Pasquale D’Alterio
LIRICHE SCELTE
Recensione di Marco Zelioli
Queste Liriche
scelte di Pasquale D’Alterio, che Guido Miano Editore propone nella sua
collana Analisi Poetica Sovranazionale del terzo millennio (suddivise secondo le tre tematiche più rilevanti: “Liricità della
natura”, “Problematiche esistenziali”, “Il tema dell’amore”), ci riportano ad
assaporare la vena nostalgica del poeta napoletano,
che dal 2014 ha prodotto interessanti raccolte: La Vita, il Tempo, l’Amore, la Morte (AbbìAbbè
Edizioni, Giuliano in Campania 2014); Il canto dell’anima (ivi, 2016); Ancora
nel cuore (Guido Miano Editore, Milano 2019) e Le pagine della nostra vita
(pubblicata in Opera omnia, ivi 2020). Nostalgia che affiora anche
quando tratta dell’amore, anzi de L’amore vero:
“Dolce come miele d’acacia / è il vero amore, / caldo, come d’inverno, / il
fuoco d’un camino, / fresco e dissetante / come acqua di montano torrente, /
morbido come di un bimbo l’abbraccio, / eterno come dei cari defunti il
ricordo, / carezzevole come il mare d’estate, / lieve come, sulle labbra, un
bacio fugace, / non caduco come le umane illusioni” (p.74).
Nella prima parte spicca, come nota Enzo Concardi,
“il gruppo di liriche in cui avviene il colloquio - talvolta diretto, altre
volte mediato dalla meditazione - tra l’uomo e la natura” (p.8), con qualche
eco nerudiana. Ma forse ancor più emblematico del modo di sentire, e di
scrivere, del poeta è l’accostamento tra il tempo dell’attesa ed il peso della
disillusione: “Nel grigiore dell’alba, / quando ancor sulla luce / il buio
prevale, si schiude l’animo / alla vana attesa / d’un sorriso che per breve /
rischiari il buio della vita. / E giunge alfine il sole, / ma dall’animo / non
scompaiono le tenebre” (L’alba 1,
p.13). La
natura stessa si fa compartecipe della fragilità umana, come La quercia caduta (titolo
dal forte richiamo pascoliano), che “… sol resterà un legno / ormai per sempre senza
vita” (p.11); ed è il mare che più si avvicina all’immagine
dell’umana ventura: “Liquida interminabile distesa, / specchio del cielo e
delle stelle / ed anche dei nostri pensieri, / di quelli più profondi e
malinconici, / abisso insondabile, tale è il mare. / Riflesso del nostro animo
/ nelle sue più inconfessate paure, / anche del volto della morte” (Il mare, p.17).
La seconda parte presenta alcuni temi-chiave,
che il prefatore Floriano Romboli individua nei “limiti del disorientamento intellettuale,
della privazione affettiva, in una situazione di sconforto e di solitudine,
nella forte inclinazione all’auto-annullamento”, già tutti condensabili nella
prima strofa della prima lirica della raccolta (“Tra opposte sponde / la nostra
esistenza fluisce, / la luce ed il buio / …”, Tra opposte sponde, p.33),
che ben si raccorda al finale di A che, o donna…:
“…Di noi sol resterà / un tenue e fugace ricordo / che si dileguerà col tempo”
(p.35): in un sentire quasi leopardiano, che conduce il poeta a meditare così:
“…Nel silenzio sol si ode / il lieve stormire del vento tra le foglie; / unica
compagna la solitudine.” (Meriggi
d’estate, p.40). Cenni a una vita che nel tempo inesorabile passa:
“Languidi e pigri / scivolano i giorni / e trascolora la vita, // così rapida /
nella clessidra / scorre la sabbia, // né rivoltarla / richiama / il tempo che
fu” (Clessidra, p.45),
perché all’uomo non si addice l’eternità della vita (“Dall’interno il tempo /
corrode e dissolve / ogni umana pretesa / di costituire la vita / come qualcosa
di eterno” - Il tempo, p.50) e Mortali nascemmo (“Mortali
nascemmo. / Può alcun forse dire/ se un bene o un male/ sia il vivere
più a lungo?”, p.42).
La terza parte del libro è introdotta
da Nazario
Pardini, che accosta il Nostro al poeta al crepuscolare Sergio Corazzini
(1886-1907), asserendo a ragione che il D’Alterio ci coinvolge “nella sua malinconica
voce poetica dove il memoriale fa da padrone nell’opera” (p.54). Ed è così:
basti leggere Le pagine della nostra vita:
“Sempre con rimpianto rileggo, / indelebilmente in me scolpite, / le pagine
della nostra vita. / Pur se il tempo, / ora veloce, ora lento scorre / sempre
vivide balzano ai miei occhi / né mai cadranno nell’oblio / fino a che un
soffio di vita / aleggerà in me” (p.69).
Nel complesso queste Liriche ci
restituiscono un bel ritratto interiore di Pasquale D’Alterio, noto anche per le sue traduzioni poetiche dei
maggiori lirici greci dell’antichità classica, e confermano che il suo
radicamento nella classicità non gli impedisce mai di essere “nel presente”. Ciò
è, del resto, caratteristico di molti grandi Autori, la cui parola è sempre un
po’ più avanti (“più in là”, per dirla con Montale) anche quando riecheggia il
passato: e questo è forse il più bel mistero della vera poesia, che anche da cose
minime apre il cuore e la mente a meditazioni che hanno un che di cosmico, e di
nostalgico assieme: “L’erba tagliata di fresco / esala un
profumo / come di cose perdute” (p.22, da La Vita, il
Tempo, l’Amore, la Morte, 2014).
Marco Zelioli
Pasquale D’Alterio, Liriche scelte, prefazioni di Enzo Concardi, Nazario Pardini, Floriano
Romboli, Guido Miano Editore, Milano 2022, pp.96, isbn
978-88-31497-34-3, mianoposta@gmail.com.
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