ANNA MARIA GUIDI
Responsorio breve
Balda Editore – aprile 2022
DIARIO DI LETTURA
Siamo,
leggendo Responsorio breve, sospesi in una natura fascinosa ma sfuggente come
nuvole in fuga “senza porto d’approdo”.
Su
di noi un cielo umanizzato in cui aleggiano sospiri. Anna cerca risposte
attraverso immagini carezzate dal vento: “si disfiora: il sole nel tramonto/
stremate strida/ l’ultimo gabbiano/ che non ritrova il mare”. Sull’irrisolto
scende veloce la sera, metafora di una vita al tramonto. Nell’incertezza di un
tempo che s’abbuia, “spaurite/ mi attraversano i passi/ folate d’anima”. Anna e
i suoi ricordi. Un giorno d’autunno dove le foglie si smarriscono al vento e
lei, simile a un sole, non vorrebbe abbuiarsi, nonostante sempre presente,
l’idea di una morte “lungamente accudita”. Come? Nella ricerca di luce allo
spuntare del giorno che si apre un varco nelle spire della notte. Il levarsi
del sole è il levarsi della sua anima fusa al corpo che resta qui “a balbettar
la vita”. L’autunno è presente in lei che “sul verano al fiume” si gode
“l’assedio del tepore/ che fugace sbalena”. Il suo sgusciare all’aperto per
fugare il dolore. Ansia di acqua e di luce le procura l’ebbrezza di un’ultima
bottiglia di vino. Ma lei lotta creando parole – spiragli; formula domande che,
anche senza risposte, la fanno sentire viva. Le lacrime, mantello nei giorni di
pioggia; ricerca di oblio in un simbolico assenzio.
Sente
sfuggire la vita dal suo essere; acchiappa “in corsa/ questa coda di luna/ che
scherza con le nuvole” e la mette in tasca. Reazione volitiva ai momenti bui.
La luna sarà fiaccola nel suo viaggio verso l’ignoto.
Nell’addentrarmi
nella lettura del testo m’invaga il salmodiare di Anna. È come la sensazione
provata dall’ascolto di una musica ignota che affascina: “ancora celesta il
giardino: caparbia una camelia… Annudato il cielo/ senza l’acciaiata/ sua
lumera di stelle… pesce allamato/ che dimena l’aria/ spasmando/ l’ultima guizza
di respiro…”.
Anna
formula un linguaggio non sempre compreso ma che travolge e trafigge. Lei
brancola e cerca “l’ascesa con l’anima nuda/ l’erta per il cielo”. Suo
interlocutore, il tempo. Tempo infido che ha sbiadito la sua vita. Tempo
vermido, agonico, simile a un “ofide riottoso”. In questo scorrere lungo di un
tempo di dolore, Anna si rivolge al padre: “è rimasto nel tuo sguardo/ quella
consegna d’anima/ sospesa/ in un’estrema carezza/ senza più respiro./ Il dopo,
disperante ricerca/ di quella carezza non data/ e sempre inventata”. Poesia
alta per contenuto e scelta di parole. Ricerca di anime “pellegrine di luce/
nel dedalo astrale dell’universo/ dove io senz’ali/ non posso volare”. Anna che
soffre, delira, pigola come un passero. Ma ci sarà un arresto a questo dolore?
La sua vita una collana di perle “infilate male”. Ogni perla un attimo di vita,
ma lei resiste e scorrono le primavere anche se “abortite/ ancora nel canto
dell’inverno”. Anna è incisiva nel suo verso col superamento e l’abbandono del
semantico.
Necessità
di una parola che nasce ex novo e che va penetrata attraverso una forza che
solo il suo grido d’amore può dare; nascono così, metafore ambigue che si
trasformano poi, in allegoria. Le sue ali: parole e, con esse si libra
nell’immaginario. Sospiri, poi lame taglienti nel sole. Il sole è il voler
essere viva. Lei, immersa nella crudezza di un destino che vorrebbe consumarla
ma non riesce a vincerla. Alternanza di sconforto e ripresa. Il suo
risollevarsi: volgere lo sguardo al cielo dove “aliano nubi di rondini
stridendo il nido./ Cercano l’ultima estate/ che ora non c’è più/ con me/ che
qui invoco/ una tregua di sole…”.
Ancora Anna, prigioniera sul verone
che guarda il fiume e il suo fluire nell’autunno. Ma lei, come una rondine
tardiva, esce per lasciarsi andare. Anelito di libertà.
Il
testo si chiude con l’invocazione a Dio. Ma dov’è Lui? Forse nei canti delle
strade d’autunno, forse, barlume negli ori della chiesa profumata di barocco;
forse nel “pudore ritroso del mendicante/ che non sente la mano nella rabida[1]
pena/ di chi subisce/ per non accettare”.
Riesce però nella sua accorata
ricerca a sfiorare Dio “carezzando il silenzio/ di chi non ha detto/ ma ha dato
tanto amore/ ti ho sentito… non ti ho trovato/ ma forse perché eri già in me”.
Conforto, ma ancora troppo piano le giunge la parola di Dio perché “l’anima
sorda”, urla e non recepisce.
“Mi sono incamminata tanto
per arrivare
al centro di me stessa.
Mi accorgo ora
di essere rimasta
sempre ferma
alla periferia.”
Firenze,
2 giugno 2022
Anna
Vincitorio
Nessun commento:
Posta un commento