UNA CHIACCHIERATA CON AMBRA SIMEONE
Ambra Simeone: Ho qualcosa da dirti. (quasi poesie)
deComporre Edizioni. Gaeta. 2014. Pagg. 64
Seguendo
Ambra fin dalla prefazione del suo Ho
qualcosa da dirti, libretto di
“quasi poesie”, come lei definisce, (forse ci sarà qualcuno che un giorno leggerà questo libretto,
senza dover correre subito al lavoro o in palestra o a cucinare per la famiglia,
dedicando una trentina di minuti, tutti per leggere, senza aver fretta
alcuna…), seguendola, appunto, la devo rassicurare che ha trovato quel qualcuno disposto a dedicare quella
mezzoretta al suo verseggiare; e penso di non essere l’ultimo. In effetti, devo
confessare, di essere stato attratto dalla novità di queste poesie, dalla loro
disposizione diversa, dal loro scorrere con un linguaggio affabulante,
malizioso, tutto vòlto ad attirare il lettore nella trappola della curiosità.
Perché il nuovo, diciamolo francamente, incuriosisce, e tutti, penso, vogliono
andare a fondo della questione: scoprirne i perché, le articolazioni, e
soprattutto i motivi che spingono a tanta novità. Ed ecco che quel qualcuno si
è sprofondato anima e corpo nei suoi lunghissimi “pensieri”, nelle sue
“ampissime” meditazioni, e di conseguenza nei suoi “smisurati” versi che
corrono col fiato in gola per tener dietro alla curiosità, alla voglia di
sorprendersi e di sorprendere di una scrittrice che si ribella a un modo di dire
e di pensare tradizionale. Insomma una novità che mira a mettere in luce le
questioni dei comuni mortali, le loro problematiche di vita reale piuttosto che
di quella esistenziale. E qui c’è tutta, proprio tutta la realtà che ci ruzzola
intorno.
Una realtà semplice, spicciola a cui tanti non porrebbero nemmeno
attenzione tanto le cose sono comuni e quasi trascurabili; e lei ce le
trasferisce nella loro nudità e soprattutto nascondendo, sotto la loro essenzialità, inclusioni etico-sociali che ci
fanno riflettere. Dacché qui l’attenzione è rivolta ai contenuti e non alle
chiacchiere; è rivolta a situazioni d’ingiustizia, ad un ristagnamento
culturale che la Nostra intenderebbe sovvertire ricorrendo a tutto ciò che è in
suo possesso; a tutto ciò che faccia della parola un’ancella virtuosa per
ripulire le stanze della consuetudine; ad un antilirismo per dar sfogo ai mal
di pancia che definirei personalissimo. E si parte dagli accidents più consueti o meno consueti.
D’altronde lo afferma la Nostra: Ho
qualcosa da dirti. E noi, incuriositi, ascoltiamo diligentemente quel
qualcosa, emozionandoci, anche, di fronte ad un dire che scivola via tatuando
un’anima fresca, giovanile, impegnata, il cui scopo è quello di farsi intendere
ricorrendo a qualcosa di diverso. E ci riesce con una semplicità disarmante.
Perché lei ha i contenuti e non ha bisogno di rifugiarsi dietro a dei
“parafrasismi” che spesso vengono impiegati per nascondere mancanza di
sostanza: “cani di provincia che non abbaiano allo stesso modo”; “a ognuno la
sua rivoluzione”; “il rifiuto della memoria”; “un’idea che non ha costi”; “un
formicaio pronto a entrare dal colletto di un amico”; “cani di provincia che
non abbaiano allo stesso modo”; “nessuno che insistesse perché lei andasse a
ripetizione”; o “l’idea balorda dell’a
capo”.
Ma non vi fate ingannare da queste citazioni che a prima vista sembrano
non dir nulla. Sotto c’è sempre un’allusione, c’è sempre un riferimento ad un
tipo di società fasulla e da rifare; e anche a un po’ del suo memoriale,
trascinata più dall’impeto della poesia che dalla volontà di ricorrervi.
Tu, che mi sei accanto, amico, e sei un
puritano, mi faresti immediatamente riflettere sull’uso di questo linguaggio: a
volte sporco (cazzo, cazzata…), zeppo di anacoluti (“va bene li usava anche il Manzoni” ti dico “ma qui è diverso,
è tutto il discorso un intero anacoluto” mi ribadisci); in effetti si può
eccepire che il suo dire è sgrammaticato, che va oltre ogni regola
morfosintattica, la rifiuta assolutamente (certi posti, io vedo proprio che non
ci voglio andare…); e inoltre pare proprio che non ci sia tanta differenza
fra prosa e poesia nei suoi versi.
Lo
afferma lei stessa: “ci
tenevo particolarmente a farle avere la mia piccola raccolta; queste
"quasi poesie" nascono da un lato da una mia situazione personale che
mi trova nel mezzo tra poesia e prosa…”.
Ma
è proprio Ambra che vuole questa forma:
un procedere spigliato, senza fronzoli, senza vincoli, senza regole così come
esce dalla bocca, dal parlato, informale, indice della sua ribellione. Di
protesta insomma. Una poesia che non sia poesia dove la rima baciata fa
sorridere. È chiaro che Ambra deve rompere assolutamente con la consuetudine. E
lei lo fa prima di tutto con la lingua e poi con i contenuti. Ma è anche vero
che tanti bei contenuti sociali, civili, erotici, di protesta o altro si
possono esprimere ricorrendo ad una poesia che sappia andare a capo quando lo
richiede la poesia stessa; o ricorrendo a quella natura che offre generosa
tutta la sua potenza cromatica e allusiva per configurare le ingiustizie o le
giustezze di questa vita e di questo mondo, o perché no quelle inquietudini che
timbrano la nostra vicissitudine umana, compreso il memoriale che tanta parte
ha nella sua storia. Ad una poesia che faccia dei suoi nèssi e dei suoi versi
un canto che, fregandosene di tradizioni o innovazioni o altro, sappia far
venire i brividi quanto una romanza nostrana, quale quella di un Puccini, un
Verdi, un Mascagni... o, per restare in tema, di un Sinisgalli, un Caproni, un
Saba… Non si può certo dire che in questi versi smisurati di Ambra, in questa
sua spontaneità senza misura, in questa sua vis
creativa che attinge ad un realismo di memoria calviniana, in questo suo
dire nutrito di neologismi, verbi ammiccanti, e nèssi scompigliati non ci sia
novità e freschezza letteraria. Però mi
piacerebbe vederla misurarsi (e lo so che è difficile, diciamo impossibile.
Cambiare pancia e stile è come snaturare il nostro essere) vederla misurarsi
con una poesia più armoniosa, più vicina a quella tradizione che lei condanna,
più vicina ad un verso che tiene in sé il tempo e il luogo del suo finire, e
più vicina ad un naturismo che sappia tanto di stagioni esistenziali, di abbracci
universali in cui il poeta possa anche ritrovare motivi memoriali o
etico-sociali come stimolo ad un mondo nuovo, mitopoietico, o
palingenico-epifanico.
Ambra ha una potenzialità tale sia a livello verbale che
umano, e una vis creativa talmente effervescente che saprebbe distinguersi alla
grande anche in un tipo di canto che
traducesse la gentilezza esplosiva dell’altra faccia della sua medaglia;
quella di un lirismo che serpeggia nei meandri del suo essere poetessa, del suo
essere anti al suo antilirismo. Perché in lei c’è; nascosto, ma c’è; perché lei
ama con pluralità, ed ama la poesia; perché tiene tutti quegli stimoli magici e
misteriosi in fermento che aspettano un’equivalenza, un oggettivazione timbrica
al loro polisemico ardore; un ordine; una sistemazione della loro rivoluzione
spirituale.
Nazario
Pardini
Caro Nazario,
RispondiEliminagrazie per il tuo sguardo onesto e aperto su questo mio esperimento anti-poetico, per rispondere alla tua proposta di scrivere poesia più armoniosa e tradizionale, ecco alcune mie vecchie poesie scritte anni fa, che non ho mai pubblicato perché ho preferito seguire la mia pancia:
geografia del verso
verso sud sempre verso sud ché
se ognuno è a sud di un nord è anche
per questo verso che scende e slarga
giù lungo questa pagina e nel bianco
che la seppellisce parola definitivamente
e la marchia nel vuoto per restare
così l’incontro questo pensiero
in un posto dove si nasce e si cresce
e lo si annoda alla penna ago di bussola
che verte in fondo e punta nel profondo
e chino seguendo leggi gravitazionali
ché nell’assenza della carta affiori
un discorso la sostanza dell’inchiostro
come dal mare un fogliame d’alghe
come cibo d’acqua rinfoltito al sole
non pioggia ma mare sacca di vita
a scandire il verso che cade in fondo
sotto sotto a sud in un altro solco
qui la parola resta in fondo alla pagina
come a forzare l’inizio e il principio
un rigo che viene per cadere e chiede
di essere ascoltato scavato a nostra immagine
e chiuso in limite in chi confida nel finale
***
nella vasca della stanza colata
nell’umido delle pareti
sembra che impostata sia
una nuova respirazione
si resta all’ascolto del torace
ai soffi agli spiragli del corpo lasciati aperti
carambola il vento nelle membra
come nella casa alle finestre soggetta
né il cuore ha una sola stanza
ma io intatta al centro di questa
ci vivo dentro in apnea costante
una Dorothy impazzita che cerca aria
e il polso pencola tra l’aria e l’acqua
ed è come se non ci fosse
impegnato nella scelta della sostanza
nella circolazione inceppata
***
senza pensare mai al nocciolo del discorso
alla semenza da lasciare prima
di scrivere una parola
ma solo alla sua più frugale e sofferta forma
senza vedere mai se in quella stessa direzione
è nata una corolla o una spina
così accade a volte a uno che scrive
Dimostrano ancora di più la tua versatilità. E come dico: "Ambra ha una potenzialità tale sia a livello verbale che umano, e una vis creativa talmente effervescente che saprebbe distinguersi alla grande anche in un tipo di canto che traducesse la gentilezza esplosiva dell’altra faccia della sua medaglia...".
RispondiEliminaAl condizionale, naturalmente, conoscendo a fondo il tuo indirizzo, la tua propensione, che si traduce in una personalissima poesia.
Nazario
carissimo,
Eliminaciò dimostra la tua onestà intellettuale e sensibilità critica, che apprezzo e per questo ti ringrazio!