori ….”: ci paiono queste le parole chiave del componimento,
dal momento che, come è noto, in un brano di poesia non conta tanto la
concatenazione logica dei concetti, come
invece in un discorso, come in un brano di prosa. La poesia ha propri codici espressivi, come
la pittura, come la musica: sono alcune “pennellate”, è il ripetersi di un
breve motivo, che possono essere anche tre , quattro note, a dare il senso di
un quadro o di un brano musicale. Il resto è “cornice”, è “impalcatura”. Ebbene
in questo ultimo testo di D’Amico ci è sembrato di individuare proprio nei
vocaboli indicati in apertura il “tono”, la consistenza che gli sono propri. Intanto il silenzio, che ricrea un’atmosfera
assorta, di attesa; un silenzio proprio, silenzi, sussurro, soffio,
oppure fatto di parole mute, di cui non si distingue il suono, come in
certi sogni in cui un personaggio dice
parole che non udiamo o che non comprendiamo; un silenzio percorso di sussurri
e colpi di vento. E proprio in quei sussurri, in quei mormorii c’è la chiave di
comprensione profonda della realtà, al
di là dello schermo e del rumorio delle cose quotidiane. In quel mettere a
tacere in noi stessi la realtà attuale coi suoi fragori e i suoi frastuoni che
ci distraggono da noi stessi, compaiono
agli occhi dell’anima luci dai colori
tenui, trasparenti, come d’acquerello, immagini dalla consistenza diafana e
fragile di petali che stanno per appassire (variopinti fiori … scolorano), di un fiatar, del sogno. Il passato si accampa dinnanzi alla
memoria così, come un film in cui le immagini, fatte di luce, sono
intenzionalmente composte di realtà analogica e di sensazioni che essa evoca,
per richiami, per rimandi nella mente dello spettatore, una realtà fatta di
riflessi che i fatti concreti hanno sull’animo dell’ individuo (ognuno è solo
in questi attimi, nei quali ripercorre la propria esistenza come a fotogrammi
staccati, non in sequenza): attese, silenzi, fantasie, apparenze che
compongono una realtà nuova, che della realtà vissuta non ha più la consistenza
e ha anzi la stessa impalpabilità di una luce, di un colore, di un petalo. Così
si è decantata, nella senecana senectus la realtà fatta di “carne e
sangue” che ognuno vive nell’età in cui
la forza della mente e il vigore fisico consentono di immergersi nel meccanismo
complesso, da macchina di orologio da rote, dell’esistenza – esistere è essere qui ed ora, cioè nella
concretezza del presente - di lottare
nell’agone che gli è dato affrontare.
Francesco De
Caria
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