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martedì 27 febbraio 2024

Enzo Concardi legge :" Il fascino e la forza della letteratura, vol. 3 " di Floriano Romboli


 

GUIDO MIANO EDITORE

NOVITÀ EDITORIALE

 

È uscito il libro di critica letteraria di Floriano Romboli:

 

IL FASCINO E LA FORZA

DELLA LETTERATURA

 

VOL. 3:  FOGAZZARO – DANTE – GRAF

TENNYSON – CARDUCCI – CAPUANA

 

 

 

Pubblicato il libro di critica letteraria di Floriano Romboli: “Il fascino e la forza della letteratura, vol.3” (Saggi su Antonio Fogazzaro, Dante Alighieri, Arturo Graf, Alfred Tennyson, Giosuè Carducci, Luigi Capuana), nella prestigiosa collana “Il Cammeo”, Guido Miano Editore, Milano 2024.

 

Salutiamo con vivo interesse e dichiarata curiosità la pubblicazione del terzo volume de Il fascino e la forza della letteratura del critico toscano Floriano Romboli, lavoro che esce nella collana Il Cammeo dell’Editore Guido Miano di Milano. Tale riferimento - sebbene già espresso dall’autore nella sua premessa - è importante ribadirlo, poiché la collana si prefigge lo scopo di avvicinare il lettore - cittadino, studente, appassionato - al mondo delle lettere, miniera inesauribile di cultura, conoscenza, storia, stimoli personali e sociali. La divulgazione è opera meritoria, tuttavia non può non rispettare certi canoni di profondità, serietà, competenza, documentazione che Floriano Romboli garantisce fino in fondo, data la sua statura di studioso di livello universitario e oltre, la sua pluriennale militanza teorico-pratica nell’insegnamento e nella ricerca storico-testuale, concretizzata anche dall’abbondanza di pubblicazioni, saggi, esposizioni seminariali: il tutto sorretto da una personale ed autentica passione per la sua materia, nella quale si è specializzato considerando gli autori - poeti, scrittori, saggisti, filosofi - prima di tutto come uomini contestuati nel loro tempo e nella loro cultura, di cui non vanno trascurate le vicende biografiche che possono aver inciso sulla loro visione del mondo, dei quali mette in risalto le luci ma anche le ombre con giudizi pacati ed obiettivi, dettati da un’apertura mentale che si addice ad uno studioso che fa parlare i suoi personaggi.

Infatti, uno dei metodi di analisi del critico, consiste nel citare spesso brani originali delle opere oggetto di studio, così che anche il lettore – questo soggetto che non dobbiamo mai dimenticare – può rendersi conto di “ciò che ha veramente detto” il tal poeta o il talaltro narratore. Rientra nello stile analitico di Romboli anche la scrupolosità nel porre in evidenza le fonti delle citazioni – per un rimando ad ulteriori approfondimenti – e quell’altro prezioso humus culturale rappresentato dalla letteratura comparata, ovvero il confronto tra autori simili in alcuni concezioni, ma appartenenti ad alvei ideologici ed epocali diversi, oppure l’accostamento tra autori fra loro contemporanei rilevandone le somiglianze tematiche o stilistiche, piuttosto che le divergenze di pensiero od estetiche. Vengono così alla luce le influenze reciproche, le coniugazioni nazionali filtrate dal retaggio della tradizione, i nuclei tematici e i motivi ispiratori dei singoli autori, ognuno dei quali imprime, anche all’interno di una medesima scuola di pensiero, il proprio marchio personale: basta citare per questo volume l’ultimo saggio dedicato da Romboli a L’arte “impersonale” e l’opera romanzesca di Luigi Capuana nell’ambito di una pubblicazione intorno a Il verismo italiano fra naturalismo francese e cultura europea.

In precedenza, nei primi due tomi, egli aveva trattato le più svariate esperienze letterarie, dimostrando una buona dose di ecletticità nei suoi interessi e nelle sue preferenze: dai classici ai meno frequentati autori dalla critica e dal pubblico; dal Medio Evo alla contemporaneità; dalla poesia alla narrativa alla saggistica filosofica; da scrittori italiani ad altri europei. Merita menzionarle - tali suddette esperienze - in questa prefazione, per verificare ciò e constatare poi la continuità e le novità con il presente volume. Nel libro del 2021 apparivano: Incontri con Dante e la Commedia: la lettura critica di alcuni interpreti di grande autorità culturale; Aspetti del linguaggio poetico del Tasso; Arturo Graf, la scienza positiva, il darwinismo sociale; Zola e Fogazzaro, paragrafi per un confronto; Il personaggio di Ulisse nell’opera poetica di Nazario Pardini. Nella rassegna successiva pubblicata nel 2023, ecco entrare in scena: Fogazzaro e i suoi due “Piccoli Mondi”; L’opera di Dante nelle riflessioni storico-culturali ed etico-religiose di alcuni Papi contemporanei; La prospettiva evoluzionistica e l’avvenire dell’uomo. Alcune note sulla letteratura italiana al passaggio dall’Ottocento al Novecento; La Grande Guerra nelle pagine di scrittori italiani del primo Novecento: Federico De Roberto, Curzio Malaparte, Gabriele D’Annunzio; A proposito di Francesco De Sanctis; Il tema della natura nella narrativa di Bino Sanminiatelli.

Risulta ora agevole constatare la presenza continua, nei tre volumi pubblicati, delle figure di Dante, Fogazzaro, Graf e del personaggio mitologico di Ulisse, mentre le novità di questa terza proposta sono costituite da Tennyson, Carducci, Capuana. Dei saggi che qui il lettore potrà visitare, estraggo quelle che ritengo ‘curiosità interessanti’ per invogliare alla lettura.

 

S’inizia con: Il commiato di Fogazzaro. Alcune proposte critiche per Leila, pubblicato in “Letteratura e pensiero” (Anno V, ottobre-dicembre 2023, n°18, Il Convivio Editore, Castiglione di Sicilia, CT). Romboli parla di ‘commiato’ in quanto Leila, apparso nel 1910, costituisce ‘il canto del cigno’ dello scrittore vicentino (morirà nell’anno successivo), e scritto, secondo la critica più accreditata, per allontanarsi dal tema religioso de Il Santo (1905), nonostante che il protagonista maschile – Massimo Alberti – sia un discepolo del Santo. Egli s’innamora di Leila ma, su questo filone sentimentale, s’innesta il cammino spirituale dei due, nel quale l’Alberti prende gradualmente le distanze dalle dispute teologiche, rientrando nel seno materno della Chiesa, a condizione che questa stia dalla parte dei poveri e degli ultimi e si liberi dalle pesanti strutture formali che imbrigliano la fede. A differenza de Il Santo - libro condannato dal Vaticano - Leila si svolge spesso in chiave di commedia, trovando posto sia il comico che le macchiette di contorno. Tuttavia il Fogazzaro non riesce per nulla nel suo intento riparatorio: la Chiesa mette all’indice pure quest’ultima sua opera, la quale suscita le critiche anche dei modernisti.

Tra le peculiarità romboliane di questo saggio vi sono le antitesi che sottolinea, tra cui: buio-luce, che si proiettano sugli stati d’animo e sul paesaggio; sensualità-religiosità, ovvero la lotta interiore tra bisogni istintuali e ideali spirituali (belle le pagine sulla femminilità di Leila, sull’amore sensuale vissuto con Massimo, la scena del bagno notturno della protagonista che, sola, s’immerge nelle acque… audace per quell’epoca) ed altrettanto significativa la parallela ricerca dei due amanti della autentica testimonianza cristiana… Romboli esemplifica poi con dovizia di citazioni le altre numerose antitesi contenute nel testo riguardanti il linguaggio che, nel contempo, afferma e nega; tradizione-modernismo, dibattito teologico-religioso-ecclesiale che tra fine Ottocento e inizi Novecento ha caratterizzato il cattolicesimo, tra i fautori della conservazione e i sostenitori di una profonda riforma spirituale secondo un Vangelo sine glossa: Fogazzaro dapprima è tra i polemisti anticlericali (famoso il suo invito al Papa ad uscire dal Vaticano) per poi attestarsi sulle posizioni di un modernismo più moderato, in quanto per lui la triade Dio-Uomo-Chiesa restava, in ultima analisi, intoccabile. Infine mi paiono importanti le conclusioni di Romboli sullo spirito di modernità del Fogazzaro, contenente il «... relativismo conoscitivo, la mobilità polipsichica, l’assenza sconsolante di riferimenti paradigmatici per il pensare e per l’agire» e, per rendere ancor più chiari tali concetti, cita un passaggio di Arte e coscienza d’oggi (1893) del fuori campo - nel senso di appartenenza ideologica - Luigi Pirandello: «Ci sentiamo come smarriti, anzi come perduti in un cieco, immenso labirinto, circondato tutt’intorno da un mistero impenetrabile. Di vie ce ne sono tante: quale sarà la vera?...». Sempre attuale.

Si prosegue con il saggio Alle radici storiche dell’opera artistico-culturale di Dante: due recenti biografie, pubblicato nella rivista “La Nuova Tribuna Letteraria” (numero: luglio-settembre, 2021, Venilia Editrice, Lozzo Atestino, PD). I testi ai quali si riferisce il critico sono esattamente: Dante. Il romanzo della sua vita (2012) di Marco Santagata e Dante (2020) di Alessandro Barbero. Alternando le citazioni dell’uno e dell’altro e inserendo proprie considerazioni storico-esegetiche, Romboli fa luce su alcuni aspetti della vita di Dante che possono aver inciso ed influenzato i contenuti delle sue opere. Troviamo dunque la descrizione della Firenze dei tempi di Dante fino al suo esilio (1302); notizie sulle sue modeste condizioni economiche; l’ammissione nella ristretta cerchia dell’aristocrazia di letterati pensatori, tra cui Guido Cavalcanti, «uno dei più altezzosi e violenti» (Barbero); l’opinione di Romboli sul carattere di Dante, a cui attribuisce «... un illimitato senso di sé, … un ego smisurato, … una vivissima auto-stima», probabilmente perché nella Commedia egli si erge a giudice dei suoi contemporanei, dannandoli senza appello o salvandoli senza averne l’autorità. L’impegno civile di Dante viene bollato dal Santagata come se fosse «stato posseduto dal demone della politica», passione che lo condurrà fino alla tragedia dell’esilio. Curiosa la parentesi dedicata al Boccaccio - ammiratore del grande fiorentino - citato per il suo rimprovero a Dante, che avrebbe perso tempo a sposarsi e a metter su famiglia, togliendo così energie al lavoro intellettuale. Mentre Barbero propende per definirlo politicamente un popolano, seppur moderato, gli altri due mettono maggiormente in luce il salto dal municipalismo alle concezioni universali del De Monarchia, basate sulla preminenza dell’Impero. Al termine del saggio Romboli accenna alla concezione della nobiltà d’animo e non di sangue di Dante - comune agli stilnovisti - rivoluzionaria per l’epoca, e si auspica: «... che il grande poeta, dopo la morte, abbia avuto conforto per le pene patite e trovato finalmente quiete al suo tormento immedicabile sulla terra».

Il terzo saggio non è dedicato ad un autore in particolare, ma tratta di una tematica che si sviluppa sempre sulle antitesi che spesso Romboli analizza: Il principio di causalità e i diritti dello spirito, pubblicato in “Letteratura e pensiero” (numero: Anno V, luglio-settembre 2023, n°17, Il Convivio Editore, Castiglione di Sicilia, CT). In apertura egli si avvale del pensiero di Roberto Ardigò, maestro del positivismo italiano, per definire la mentalità scientifica del determinismo, principio che quest’ultimo pone in contrapposizione a «i sogni mendaci dei dogmi religiosi» (La morale dei positivisti, 1879). Viene poi chiamato in causa Pirandello che irride alla cultura scientifica del suo tempo e d’altro canto, dopo aver ridimensionato il «pianetino terra» e l’essere umano ad un nulla, dichiara la vita senza scopo ed in balìa della «legge universale della causalità», attaccando i tentativi di Graf e Fogazzaro di conciliare scienza e religione, ovvero i diritti dello spirito richiamati da loro in opposizione ai limiti dell’atteggiamento «materialistico e scientizzante» (Romboli). In particolare Graf parla delle ragioni del vivere come la ricerca religiosa dell’uomo e Fogazzaro (non discendiamo dai bruti, ma ascendiamo da loro) ipotizza la possibilità - come del resto Graf - di una conciliazione fra materia e spirito, fra evoluzione e religione. Tale problematica è sviluppata da quest’ultimo - verso cui Romboli nutre forti simpatie - anche nel romanzo di idee Il riscatto (1901) che costituisce un graduale avvicinamento alle dimensioni del mistero.

A dimostrazione del feeling intellettuale Romboli-Graf, ecco che il successivo lavoro si sofferma ancora sullo studioso nativo di Atene: Arturo Graf e la morte di Ulisse (Con una nota su Tennyson). Altri episodî nel percorso tematico-letterari, pubblicato in “Soglie. Rivista quadrimestrale di poesia e di critica letteraria” (numero: Anno XII, n°1, aprile 2010, Badia San Savino - Cascina, PI). Dopo l’iniziale sintesi sul mito operativo di Ulisse che ancora oggi agisce sia nella cultura che nell’immaginario collettivo (simboleggiando di volta in volta l’astuzia, il coraggio, l’intelligenza, la sete di sapere, lo spirito d’avventura, la ricerca dell’ignoto) il critico toscano raffronta le varie raffigurazioni del personaggio. C’è l’Ulisse omerico (Iliade, Odissea), quello virgiliano nell’Eneide, quello dantesco nell’Inferno della Commedia. La fortuna letteraria del “Laerziade” prosegue con altre rielaborazioni effettuate, ad esempio, dal Tasso nella Gerusalemme Liberata, da Primo Levi in Se questo è un uomo (un capitolo del libro s’intitola proprio Il canto di Ulisse), da Pascoli e D’Annunzio. Tuttavia l’analisi di Romboli si sofferma più a lungo sul contributo di Arturo Graf, riscontrabile nel poemetto L’ultimo viaggio di Ulisse, parte della raccolta poetica Le Danaidi. Il racconto in versi di Graf va dalla noia di Ulisse per la quotidianità domestica dopo il ritorno ad Itaca, fino alla sua morte a seguito del “folle volo”: ricalca quindi il modello dantesco di un Ulisse pienamente consapevole del ruolo di faro dell’umanità nella ricerca del vero. Nel mezzo Romboli ci mette un accostamento all’Ulysses (1833) di Alfred Tennyson, nel quale riscontra non poche somiglianze con il personaggio grafiano; la narratività del poemetto con annotazioni filologiche: endecasillabi a rima baciata, ripetizione lessicale o sintagmatica in un verso o in gruppi di versi, le indicazioni cronotopiche, l’uso dell’enjambement…; l’emergere nell’essenza umana di due componenti compresenti: l’animale di natura e l’animale di cultura; il carattere di conquista della spedizione dei marinai greci grafiani, i quali sono in numero di 200 e in sette navi (non un unico vascello come quelle dantesco); la presenza della natura come elemento cupo e minaccioso incombente sul destino umano… Il vortice marino che distrugge le navi dell’avventura dell’Ulisse grafiano è un monito all’impeto smisurato insito nell’uomo nel voler sfidare la Natura e la Divinità. Il saggio si conclude con la sottolineatura da parte di Romboli dello sguardo interessato di Graf verso il «programma di rinnovamento teologico-religioso dei modernisti» con l’accoglienza favorevole del romanzo Il Santo di Fogazzaro e, infine, accreditandolo come anticipatore di forme e motivi poetici novecenteschi.

Giunge ora l’interessante indagine su particolari aspetti dell’età giovanile, e delle relative opere, del poeta maremmano: Carducci nell’epistolario e nella poesia, pubblicato in Carducci e il Basso Valdarno alla metà del XIX secolo (Atti del convegno di studi a San Miniato, 26 ottobre 1985. Biblioteca della «Miscellanea Storica della Valdelsa» vol. 8, Società Storica della Valdelsa, Castelfiorentino 1988), indagine che permette di conoscere eventi e scritti assai poco divulgati dalla pubblicistica letteraria. Tra essi sintetizziamo: le difficoltà economiche del giovane Carducci; le aspirazioni sempre nutrite per la gloria letteraria e i sacrifici per arrivare al successo; il doloroso evento del suicidio del fratello Dante e la lettera toccante scritta dal poeta; la venerazione dei contemporanei e la graduale demitizzazione post mortem; l’ispirazione patriottica con l’accusa di nazionalismo solo libresco e l’involuzione monarchica; il suo antiromanticismo dovuto anche al Risorgimento incompiuto; la polemica contro il presente sociale; il suo realismo classico con modelli danteschi, stilnovistici, leopardiani… E Romboli conclude: «... possiamo indicare proprio in certe pagine dell’epistolario le prove più felici e più sicuramente preludenti alla futura, grande arte carducciana».

Il sesto e ultimo saggio è ancora comparativo fra differenziazioni all’interno di una stessa corrente letteraria: L’arte “impersonale” e l’opera romanzesca di Luigi Capuana, pubblicato nel volume AA.VV. Il verismo italiano fra naturalismo francese e cultura europea, a cura di Romano Luperini, Editore Manni, Lecce 2007. Capuana si rifà ai modelli francesi, sposando il romanzo verista come genere tipico della sua epoca: l’arte oggettiva, dimenticando l’artista. Tuttavia, mentre il naturalismo francese è di denuncia sociale e talvolta scandalistico, il verismo di Capuana è liberale-conservatore, scarsamente sensibile ai problemi sociali e raffigura le genti di Sicilia con un occhio etnologico. Per i francesi è una visione del mondo, per Capuana un metodo di analisi: vi è in lui una componente idealistico- hegeliana.

Enzo Concardi

 

 

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L’AUTORE

Floriano Romboli (Pontedera, 1949) ha compiuto i suoi studi presso la Scuola Normale Superiore di Pisa ed è stato per tanti anni insegnante di materie letterarie e latino nei licei. Si è interessato alla cultura rinascimentale, studiando soprattutto l’epica del Tasso; è poi passato ad occuparsi della letteratura italiana ed europea fra Otto e Novecento, nonché di narrativa e poesia contemporanee. È stato docente di letteratura italiana presso la Scuola di specializzazione per l’insegnamento secondario (SSIS) dell’Università di Pisa. Tra le sue numerose pubblicazioni: Un’ipotesi per D’Annunzio. Note sui romanzi (1986); Le ragioni della natura. Un profilo critico di Bino Sanminiatelli (1991); La letteratura come valore. Scritti su Carducci, D’Annunzio, Fogazzaro (1998); Fogazzaro (2000); Natura e civiltà (2005); L’azzardo e l’amore. La ricerca poetica di Nazario Pardini (2018). Ha curato l’edizione dei Racconti di Fogazzaro (1992) e di opere di Bino Sanminiatelli, di Eugenio Niccolini, di Dino Carlesi, nonché del diario dell’ufficiale pontederese Gualtiero Del Guerra alla prima guerra mondiale. Collabora a riviste specialistiche e a periodici di cultura generale e politica. Ha prefato i volumi di Nazario Pardini: Le voci della sera (1995), Le simulazioni dell’azzurro (2002), Scampoli serali di un venditore di arazzi (2012), I dintorni della vita. Conversazione con Thanatos (2019); ha scritto la postfazione della raccolta Alla volta di Lèucade (1999) prefata da Vittorio Vettori. Con Guido Miano Editore ha pubblicato i libri di saggistica: Il fascino e la forza della letteratura, vol.1 (2021), vol.2 (2023), vol.3 (2024). Nel 2020 ha conseguito il premio “Una penna a Pontedera”, 32a edizione per l’anno 2019.

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Floriano Romboli, Il fascino e la forza della letteratura, vol.3, pref. di Enzo Concardi, Guido Miano Editore, Milano 2024, pp. 192, isbn 979-12-81351-26-4, mianoposta@gmail.com.

 

 


Giovanna de Luca :"Posso tornare, Quante realtà, Quel che di noi "

 

Posso tornare

 

Posso tornare indietro.

La pregnanza che fu di ogni momento

si rivela ricordo obnubilato

-sequela di presenti, vissuti inconsapevoli

di essere inconsistenti.

E questo é il mio presente,

fatto di quei nulla, eppure conca

dove persistono svariati fiori.


Quante realtà

 

Quante realtà ci sono, nella vita?

Una che vivi, dai contorni chiari.

Ti accompagna e ti porta, e non ha voli.

Poi c’è quella irreale, eppure vera:

balena in una sguardo, oppur nel gesto

che scosse l’aria in un momento breve.

Fu allora che cogliesti l’impotenza

del sogno e, come fiore non colto,

abbandonato.


QUEL CHE DI NOI

 

Quel che di noi si mostra

è solo la cornice.

Il quadro resta dentro,

a tutti sconosciuto.

Nessuno mai potrà

vederlo o immaginarlo.

Quello sei tu, quasi senza

saperlo vivi di ciò che fosti,

del detto e del non detto,

del tocco di bacchetta

che ti buttò nel mondo.

Balenano i tuoi gesti

da una fonte nascosta

- come una luce

dietro una persiana.

 


 

 

Rita Fulvia Fazio "legge" Franco Donatini

 Franco Donatini: "La solitudine del poeta" dato alle stampe nel 2021 da Guido Miano Editore e "Sotto il senso del vivere" edito da Porto Seguro Editore 2023, questi i due pregnanti testi poetici introdotti dalle  pregevoli prefazioni di Nazario Pardini e Floriano Romboli che hanno sostanziato piacevolmente le mie festività. Condivido la comunanza di onestà intellettuale con l'autore, nonché con N. Pardini e F. Romboli, come manifestano le loro letture.  

Il primo testo, pubblicato nella collana Alcyone 2000-Miano, presenta l'affascinante copertina di un  galeone in mare aperto permeato dall'atmosfera del tramonto che simboleggia la naturale predisposizione dell'uomo/poeta a vivere, a sera, l'intimo approdo alla propria anima. L'altra raccolta di poesie, nella sezione Carpe diem di Porto Seguro, ha la copertina morbida al tatto e il bellissimo disegno minimal su sfondo bianco, che rappresenta un uomo che s'inerpica su una strada zigzagante in salita, evocativo dell'uomo solitario e connesso al destino della propria meta, come riflette il titolo "Sotto il senso del vivere".
Avendo già avuto modo di apprezzare le doti dell'ingegnere nucleare, docente all'università di Pisa, scrittore in prosa, poesia e critico d'arte Donatini, alla lettura dei suoi libri (Io non sono Magritte; In viaggio) non sono rimasta sorpresa dalla forma perfetta e dallo stile elegante dei componimenti. E altresì abituata alla mentalità tecnicistica della categoria degli ingegneri e maggiormente convinta che l'indirizzo scientifico  non precluda una coltivata raffinatezza dell'animo umano, non mi tenta l'uniformarmi all'altrui pensiero critico nell'attribuire la connotazione pessimistica del rotolar d'anima "Rotola l'anima" alla sua sottile, profonda sensibilità.
Poiché il poeta, alla denotazione degli elementi oggettivi, accorda i rintocchi del tempo al fluire dei sentimenti "La solitudine del poeta", nel vivere pienamente la realtà nella meditazione della propria solitudine.
E viaggia il destino di altri poeti: Saffo, Gozzano, Campana, Luzzi ma anche miti (Don Chisciotte, Ulisse, Achab) in Urlano le parole" per partecipare il navigare nel suo "...pensoso mare". Un mare in cui, pur anche, si tuffa ad afferrare, con bracciate avide di luce, gli affanni disorientanti, il non sens dei drammi dell'umana gente di un mondo pervaso da un'alea di precarietà, un mondo che muore.
Il poeta, nello spazio del tempo/non tempo di stagioni esistenziali immobili o assenze caleidoscopiche, traguarda il medesimo attraverso il suo poiein; e altresì, nella notte amica di "San Lorenzo" cattura il sogno, "un istante che sfida l'immenso / una fugace vana illusione...". Quindi declina il senso poetico "Son forse un poeta?!" nell'illusione ingannevole, calandosi nel vuoto/pieno della propria dimora e al di là dell'urgenza dichiarativa, narrativa del suo viaggio esistenziale àncora la  barca alla salvifica individualità.
Ammirata dai contenuti e  peculiarità espressiva, secca e limpida, armonica e fluente di rara bellezza compositiva, sono grata all'autore per queste superpremiate sillogi. 

Rita Fulvia Fazio



lunedì 12 febbraio 2024

Giusy Frisina :" Tutto si perde"

 TUTTO SI PERDE

 

Per questa luce preziosa che si spegne

Nelle anse della notte

Per questo bimbo che guarda incantato

Il suo primo tramonto

E per tutte le voci, tutto il pianto

Tutte le stelle sfiorate con lo sguardo…

Tutto si perde nel mistero

Di una limpida mattina senza scuola

E di un quaderno rimasto nel cassetto

Con la parola muta sulla porta di casa

E quel sorriso scomparso tra i cespugli

In un giorno come tanti

Pensando fosse eterno -

Con quella noia che manca

E si nasconde come una gioia segreta -

Tutto si perde e si confonde

Nella nebbia di un ricordo che si arrende -

….Oppure forse ritorna?

 

 

Gian Piero Stefanoni :"All'altezza degli occhi "

 Gian Piero Stefanoni, poeta, critico, collaboratore di Leucade e sopratutto amico, si cimenta in questa sua ultima fatica letteraria nella raccolta di saggi critici sulla poesia e sui poeti del novecento. Un lavoro di cesello e una raccolta che riassume anni di riflessioni e di analisi critiche. Qui si pubblica la copertina e l'introduzione dell'autore

Nazario Pardini

 

INTRODUZIONE

Raccolgo in queste pagine i testi da me curati nel 2018

per il video-progetto "Poiesis"

(http://www.trigona.cloud) del poliartista Alessandro

Trigona nell'intento divulgativo di" favorire l'accesso

alla conoscenza e la diffusione della Poesia"

relativamente ai maggiori poeti del nostro novecento,

dunque dai padri Saba, Ungaretti, Montale fino alle

figure più significative del nostro contemporaneo, da

Magrelli alla Calandrone solo per citarne qualcuna.

Sono, le mie, note critiche caratteristiche di ciascun

autore a disegnare una breve storia della nostra lirica e

qui rimontate (nelle diverse sezioni appositamente

approntate) sciolte dalle dinamiche visive scandite in

"Poiesis" per agevolarne nella pagina una maggiore loro

comprensione, nella convinzione anche che a fronte di

un eccesso di scrittura nel nostro paese si sconti per

mancanza di educazione altrettanta mancanza di lettura.

Un ricominciare, un apprendere di nuovo insieme di

autori e lettori nel perché del verso alla luce così di un

dialogo tra generazioni diverse che interpellandosi si

rinnova e ci rinnova.

venerdì 9 febbraio 2024

Livia Cattan legge : "C'era una volta" di Rita Gatta

 

RITA GATTA

C’era una volta .... favole, racconti e altre storie

 

C’era una volta....

mai incipit è stato più desiderato, invocato e sussurrato dagli albori dei tempi.

Le favole, i racconti popolari, le storie di paese che si tramandando di padre in figlio, di nonna in nipote, di mamma in mamma, sono l’eredità inviolabile delle famiglie, l’intangibile albero genealogico di intere generazioni, il confine che unisce e disegna la geografia dei luoghi in cui nasciamo e lega la nostra infanzia a ciò che saremo nella nostra vita adulta.

Rita Gatta in questa sua raccolta dal titolo evocativo “C’era una volta.... favole, racconti e altre storie” ha voluto condurci nel luogo a lei caro, Rocca di Papa, un paese dei Castelli Romani, nato alle pendici di un antico vulcano e ricco di storia, di antiche leggende medievali, ma anche di racconti di vita vissuta più recenti, che tramandano un terribile passato di guerra e di paura, e di tanto generoso, italiano coraggio.

È questo il punto di partenza, il luogo che hanno in comune i mille fili diversi delle storie che compongono la trama di questo libro.

Rita, moderno cantore, in questo luogo ha ascoltato e ricostruito e ridato vita alle tante voci che nel corso degli anni hanno scritto la storia delle famiglie, e costruito e abitato questo piccolo paese, piccolo sì, ma che in sé racchiude tutta la cosmica esistenza del mondo.

Così l’Autrice ci accompagna nei campi, e ci fa sedere “su un sasso, un tronco, una parte di prato rialzato”, verso l’ora di pranzo e ci offre del pane che profuma, pane che insegna ad un bambino che ci si può saziare con dignità trasformando l’attesa in companatico.

Oppure ci ospita dentro una piccola casa al limitare della campagna, davanti ad un camino acceso dove ronfa il gatto Gnocchetto, amico delle fate, e come in un mistico viaggio nel tempo ci riporta indietro alla nostra infanzia, al profumo del pane appena sfornato, e poi più indietro ancora, nel XVI secolo, al tempo della peste e di un uomo crudele e senza nome, e poi ci racconta del tempo in cui anche gli animali parlavano, e il mondo era povero sì, e duro e sconfinato e mortale, ma anche più semplice e profumato di buono.

C’era una volta.... sussurrano le pagine e l’Autrice ci riprende per mano e ci porta nel pieno centro dell’invenzione più terribile dell’uomo. Spariscono i fantasmi delle vecchie pettegole o i magici cani che spuntano dal nulla per indicarci la via più sicura, e si sente sempre più incalzante e roco il rumore degli spari, e filo spinato, e soldati, e povera gente. Ma ecco che inaspettatamente anche la guerra più orribile ci fa incontrare in una buia notte una mano coraggiosa, che non si volta dall’altra parte, e pur tremando di paura, lascia un paio di tenaglie, e restituisce ad un uomo il suo futuro e “una promessa da mantenere”.

La favola diventa Storia. “Danke” ci mostra come la guerra è un feroce progetto di pochi uomini assetati di potere, dannatamente attuale ma totalmente debole e vulnerabile di fronte a chi non rinuncia a rimanere “uno”, a chi non si spezza di fronte all’orrore, ma rimane umano, “intero” nella propria “Pietas” “di ragazzo poco più che adolescente che sfrecciava in bicicletta”. Diciamo anche noi “danke” a quel ragazzo. Grazie.

Ed ecco che l’Autrice rilegge la Storia, che diventa il ricordo di Elisa, determinata a seguire il proprio destino e non quello immaginato per lei dai genitori, tanto da scrivere al Duce per poterlo realizzare.

Ma il libro non racchiude solo favole e pagine di Storia e racconti imprevedibili. Il libro di Rita Gatta plana da una collina all’altra e parla due lingue, quella comune alla nostra tradizione, l’italiano, ma anche quella natìa, delle colline intorno a Roma. Ed ecco apparire tra le pagine due tra le storie a mio parere più belle, da buttare giù in dialetto, tutte di un fiato, come un vino contadino, e poi riassaporare lentamente anche in italiano: “A vacca d’a ciucciurummella” e “A benedizo’ de tata”.

Questo libro è tante cose, come la sua Autrice d’altronde.

Se questo libro fosse una qualità sarebbe la gentilezza, quella di Smeruonto, che vive con la mamma e che suo malgrado non ne fa mai una giusta! Ma il suo animo gentile un giorno incontra le fate, e tutto cambia....

Se questo libro fosse un fantasma forse sarebbe Nannella, piccola anima ferita dalla vita “ombrosa e disperata”, che ancora oggi all’imbrunire “è là che aspetta qualcosa o qualcuno che riesca a liberarla…” o forse sarebbe la Pampanella, “gli occhi fissi, la bocca atteggiata ad un sorriso crudele” sempreviva nei racconti “delle nonne e delle bisnonne che ogni tanto tornavano alle orecchie di chi era seduto davanti al focolare durante i lunghi inverni; ascoltando quelle voci, i brividi non erano soltanto di freddo...”

Se questo libro fosse un colore, sarebbe l’azzurro del lago oltre l’orizzonte dove la piccola Amelia, “nel suo abitino sotto il ginocchio, le scarpette bianche, sciolti i biondi capelli ricci, a boccoli vivace corre incontro ad ogni bambina, tenendo tra le mani la sua palla”. Bimba per sempre.

Se questo libro avesse un nome si chiamerebbe senza dubbio Riccardo, e avrebbe un nonno saggio, e una gallina, e tante avventure.

Se questo libro avesse un finale sarebbe quello “dell’incanto di una fiaba mai narrata”, del sorriso di una nonna “che si faceva ancora più aperto, così come le pagine del libro tornavano ad aprirsi dilatando per la piccola bimba le sorprese e le stranezze nascoste nella storia appena conclusa...”.

“C’era una volta…” ancora tante sono le voci e i racconti e le storie dentro a questo libro, e calda e familiare è la trama che Rita tesse intorno a loro, trama che unisce come un filo tenace l’infanzia all’età adulta, sempre, si intende, con un libro tra le mani.

 

 

3 febbraio 2024 - Livia Cattan