Ricordo un cestino da porta lavoro
Si apriva in un volo al bisogno
con ali di legno
Là dentro
scomposti da moto perpetuo
bottoni ed elastici,
e forbici e qualche rocchetto
Fra tutti regnava
simbolicamente elegante
l' ovetto per fare rammendo
Chinavi lo sguardo sul grembo cantando
ed io tutta intorno contenta e rapace
covavo con gli occhi ogni gesto
Serravi le labbra sul filo
brandivi la cruna dell' ago
con l occhio sinistro socchiuso.
d'arciere capace
sui merli del nostro castello
Col tempo
quel gesto si fece più raro più lento
e poi sempre meno preciso
Ma non ne volesti sapere di aiuto per fare più presto
Pensavi
non fosse sportivo,
Perché se si cede anche solo di un punto
si sa che ogni gioco è già bel che finito
Ricordo un cestino da portalavoro
e il secco rumore che fece lo strappo del filo.
Anita bella, la sorellanza, come ami definirla, che ci legò e che continua a unirci, mi spinge sempre sulle orme delle tue liriche di raso e oro. Il cestino da portalavoro è un simbolo di ciò che è stato, del tempo dei movimenti lenti e perfetti, dell'autonomia nel cucito. Bellissima allegoria del tempo senza tempo che ci attraversa e ci spinge a 'cedere in più punti' ricorrendo ad ausili tecnologici. Nulla ha più il carattere della danza lenta che descrivi, di quel 'secco rumore che fece lo strappo del filo'... La storia scrive altre sorti, veloci, tetre, senza passioni. Anita mia, io ho letto nei tuoi versi il nostro cambio di rotta, ma si sa ... la poesia non andrebbe interpretata, solo letta o ascoltata. Perdona l'errore di presunzione e accetta il calore virtuale del mio abbraccio e la dolcezza degli auguri... nel segno del nostro Capitano.
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