GUIDO
MIANO EDITORE
NOVITÀ
EDITORIALE
È uscito
il libro:
A MIO FIGLIO PAOLO di FRANCO COLANDREA
con prefazione di Floriano Romboli
Pubblicato il libro dal
titolo “A mio figlio Paolo – Dialoghi d’amore” di Franco Colandrea, con prefazione di Floriano Romboli, nella
prestigiosa collana “Alcyone 2000”, Guido Miano Editore, Milano 2024.
Non credo che sia necessario
impiegare molte parole per descrivere il dolore cocente e insuperabile, la terribile
deprivazione affettiva e intellettuale-morale provocati nell’animo di un
genitore dalla morte di un figlio, evento difficilmente concepibile e quindi
razionalizzabile nella sua innaturalità.
Un maestro del pensiero
antico, nonché grande scrittore, Lucio Anneo Seneca, nella Consolatio ad Marciam – un testo databile intorno al 40 dopo Cristo
– si accinse a confortare la madre, figlia del senatore Cremuzio Cordo, la
quale aveva perduto il suo Metilio, ricorrendo ai luoghi consueti della
dissertazione filosofico-letteraria; riuscì tuttavia a focalizzare soprattutto
la pena tenace e tormentosa («Tertius iam praeterit annus, cum interim nihil ex
primo impetu cecidit: renovat se et corroborat cotidie luctus et iam sibi ius
mora fecit eoque adductus est ut putet turpe desineret», 1 («Ormai sono passati
tre anni, e ancora niente dell’originario sgomento è venuto meno: piuttosto si
rinnova e rinvigorisce ogni giorno e la durata si è fatta diritto, sino a
spingersi a ritenere disonorevole desistere, traduzione mia»), e a indicarne la
causa precipua: «Nihil enim ad rem pertinent anni, quoniam nullum non acerbum
funus est quod parens sequitur», 17 («Perché al riguardo non contano nulla gli
anni, in quanto non c’è funerale, che abbia al suo seguito un genitore, che non
sia prematuro»).
Franco Colandrea,
nell’intento di definire la propria condizione etico-sentimentale, si affida
alla rappresentazione accorata dell’analoga situazione psicologica di una
“signora senz’anima”, tramite la felice soluzione narrativa della
corrispondenza speculare, dell’individuazione di una “microstoria” entro la
“storia” principale, secondo lo schema inventivo che i critici professionali
chiamano mise en abîme: «Ogni pomeriggio giravi con la bicicletta ed una signora
molto magra ti salutava sempre, il suo volto era molto scavato dalla
disperazione. Un giorno mi domandasti cosa avesse quella donna e perché fosse
sempre triste, ti risposi che aveva perso il suo unico figlio per un incidente
stradale (…) Mi abbracciasti ed esclamasti: “Povera donna, papà!” Ora sono io che cammino nella stessa piazza» (La signora senz’anima,
il secondo corsivo è mio).
L’episodio appena menzionato
costituisce altresì un interessante momento di svolta nell’organizzazione
strutturale-compositiva del racconto, ne precisa l’equilibrio formale e
stilistico. La parte iniziale del testo, che lo comprende, è caratterizzata
infatti dall’essenzialità e dalla nettezza del discorso, dominato da una
simmetria basata sulle frequenti cadenze iterative
e come bloccato da scoperte preoccupazioni cronistiche connesse all’obiettività
di un accadimento tragico e ineluttabile, che ha imposto uno stato sconvolgente
di mancanza, di sottrazione e quindi di autentica amputazione spirituale: «Ti ho
voluto in vita con la forza della vita. Mi hai fatto vivere con quella magica
forza della vita. Ti ho cresciuto con la potente forza dell’amore. Ci siamo
tenuti in vita e siamo cresciuti insieme con la forza dell’amore e della vita
(…) Appena viene a mancare la forza
della vita, anche quella dell’amore lentamente passa nel buio dell’orizzonte» (A Paolo con forza, corsivo mio, come
sempre dopo); «Di sera, nei momenti
in cui ci vedevamo, il tuo sorriso mi caricava. Di giorno, al telefono, vedevo sempre il tuo silenzioso sorriso,
era energia invisibile per tutti e due. Di
notte la parte conscia del mio cervello comunicava con la parte inconscia,
sorridevo col tuo sorriso. Mi manca
il tuo sorriso» (Il tuo sorriso);
«Sui Monti Ausoni – ricordo che avevi
dieci anni – insieme abbiamo
esplorato gli impenetrabili boschi di lecci, eravamo felici (…) Adesso non
troverò più niente di simile, ma quello che manca
veramente è il tuo sorriso» (Appunti di
gioventù).
Il ricordo è straziante, e
la terribile, profonda lacerazione suggerisce di conseguenza correlazioni antitetiche: «Avevi otto anni e la febbre che sfiorava i quaranta gradi (…) Era notte
ed avevi paura del buio. Trovammo tre
candele strette e lunghe (…) Era una luce
flebile ma piena di calore. Ora quel pagliaio è vuoto e senza luce» (Il pagliaio).
In seguito però – grazie
anche all’aiuto “terapeutico” della “scrittura” (mi sembra invero interessante
lo spunto meta-letterario costituito dal capitoletto intitolato Amica penna: «Non ti stanchi mai, sei
sempre disponibile, alle volte hai delle pause di riflessione, ogni tanto vieni
buttata con rabbia nel pennaiolo, ma poi vieni ripresa e così sei di nuovo
pronta a dare una mano») – il respiro sintattico si amplia, la costruzione dei
periodi si fa più complessa, e l’ossessione memoriale diventa occasione per una
sublimazione ideale, per un meditato trascendimento catartico del cupo animus luttuoso, attraverso un percorso
lucidamente deliberato nella sua alterità qualitativa, carica di rigeneranti
implicazioni emozionali e cognitive: «Non riesco ad avere pace, ma devo
accettare il fatto compiuto. La strada che intendo intraprendere per comunicare
con te attraverso il corpo eterico è nel campo della metafisica e spero tanto
un giorno di riuscire a comunicare con te attraverso uno di questi canali» (La rassegnazione).
Così il rapporto
padre/figlio riprende e si rinnova attraverso il sogno, un’esperienza che gli antichi greci ritenevano un dono della
divinità (« Ὄναρ ἐκ Διός ἐστιν
», si legge nel primo libro dell’Iliade):
«In sogno, davanti al caminetto acceso che riscalda anche le più remote cellule
del corpo, il pensiero è sempre costante verso di te, e ora riesco a vederti,
ti vedo con gli occhi della mente nell’altra dimensione (…) Mentre ti volti,
accenni ad un sorriso di compiacimento e durante il ritorno verso il tuo
Paradiso sussurri alcune parole che sembrano dire: «Ba (Papà), io sono con te, sono sempre vicino a te» (Il sogno di ri…nascita).
È questo il cuore del
libro di Colandrea: la comunicazione consentita dall’attingimento di un’altra
dimensione, dall’ “oltrepassamento” dei “confini dell’Universo” (v. il racconto
L’amore) non può che rivoluzionare ogni misura
interiore, rivelando la grave inadeguatezza di ogni concezione
relativistico-empirica ispirata al materialismo positivistico. Auspice pure
l’influsso della sapienza vedica, la mente del genitore, che ora da maestro si
trasforma in scolaro («Dopo la giornata lavorativa non vedo l’ora di andare a
letto a dormire con la speranza di rivederti in sogno e ascoltarti ancora
perché ho tanto da imparare da Te, figlio mio. Come vedi, ora i ruoli si sono
invertiti» (L’ascolto), si apre al mistero, all’idea dell’anima immortale,
alla prospettiva dell’incontro liberatorio e gratificante con una Presenza
d’amore, la quale assicura infine uno scopo positivamente orientativo alle
dinamiche dell’intero ordine vitale, datoché è convinzione conclusiva
dell’autore che «tutto vada ‘come se’
il mondo fosse diretto a un fine da una volontà intelligente e superiore» (Il cervello del mondo).
Floriano Romboli
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L’AUTORE
Franco Colandrea, nato a Vallecorsa (FR), vive a Monfalcone
(GO). Ha svolto il lavoro di Finanziere nelle Fiamme Gialle e poi dipendente
pubblico alla Regione Friuli Venezia-Giulia. La sua vita è cambiata dopo la
dipartita prematura del figlio Paolo. Oggi ha quattro lauree e si occupa di
Naturopatia. Ha pubblicato i volumi: Le parole che ti ho detto e non ti ho
detto in vita (2005), Dialogo inconscio da dimensioni diverse tra figlio
e padre (2006), Dialoghi onirici tra padre e figlio - Paolo l’Immortale
(2006), Senza Dio sono niente (2018), Rinascere a nuova vita dopo
aver subito un dolore impossibile (2023).
__________________
Franco Colandrea, A mio
figlio Paolo – Dialoghi d’amore, prefazione di Floriano Romboli, Guido
Miano Editore, Milano 2024, pp. 80, isbn 979-12-81351-40-0,
mianoposta@gmail.com.
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