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martedì 23 agosto 2022

ANGELA AMBROSINI: "JORGE LUIS BOEGES, EL MAR"

 

Jorge Luis Borges, El mar

 

Antes que el sueño (o el terror) tejiera
mitologías y cosmogonías,
antes que el tiempo se acuñara en días,
el mar, el siempre mar, ya estaba y era.
¿Quién es el mar? ¿Quién es aquel violento
y antiguo ser que roe los pilares
de la tierra y es uno y muchos mares
y abismo y resplandor y azar y viento?
Quien lo mira lo ve por vez primera,
siempre. Con el asombro que las cosas
elementales dejan, las hermosas
tardes, la luna, el fuego de una hoguera.
¿Quién es el mar, quién soy? Lo sabré el día
ulterior que sucede a la agonía.

 

Ben prima che il sogno (o il terrore) ordisse

mitologie e cosmogonie,

ben prima che il tempo coniato fosse in giorni,

già il mare, il sempre mare, c’era ed era.

Chi mai è il mare? Chi è quel violento

essere avito che erode colonne

alla terra e uno è e molti mari

e abisso e barbaglio e sorte e vento?

Chiunque lo guardi lo vedrà per la prima volta,

sempre. Con lo sconcerto che le cose

primordiali serbano, le leggiadre

sere, la luna, il fuoco di un falò.

Chi mai è il mare, chi sono io? Lo saprò il giorno

appresso all’agonia.

 

(Traduzione italiana di Angela Ambrosini)                                                                             

                                                                             

 

Una poesia a tema marino, non sorprendente per un autore nato a Buenos Aires, metropoli sulle sponde del Rio de la Plata, anticamera dell’Oceano Atlantico, anche se fu piuttosto l’habitat urbano a irretire maggiormente la curiosità intellettuale del grande scrittore argentino. Ma, si sa, la letteratura talassica è solo un involucro, un pretesto per parlare di altri concetti e l’ossessione filosofica del tempo come eterno ritorno, come pancronia, come percezione dell’infinito nell’attimo, è spina acuminata nel fianco di Borges. Tutta la sua ponderosa, vertiginosa produzione sia letteraria che critica, si dipana intorno a pochi concetti chiave, cardini del pensiero filosofico, così onnicomprensivi da costituire un vero e proprio macrocosmo nel microcosmo, come ben delineato nel suo ben noto racconto L’Aleph. In questa poesia, Il mare, ennesima dimostrazione della perforante capacità speculativa di Borges rispetto ai tratti descrittivi che in molti poeti avrebbero sicuramente fagocitato ogni altra componente, la categoria dello spazio ci proietta in quella del tempo. Il mare rievoca l’infinito soprattutto in senso temporale, o meglio, atemporale, come categoria dello spirito quasi preesistente all’uomo. “Il mare, il sempre mare, già c’era ed era”, laddove in spagnolo si contrappongono sapientemente i due verbi estar e ser, usati nella loro accezione predicativa e non copulativa. Il senso di immobilità, di eternità prevale sulla sensazione dell’incessante movimento marino, del panta rei, assimilando il mare al tempo, sempre uguale a sé stesso pur essendo costantemente in fieri. In poesia, più spesso che in prosa, capita che non ci sia identità, sovrapposizione, tra tema e argomento, del quale il tema è a volte solo un elemento accessorio. Il tema della lirica è, come dicevamo, marino, ma l’argomento vero è il senso del tempo o meglio, la concezione ciclica dell’universo, qui materializzata nel mare: “Chiunque lo guardi lo vedrà per la prima volta, sempre”. Tale affermazione ci propone un’altra coppia di verbi sinonimo, “guardare-vedere”, nei quali si enfatizza la capacità di visione rispetto a quella di semplice, abitudinario riconoscimento. Cifra concettuale, più che stilistica, dello scrittore argentino è proprio questa reiterazione di atti e situazioni che si traducono, sul piano tematico, nella sua ossessione per la molteplicità e moltiplicabilità del reale, simbolizzata nei motivi ricorrenti del doppio, dell’alter ego, del labirinto, della biblioteca-universo, della presenza frequente di un manoscritto affiorante oltre il testo stesso che l’autore sta scrivendo, elementi tutti indicativi di una percezione della realtà come “reminiscenza platonica” che investe lo stesso processo della scrittura. “Quando scrivo qualcosa, ho come la sensazione che questo qualcosa sia preesistente”, ebbe a dire in una delle sue magistrali conferenze, accattivanti come racconti. Parallelamente, nel suo racconto L’immortale, rincara la dose (filosofica): “Non c’è cosa che non sia come persa fra infaticabili specchi. Nulla può accadere una sola volta, nulla è preziosamente precario”.

Non solo la sua labirintica prosa, ma anche la poesia di Borges (non certo più distesa) è avvinta alla filosofia in connessione tenace. Nel saggio Filosofia e poesia, la poetessa e filosofa spagnola Maria Zambrano enuclea concetti fondanti sulla relazione fra queste due discipline in apparenza antitetiche. “Poesia e filosofia sentono sé stesse come una rivelazione trascendentale (…) Il filosofo parte a vele spiegate verso la ricerca del proprio essere. Il poeta se ne sta tranquillo in attesa del dono. La libertà onirica del poeta non è dalle cose ma nelle cose, non è libertà che si stacca dal mondo, ma in esso tenta di vivere. (…) Il filosofo si dirige verso l’essere che si cela dietro le apparenze, il poeta invece resta immerso nelle apparenze stesse (…) La poesia coltiva la disdegnata molteplicità. Il poeta, innamorato delle cose, vi si attacca e le segue attraverso il labirinto del tempo, del mutamento”.

La complessa cosmovisione borgesiana è racchiusa proprio nella molteplicità (qui espressa dall’affermazione “uno è e molti mari”) nelle sue opere sovente sorretta, non a caso, dal procedimento linguistico dell’ossimoro, tentacolare espediente di epurazione di ogni antinomia per avvicinarsi alla conoscenza. In chiusura della lirica la domanda che l’autore formula assimilando la sua stessa identità di uomo a quella del mare (“Chi mai è il mare, chi sono io?”) consegna alla morte il disvelamento ultimo della verità, una morte preconizzata come “agonia”, cioè strenua lotta (e strenua e violenta è l’azione perpetua delle onde marine) per il possesso di una verità negata allo sguardo miope dell’essere umano. Altrove, in un’ardita e ardente identificazione con altri elementi della natura, il grande argentino riflette sulla condizione del tempo: “Il tempo è la sostanza di cui sono fatto. Il tempo è un fiume che mi trascina, ma sono io quel fiume; è una tigre che mi dilania, ma sono io quella tigre, è un fuoco che mi consuma, ma sono io quel fuoco. Il mondo purtroppo è reale; io, purtroppo, sono Borges”.

 

Angela Ambrosini

 

2 commenti:

  1. Carissima Angela, adoro J.L. Borges, ma non conoscevo la poesia "El mar", tradotta perfettamente da te. Ho trovato sconvolgenti e dannatamente veri i versi: "Chiunque lo guardi lo vedrà per la prima volta, /sempre. Con lo sconcerto che le cose /primordiali serbano, le leggiadre /sere, la luna, il fuoco di un falò". Chiunque guardi l'immensa distesa ha la sensazione di vederla per la prima volta... In quanti hanno scritto del mare, nessuno ha espresso questo sentimento di scoperta. E tu, nell'esegesi affermi: "l’argomento vero è il senso del tempo o meglio, la concezione ciclica dell’universo, qui materializzata nel mare". Il tempo è effettivamente un'ossessione dell'Autore argentino, infatti era lui stesso che asseriva "Noi abbiamo sognato il mondo. Lo abbiamo sognato resistente, misterioso, visibile, ubiquo nello spazio e fermo nel tempo; ma abbiamo ammesso nella sua architettura tenui ed eterni interstizi di assurdità, per sapere che è finto". Borges intendeva ogni uomo come un nessuno, scorgeva il tutto, l'universo ed era convinto che le gioie e i drammi del singolo scomparissero nella sua grandezza . Ovviamente, come puntualizzi in modo eccellente, il concetto è applicabile al mare, al suo perenne moto. Il suo 'macrocosmo' impedisce di trovare un unico senso della storia. Sei filtrata con la tua maestria nei meandri del pensiero dello scrittore, poeta e filosofo argentino. Un uomo che era convinto che il mondo lo avessimo sognato, non vissuto, come resistente, visibile, ma in realtà nell'inserire nella
    sua architettura tenui interstizi di assurdità, abbiamo ammesso che è finito. Ho notato l'ossimoro come figura retorica ricorrente. Non posso che ringraziarti per avermi dato questa lezione su un Autore che mi è infinitamente caro. Ti abbraccio nel segno del Nume Tutelare. ..

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  2. Carissima Maria, come al solito, mi accorgo sempre con molto ritardo dei tuoi commenti ai miei contributi ...e me ne scuso, ringraziandoti di nuovo per le tue acute osservazioni, questa volta destinate a un autore a noi così caro e sicuramente non sempre facile da leggere. Ma una volta entrati nel suo mondo, si rimane intrappolati dalla visione filosofica e visionaria esposta in uno stile raziocinante e asciutto che arriva all'astrazione tramite la concretezza, a volte minuziosa, soprattutto nella prosa. Grazie di nuovo e ricambio l'abbraccio.

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