Sandro Angelucci collaboratore di Lèucade |
È
chiarissima la metafora, tanto che potrebbe risultare superfluo notarlo. E,
invece, così non è perché - estendendo l’analisi all’intera poetica pardiniana
- ci si rende conto che la stessa vive di queste similitudini. Sono, sempre,
allegorie di ordine naturale: poesia e natura si compenetrano al punto - e lo
affermo senza esagerare - di non essere più disgiungibili. Questa lirica ne è
più che mai la riprova: l’acqua è il tempo, il tempo dell’uomo; lo riflette in
modo puntuale e speculare così come restituisce l’immagine dei canneti, che
tanto fanno pensare alla fanciullezza. E, poi, il suo allontanarsi dalla
sorgente: presa com’è dalla corsa verso il mare, verso il suo “profumo
allettante” che attira e, al contempo, inganna. La vita è, fin dalla nascita, un
viaggio verso la morte, verso questo volersi e doversi perdere in “voragini sì
avare”: “Avresti mai pensato - scrive il poeta - che dal “rampollare
bisbigliante” delle polle sorgive (quanta affinità con il nostro primo vagito!)
saresti finita nel mare che tutti i fiumi accoglie? Certo, è una dispersione
che sconcerta (si noti quell’avverbio: ‘amaramente’ che - anche sul piano
formale - rappresenta una particolarità per questa scrittura; eppure quella sua
spezzatura ha un che di misterioso rivelamento). Il turbamento, però, è
soltanto raziocinante; almeno, a me, così piace pensarlo, ben conoscendo le
profondità dalle quali proviene questo canto.
Sandro Angelucci
Il fiume
Acqua, che
riflettesti i miei canneti
con le
quaglie sui cimoli, e le torri
di grigie
chiese e i tremuli felceti
delle
sponde, lo sai tu dove corri?
Ti perderai
tra poco nel clangore
dell’irruente
mare, ed il tuo salce
ti guarderà
sparire. Già il rumore .
dell’ampio
piano in file d’alba calce
ora vicine
ed ora più lontane,
come vie di
paese, si confonde
all’aria
dei pinastri. Non t’inganni
il profumo
allettante; presto vane
saranno
quelle immagini di sponde
in spazi
senza fine. Ed i tuoi panni
scoloriranno
in cuore al tanto vasto
vorticare
del nulla, finché a volte,
ormai
sepolta preda alle ritorte
ed iteranti
corse, sarai volta
alla riva
che più non ti appartiene.
Avresti mai
pensato, al rampollare
bisbigliante
dei gorghi tra le fresche
chiazze
sorgive di finire amara-
mente
dentro voragini sì avare?
Ninnj Di Stefano Busà
RispondiEliminaQuesta poesia è un capolavoro. Ho già avuto modo di esprimere il mio parere in proposito, ma più la leggo, più mi convinco della sua validità "assoluta" nei riguardi della metrica, dell'armonia interna al verso, della semantica descrittiva di un linguaggio proteiforme...Mi pare di udirla recitare in un'aula di giovani studenti, come materia di studio, alla stregua di quella di un Carducci, o di un Foscolo. Sono certa che passerà alla Storia della Letteratura come un testo dalla classicità ineludibile, che darà molto lustro e grandezza al poeta Pardini. Non è per piaggeria, ma ne sono convinta e lo dico apponendovi la faccia...bravo!
Grazie,
RispondiEliminacarissima Ninnj. Sei troppo generosa, però, devo confessare che ogni tuo commento mi inorgoglisce sempre più e mi emoziona all'inverosimile. Fammi aggiungere, anche, che non c'è da sorprenderci se una grande maestra quale sei abbia generato e continui a generare figli del suo nobile sangue.
Nazario
I primi tre versi di questa poesia sono di una bellezza, per così dire, "statica". L'acqua del fiume si sofferma piacevolmente tra "i miei canneti / con le quaglie sui cimoli, e le torri / di grigie chiese e i tremuli felceti / delle sponde". Non " i canneti", ma "i miei canneti", scrive Pardini, il che rivela la specularità dell'elemento naturale con l'animo umano, come giustamente rileva Angelucci. Questo primo momento "immobile" non deve sfuggire, come in realtà non sfugge al recensore, che in esso coglie l'evocazione della fanciullezza: una realtà incancellabile, essenziale ed immutabile a dispetto di ogni apparenza, senza la quale non avrebbe senso l'intera poesia. Il vorticare travolgente delle onde che fluiscono verso il mare ci dice che l'acqua, scorrendo, smarrisce il ricordo delle proprie origini, ma nulla dice sul reale dissolversi delle stesse origini. Il fatto è che, fin quando esiste la foce, la sorgente esiste. E viceversa, perché l'una non può fare a meno dell'altra. Il discorso è complesso e comprendo bene le ragioni di Angelucci nell'affermare che, a suo parere, "il turbamento è solo raziocinante... ben conoscendo le profondità dalle quali viene questo canto". Da un lato è vero che non si può scendere due volte nello stesso fiume, perché l'acqua non è mai la stessa, ma dall'altro è inconfutabile che il letto del fiume è sempre quello e non cambia... quindi? Non è giusto, a mio parere, dimenticare che Eraclito fu il filosofo dell'armonia dei contrari.
RispondiEliminaFranco Campegiani