"Fiamme nella memoria"
un "giallo" di
Loredana d'Alfonso
Forse non tutti
sanno che il "giallo" assunse questo nome dal colore della copertina
con cui la Mondadori inaugurò una collana poliziesca negli anni trenta del
secolo scorso. Il genere letterario, tuttavia, si direbbe già nato all'incirca
un secolo prima per opera di Edgar Allan Poe con I delitti della via Morgue, esattamente
nel 1841. La figura centrale di quei racconti era Auguste Dupin,
dotato di enormi capacità deduttive che gli permettevano di risolvere casi
criminali senza nemmeno recarsi sui luoghi dei delitti e solo leggendone
resoconti giornalistici.
Fu poi a quel personaggio che in qualche modo si rifece Arthur Conan Doyle nel creare il ben più famoso
Sherlock Holmes
(era il 1868). Da allora il genere conobbe sempre maggior fortuna, dapprima di
pubblico e poi di critica, affermandosi come genere letterario avventuroso,
come letteratura potremmo dire d'evasione. Tuttavia il fervido intreccio
di realismo e psicologismo, di occhio fotografico e scandaglio interiore, non
poteva non essere foriero di sviluppi interessanti e imprevedibili.
Il
"giallo", infatti, si alimentò fin da subito di umori
esistenzialisti, dipingendo ambienti cittadini sempre più problematici e
psicologie umane sempre più inquietanti. Con il passare dei decenni, le città
divennero metropoli, e le metropoli megalopoli, con clangori sempre più
sferraglianti, assordanti, che finirono per fagocitare gli aspetti psichici,
rubando in qualche modo gli uomini a se stessi. Ma confinato in luoghi
sotterranei, l'inconscio non muore. Scava gallerie interminabili dove pulsa
caoticamente, con scoppi improvvisi che lacerano la superficie. Un magma
virulento ed esplosivo che dà vita ad eccessi, a violenze e a follie incomprensibili,
a mostruosità d'ogni tipo. In tal modo il "giallo", gradatamente
arricchito di valenze introspettive, finì per acquisire connotazioni psichiche,
come sfondo di un'azione filmica dalle caratteristiche sempre più marcate del thriller.
E veniamo a
"Fiamme nella memoria", un "giallo" di Loredana D'Alfonso
recentemente pubblicato dalla Kairòs,
con cui la scrittrice inaugura la saga dei Lexter,
incentrata sulle indagini dell'ispettore Donovan. E', questa, una scrittura a suspense, filmica, multicolore e vivida,
legata all'azione, ma non per questo di evasione, pur non rinunciando a
divertire il lettore. Scrittura oggettiva, sobria, brillante e limpida, che
fotografa la realtà lasciandone trapelare il substrato umano e psichico. Un
realismo equidistante dall'impegno ideologico e dal disimpegno ludico. Mi viene
di pensare agli scenari della Pop Art,
a quelle atmosfere anglosassoni, tipiche dell'arte contemporanea, che respingono la descrizione dell'interiorità e
guardano al mondo esterno, al complesso di stimoli visivi e sonori che
circondano l'uomo d'oggi, ma che proprio nascondendo le profondità ne subiscono
per contrasto l'ineliminabile presenza.
La scrittrice non
affronta direttamente i problemi sociali e psicologici, ma ne illumina il gorgo
limaccioso ai bordi della narrazione. Ne segue che i ritratti dei personaggi,
pur netti e scolpiti a tutto tondo, sono volutamente sfuggenti, e ciò non è
meno efficace che affrontarli direttamente. Bisogna considerare che la visione
del mondo di Loredana è essenzialmente positivista, in una scrittura che ama
tornare alla tradizione propriamente poliziesca e deduttiva del
"giallo". C'è tuttavia una profondità che riesce a scuotere, pur
rinunciando ai toni predicatori della denuncia e della letteratura d'impegno.
Immune dal pessimismo, il romanzo non ha neppure
l'ottimismo consolatorio e catartico che il "giallo" aveva avuto
inizialmente nel modello anglosassone.
Certo,
il lieto fine non manca. Le indagini giungono a buon fine, questo è vero, ma la
visione non è propriamente ottimistica, perché la realtà non si bonifica e
rimane comunque preda di pulsioni incontrollabili. Si palesa tuttavia nella
scrittrice una fiducia nell'intelligenza, nella buona fede e nella
determinazione di chi, come l'ispettore Donovan, è individualmente motivato, non per far trionfare il bene sul male (ci
mancherebbe altro!), ma per stemperare l'uno nell'altro, ridimensionandoli
entrambi e stabilendo un vivibile e più equilibrato ordine sociale. Il male ha
un suo spazio ineliminabile, per cui la bonifica non sarà mai definitiva e
lascerà irrisolti sul campo tutti gli interrogativi.
L'ispettore Donovan
non è un donchisciotte, un cavaliere senza macchia. La sua vocazione alla
limpidezza non gli impedisce di avere a sua volta una vita privata inquieta e
problematica, ma ciò non lo ostacola nello svolgimento delle indagini con quel
piglio che alla fine gli darà ragione. Con questo romanzo la D'Alfonso si
afferma come geniale scrittrice di gialli, in una narrazione che possiede i
classici ingredienti di tale letteratura, giocata tra colpi di scena
sconcertanti ed ipotesi investigative contrastanti, tali da tenere desta
l'attenzione dalla prima all'ultima riga. Una fosca serie di eventi si mette in
moto nella villa dei Lexter dando luogo ad una fioritura complessa di intrighi
e di indagini che si espandono a macchia d'olio nelle città di Los Angeles e
Pittsburgh, con una puntata fuori programma a Miami. I fili spezzati della
contorta vicenda si riannoderanno pazientemente sul finale grazie all'acume
dell'ispettore Donovan.
La scrittura, come
abbiamo detto, è giocata sul piano dell'azione e lascia parlare le cose, con un
campionario umano di straordinaria ricchezza, composto da una manciata di
protagonisti e di svariate figure secondarie. I ragionamenti non contano e i
deliri, le follie, le passioni malate non guariscono certo con un semplice
sforzo di ricostruzione degli eventi. L'investigatore non fa psicanalisi. E
neppure la scrittrice, in fondo, limitandosi a descrivere il come le cose accadono e lasciando che il
perché resti impenetrabile. Senza
compiacimenti, però, e anzi incrementando il desiderio di acque limpide.
Che l'orizzonte
della scrittrice non sia ideologico o moralistico, può comprovarlo la vicenda
di quel Direttore scolastico che crede di poter cambiare il mondo e resta
barbaramente freddato da uno studente. Interessante e sintomatico lo scontro
frontale e durissimo tra Donovan e il Professor Richard Lexter, arrivista
cinico e senza scrupoli, una macchina di successo, di potere e di loschi affari.
Tra i due si instaura un odio cordiale, una inimicizia che tuttavia non giunge
alla condanna morale. I due si odiano e si combattono senza esclusione di
colpi, ma nessuno di loro spara sentenze sull'altro e si limita a svolgere il
proprio ruolo.
In fondo è questo
che conta, che ognuno svolga il proprio ruolo. "Democrazia... le masse...
belle parole in bocca a chi addosso ha almeno tremila dollari di roba".
Così riflette Donovan, e Leon gli fa eco: "La giustizia... bella giustizia
quella che i potenti possono comprare... La libertà è di chi se la può
comprare. La fortuna è di chi sa abbagliare una donna dolcissima (Louise) con
l'arroganza, l'ambizione violenta, la capacità di una conversazione
brillante... e poi la fa marcire come un fiore delicato buttato in una pozza
d'acqua putrida, la costringe a mandar giù una manciata di sonniferi e il gioco
è fatto... E una giovane spagnola vicino (Esmeralda), un tipo assetato della
luce dei riflettori come lui".
Eppure, in tanto
degrado, non mancano esempi virtuosi. Come il padre della stessa Esmeralda, ad
esempio, che - scrive l'autrice - "doveva essere stato un uomo
equilibrato, appagato, uno di quelli che amano il proprio lavoro e la famiglia,
di cui il mondo è pieno, che non hanno ambizioni di fare la storia", ma
che vivono per se stessi, dando fondo non al proprio egoismo, ma al proprio
amore.
Franco Campegiani
Interessante la presentazione che F. Campegiani fa del “giallo” di Loredana d'Alfonso dal titolo "Fiamme nella memoria"!, che certamente vorrò leggere. Interessante la seconda parte, dove C. si addentra con intelligenza e finezza di analisi nel testo: (“Scrittura oggettiva, sobria, brillante e limpida, che fotografa la realtà lasciandone trapelare il substrato umano e psichico. Un realismo equidistante dall'impegno ideologico e dal disimpegno ludico…La scrittura, è giocata sul piano dell'azione e lascia parlare le cose, con un campionario umano di straordinaria ricchezza…I ragionamenti non contano e i deliri, le follie, le passioni malate non guariscono certo con un semplice sforzo di ricostruzione degli eventi. L'investigatore non fa psicanalisi. E neppure la scrittrice…”). Bastano queste parole per catturare la curiosità di chi vuol continuare la lettura di un genere letterario ormai storico. Ma è soprattutto interessante la prima parte- storico-saggistica- in cui C. ricorda i contributi di Edgar Allan Poe e di Arthur Conan Doyle…
RispondiEliminaA titolo esemplificativo ricordo che anche gli italiani entrano nella tradizione: e mi sovviene il napoletano Francesco Mastriani, (Napoli, 1819 – 1891), Emilio De Marchi (Milano, 1851 –1901), Augusto De Angelis (1888-1944), Giorgio Scerbanenco(1911-1969)…, e via, fino al giallo d’autore di Leonardo Sciascia e di Gesualdo Bufalino, passando per Camilleri e arrivando al capolavoro di Antonio Tabucchi La testa perduta di Damasceno Monteiro… “Il giallo” in epoche più recenti s’intreccia sempre di più con tematiche esistenziali, sociali, storiche e politiche, descrivendo una società sempre più caratterizzata dai soprusi e dalla violenza e da romanzo d'evasione diventa romanzo d'invasione delle coscienze addormentate: deve scuotere più che divertire. Il giallo riprende vigore. Riprende anche prestigio letterario.
M.Grazia Ferraris
Che gioia trovare la recensione di Franco della 'mia' Loredana! Lei merita a tutti gli effetti un posto in questo prestigioso blog. Anch'io ho avuto l'onore di presentarla, al fianco di Franco, e provo a postare parte del mio umile dire. Il suo testo va senz’altro considerato un ‘giallo’, in quanto rispetta i
RispondiEliminacanoni della narrativa di genere e, al termine della vicenda ‘risolve’, al contrario del noir che lascia le possibili interpretazioni al lettore.
Loredana ambienta i suoi scritti in America, probabilmente per
assecondare alcune sue tendenze caratteriali, che si adattano al clima
del nuovo continente. Ella, infatti, ama centrifugare gli eventi, dar spazio
alla figura di un investigatore privato, Brian Donovan, che sopperisce
all’indolenza, per non dire all’assenza della Polizia americana.
Brian è il protagonista di Fiamme nella memoria e del secondo romanzo di
Loredana, L’eredità dei Lexter, al quale l’autrice e i lettori non possono
non affezionarsi. Irlandese di nascita e di cuore, quarantenne, single,
benestante, ma incline a non esibire il proprio status, alto, dinoccolato,
elegante – indossa solo Oxford celesti come camicie - , dagli occhi azzurri, e i lineamenti irregolari, innegabilmente affascinante, legato a uno stile di vita epicureo, non esita a rinunciare a progetti di vacanza in nome dell’amicizia, valore al quale attribuisce importanza fondamentale.
Loredana s’identifica senz’altro nell’investigatore. Nella sua indole
caparbia, forte e dolce al tempo stesso, incline a momenti di malinconica
nostalgia, caratterizzata da forte senso dell’umorismo e del dovere dalla
predisposizione ai viaggi e dalla tendenza a non indulgere in avventure.
Brian nel libro insegue le sue personali piste spostandosi da Los Angeles a Pittsburgh, a Miami e l’Autrice possiede la splendida capacità di
contestualizzare i luoghi in modo da farci vedere ‘vivere’ le varie città
americane. Possiede il dono di descrivere le abitudini, i cibi con tale
dovizia di particolari, che ci si trova proiettati in altra dimensione e si seguono le storie ‘dall’interno’. Si vivono l’opulenza, la bellezza, il senso civico di Los Angeles e il degrado, la tristezza di Pittsburgh.
In Fiamme della memoria, Loredana, alla prima esperienza con un
romanzo di genere, cede più all’istinto che al tecnicismo. Pur velocizzando
gli eventi, indugia sugli aspetti dei vari personaggi, viaggia tra le pieghe
delle loro anime e li caratterizza con rara maestria.
Il giallo è impostato con la tecnica del flash- forward, ovvero del lanciare il
lettore ‘verso’, non indietro, come nel flash – back, per cui parte in levare,
con un incipit di altissimo livello narrativo, che rappresenta la linea –
guida alla soluzione del testo e si potrebbe definire un romanzo nel romanzo. In queste magnifiche trenta pagine di sangue e fuoco, vi è
l’irruenza della scrittrice, la purezza assoluta dell’ispirazione e…
vi è la donna… parte delle verità della sua vita.
L’autrice riesce a strutturare una trama che, come nelle migliori tradizioni
dell’Opera di genere, rende quasi tutti i personaggi ipotetici colpevoli e
crea possibili implicazioni in traffici di droga dei protagonisti, alfine di
depistare dalla traccia principale.
Un testo del genere, scritto con spirito investigativo straordinario e con
stile fluido, scorrevole, adatto a una proiezione cinematografica, consente
di inserire Loredana tra le poche, autentiche gialliste italiane.
Maria Rizzi