·
ANGELA AMBROSINI
·
TESTI DI GIOVANNI SCRIBANO
·
E DI ANTONIO MACHADO
·
Poesia innervata di impressionismo,
quella di Giovanni Scribano, dalle soffici pennellate di luci e colori “in
dissolvenze di sole”, a delineare un linguaggio trattenuto, scevro di
compiaciuti toni dolenti, in un incedere assorto nel difficile equilibrio di una poetica che si fa ora
strumento di intimismo lirico, ora veicolo comunicativo di quieti eventi
quotidiani, rinunciando, pur nel nitore ritmico del verso, a sterili tentazioni
di calligrafismi verbali. Di grande impatto, nel nostro poeta, la concretezza
oggettiva di un paesaggio che, tra vivide chiazze di colori, acquista a poco a
poco forti connotazioni soggettive sia nella tematica memoriale che in quella
specificamente affettiva: “E ricordo brulli spazi/e rosse lune e innumerevoli
sere / trascorse a osservare i canali / in lontananza / mentre lei, mia madre/nelle
notti profumate di tiglio/sedeva sulla soglia/…/La luna frattanto giocava/coi tetti”.
(Al riaffiorar dei ricordi, da Poesie scelte, in “Angeli e Poeti”,
n°11, 2006). Questo vibrante sentimento del paesaggio, evocato finanche nel
recupero di memorie e volti perduti, riecheggia certi tratti della produzione
lirica del grande poeta Antonio Machado, celebre cantore di terre spagnole a
incorniciare affetti e afflati: “Sì, ti ricordo, sera allegra e chiara, / quasi
di primavera / sera senza fiori, quando mi portavi / il profumo buono di
mentuccia / e di buon basilico / che cresceva mia madre nei suoi vasi” (da Solitudini,
VII).
·
Il filtro del ricordo penetra nel Canto d’amore (da Le stagioni del tempo, 2005) di Scribano, nella serenità di una
passeggiata con la sua donna: “Liberi, mano nella mano, / camminiamo insieme. /
Che ne sarà di questo cielo/ di questa luna,/ dei malinconici anni passati?/
che ne sarà dei passi sofferti/ e degli inquieti pensieri?” Parimenti, la memoria affettiva di Machado rievoca le passeggiate
con la sua amata Leonor, troppo presto perduta per sempre: “Sentii la tua mano
nella mia/ la tua mano di compagna /…/ Vivi, speranza, chi mai sa/ quel che si
ingoierà la terra!” (da Campi di
Castiglia, CXXII).
·
La parola-immagine, pregnante strumento
che scandaglia il passato attualizzandolo nel presente, genera una dimensione
di vivida sensualità che Scribano dipana nei bellissimi versi di La donna lunare (da Sogno di un mattino, 2013): “Rivedo i tuoi giorni corvini/ di
pelle-scorza, / donna lunare seduta sul pozzo/…/ Come ruota di fuoco/ rosseggi
sopra l’arido fiume”.
·
E così Machado dipinge la seduzione
femminile nel suo Inventario galante (da
Solitudini): “I tuoi occhi mi
ricordano / le notti d’estate / E la tua scura carne/ il grano tostato / e il
sospirar del fuoco / dei maturi campi”. Altrove,
il serbatoio della memoria attinge a momenti aurorali, quasi atemporali nella
loro dimensione astorica dove l’infanzia è già giovinezza subito dopo perduta
in un arazzo ingiallito dalla vita. E predomina il ricordo, persistente traccia
del tempo che al tempo sopravvive nell’insistita anafora verbale. Così scrive
Scribano in un incedere dai toni quasi fin
de siecle: “Ricordo, / attendeva inverni di mute parole/ dietro
vetri appannati / dietro meste cortine. /…/ Ricordo / nell'afa estiva
miraggi e illusioni, / indicibili paesaggi”. (Ricordo, da Emozioni in
“Angeli e Poeti”, n° 9, 2005).
·
E come non rievocare i celebri versi machadiani della
lirica Ricordo infantile? “Una sera scura e fredda / d’inverno/…/
Monotonia / di pioggia dietro i vetri”. E ancora: “Ti ricorda, fratello, / un
sogno lontano il mio canto presente? / Fu una sera lenta della lenta estate/…/
Ricordi, fratello? (da Solitudini). È
il paesaggio interiore, soggettivo, del passato, che apre una breccia in quello
esteriore, oggettivo, del presente. La confluenza delle due dimensioni si attua
attraverso la poesia.
·
Nella bella lirica Lo sguardo dei giorni (da Cuore
segreto, 2011) Scribano riflette sul senso del passato, cioè della vita,
attraverso una sottile ambiguità di ordine grammaticale insita nel titolo
stesso, dove impercettibilmente quello che dovrebbe essere lo sguardo “sui”
giorni, si trasforma nello sguardo
con cui i giorni stessi, personificati, sembrano guardare noi con “occhi tristi”
in una specularità incessante. Stesso procedimento investe i versi finali, nei
quali impalpabilmente torna l’espediente retorico della prosopopea “nel
curvarsi / del giorno / fra alba e tramonto” nel nostro “vivere ignari”. Un paesaggio umanizzato, in grado di
soffrire ed evocare in sintonia con l’animo del poeta, non un paesaggio
imbrigliato in una concezione sterilmente estetizzante. “Sera tranquilla, quasi
/ con placidità d’animo”: chiosa a sua volta il poeta spagnolo (Solitudini) a sostegno di una visione
intimista del paesaggio intriso di memorie. L’uomo, prosegue Scribano, è legato
al suo passato da “corde che ci legano” così
come da “nodi che si sciolgono” e
questo passato è “materia in tensione” percorsa da “attimi e parole”. Parole per poter ricordare, per poter
eternare l’attimo nel sempre.
·
Proiettare l’elemento sensoriale verso
una prospettiva depurata dalla tenace morsa del presente si configura come
suprema finalità poetica in Scribano. “La porta del tempo è scomparsa”, afferma
il poeta nella consapevolezza che solo la parola leviga il passato dalle sue
scorie, e che, come la machadiana “parola essenziale nel tempo”, possa
ricondurre la memoria nella dimensione di un incanto perenne.
·
N.B.: La
traduzione italiana dei versi di Antonio Machado è di Angela Ambrosini
·
IL TEMA DELLA NATURA MEDICATRIX
·
IN GIOVANNI SCRIBANO E ARNO HOLZ
·
Una delle costanti dell’ispirazione di
Giovanni Scribano, la natura, innerva con piglio antiaccademico e antidecorativo
lo snodarsi di versi e pensiero su campiture e atmosfere di forte impatto
visivo. In una figurazione oggettiva di suggestiva veridicità e trasparenza,
s’affollano vedute paesaggistiche come dal finestrino di un treno: “Guardo le
querce, possenti giganti / ergersi al sole e sopra un cielo propizio” (Natura
Medicatrix, da Frammenti d’infinito,
2002); “Scorgo aprirsi a oriente / uno squarcio di nubi / e dilatarsi la riva”
(Levità, da Il viaggio per mare, 2003), compimento perfetto di una ”grande,
divina natura”. L’occhio del poeta indaga e scruta nelle pieghe del creato.
“All’occhio, di paragone /sensibile pietra/ la forma s’eterna / in campi
sconfinati, / in alberi a mosaico, / in scarlatte nuvole / nel plumbeo mattino”
(Incanto, da Le stagioni del tempo, 2005). La forte empatia con l’universo
irrobustisce e sana l’animo stanco: “Ma già un nuovo riposo / la mente ristora
/ sotto i freddi raggi / del tramonto” (idem). È la “Natura Medicatrix” che,
allontanando smarrimenti e angosce, conferisce stabilità e ancoraggio sicuro al
poeta, immerso in una quotidianità di dettagli minimi e antieroici “A sera,
m’attendono a cena gli amici”.
·
Il tenace rapporto con la natura ha
alimentato la produzione lirica di un poeta tedesco di fine secolo, Arno Holz che
nella sua devozione oggettiva della realtà, esaltata da approfonditi studi su
Zola, arrivò a formulare un’equazione arte-natura che a poco a poco si estese a
una vasta, onnivora catalogazione del creato. Il senso di totalizzante
appartenenza al mondo circostante si estrinseca in alcuni tra i versi più
felici di Holz: “Davanti alla mia finestra / canta un uccello. / Ascolto in
silenzio; il mio cuore si strugge. / Canta, /quel che da bambino…possedevo
tutto intero/ e poi…dimenticato” (Phantasus,
trad. di Roberto Venuti, da Parnaso
Europeo, 2, a cura di Carlo Muscetta, Lucarini, 1990). Simile afflato
universalizzante pare esprimere Scribano nei versi “Esplode inesauribile un
canto / e disperde il mio nulla. / E nella luce / chiaro / un segreto ritrovo”.
(Al balcone, da L’incontro, 2003).
·
E se Arno Holz in un inconsueto invito si
volge al ricordo di antiche mitologie, parimenti Scribano sussurra “Nudo
nell’acqua / un Tritone / trafigge le nuvole / con rapida freccia / Nel
dormiveglia / l’orizzonte è più puro. / Scorgo aprirsi ad oriente / uno
squarcio di nubi / e dilatarsi la riva. / Mi sento leggero” (Levità).
·
Altrove, nel poeta italiano, una più
marcata asciuttezza descrittiva delimita a tratti un confine labile con
l’andamento della prosa, nella rinuncia deliberata di musicalità e lirismo: “Il
vecchio contadino / è pronto a varcare / per l’ultima volta / la soglia
dell’antica mezzadria./ Ma prima si sdraia/ sul prato e racconta / del cielo,
di Selene/ e dei suoi quarti, dei / cavalli, dei cani, / delle braccia da
campo, / delle falci, del sole / del vino alla sera, /dell’odore del fieno” (E il contadino racconta, da Oltre il presente, 2015): laddove
l’enjambement della preposizione articolata dei
sottolinea la discorsività dello stile nominale, piuttosto che indulgere al
richiamo del lirismo. In altro contesto, ma con simile piglio di oggettivismo
che nel poeta tedesco si traduce in un programmatico, articolato rifiuto della
musicalità lirica tradizionalmente intesa, Holz dipinge (anch’egli in tempo
verbale presente per sottolineare l’immediatezza dell’hic et nunc), una giornata allo zoo: “Al giardino zoologico, su una
panchina, / piacevolmente, / le gambe accavallate, appoggiato alla spalliera
comodo e incurante / siedo / e fumo e / mi rallegro del bel sole del mattino!”
(trad. di Roberto Venuti, in Parnaso
Europeo, op cit.). Una panica, taumaturgica immersione non solo nella
natura, ma in tutta la realtà circostante anche quando costruita dall’uomo. La
pienezza dei sensi racchiusa persino in quel verbo, fumo, incastonato tra le due congiunzioni, in tedesco molto più
felicemente ingombranti, und. Uguale
appagamento della quotidianità prosaica e del piacere del fumo esprime
Scribano nella figura del contadino a
passeggio tra i suoi versi: “e il contadino sulla soglia di casa / si toglie
gli stivali/ e carica la pipa”(La
campagna in autunno, da Oltre il
presente). E nel suo viscerale connubio con la natura salvifica, in un
distico sillabato come un prezioso aforisma, il nostro poeta conclude il suo
messaggio di speranza “In un mare calmo/ ogni uomo è un pilota”.
·
(Entrambi i contributi sono presenti in: Giovanni Scribano, Incanto e
incisività, Collana “Analisi Poetica Sovranazionale del terzo millennio”,
Guido Miano Editore, 2015, pp. 23-26 e pp. 53-55).
·
******
·
Di alcune poesie dello stesso autore è
pubblicata la traduzione spagnola di Angela Ambrosini in: Giovanni Scribano,
Dall’imperfetto all’eterno, Collana “Poeti Italiani Scelti di Livello
Europeo”, Guido Miano Editore, 2016, unitamente agli stessi testi tradotti in
tedesco da Maria Antonietta Rotter.
Nessun commento:
Posta un commento