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giovedì 13 novembre 2014

LORENA TURRI: A.GUGLIELMINETTI, COLEI "CHE VA SOLA"

DA: "R, MESTRONE: "AMALIA GUGLIELMINETTI" DA UN'INTUIZI...": 

Non conoscevo Amalia Guglielminetti. Me ne aveva accennato Roberto Mestrone che ora, qui, ci propone questo scorcio sulla poetessa torinese. Nel frattempo, incuriosita, sono andata in cerca di sue notizie e ho letto alcune sue liriche e stralci del carteggio con Gozzano, nonché qualche informazione sulla travagliata storia con Dino Segre (Pitigrilli).
E’ colei “che va sola”. Mio Dio! Quante donne vanno sole trafitte dall’ipocrisia e l’opportunismo di uomini che non hanno saputo o voluto comprenderle! Di uomini arroganti e prevaricatori.
«Io provo una soddisfazione speciale quando rifiuto qualche bella felicità che m’offre il Destino. E quale felicità, amica mia! (…) Già altre volte l’ho confessata la mia grande miseria: nessuna donna mai mi fece soffrire; non ho amato mai; con tutte non ho avuto che l’avidità del desiderio, prima, ed una mortale malinconia, dopo…». Così l’ipocrita Gozzano liquida l’innamorata Amalia.
Eppure Amalia è una donna che sa come sedurre (nella sua accezione più alta) e soprattutto come spiegarsi, con eleganza pervasa da un delicato e sensuale erotismo. E ben si spiega in queste splendide terzine che Roberto Mestrone ci propone.
Della lirica mi colpisce subito la prima parola: “Ma”. Il valore avversativo fa quasi supporre essere la continuazione di un discorso precedentemente aperto che ella avversa spiegando che “ il frutto[…] sul ramo si matura/ per la sete del suo coltivatore”. A chi lo spiega? Al “coltivatore” stesso. Al maschio. Perché un buon coltivatore di albero da frutto dovrebbe sapere come curare il suo albero affinché produca frutti succosi al fine di saziare la sua sete. Il femminismo e l’animo ribelle della poetessa sembra qui venire meno nel dichiarare che è per quella ”sete” che “il frutto si matura”. Ma questa, in realtà, non è altro che l’indole genetica, quasi biblica, oserei dire, di ogni donna: non rimanere “vaghezza sterile di fiore” , “nato al piacer dell'occhio e dell'olfatto, ma (farsi) polpa e succo buono e buon sapore”… per il coltivatore. E ciò non significa sottomissione, ma grande energia nel darsi e nell’amare a chi, però, sappia coltivare questa fruttuosa pianta. E’ un monito, quello di Amalia che continua, spiegando (al coltivatore) della semplicità di questo frutto al cui riso ella attribuisce il colore”scarlatto”. Il colore del sangue, della passione, dell’eros, il colore del velo delle spose della classicità. E ribadisce: “Per chi sa..”, concludendo che “Si dona, benché un poco esso nasconda/il rossor dell'offerta tra due foglie”. Quando timida spudoratezza in questi versi, con il colore rosso che riappare! Degna davvero della migliore Saffo! E qui sta tutta l’arte della seduzione… “ma”… ed ecco ancora riapparire l’avversativa, “…splende… nella man che si tende e che lo coglie”! Perché il frutto femminile bisogna saperlo cogliere nella sua “nudità gioconda”.
Una lezione di donna all’uomo resa magnificamente con tutta l’Arte metaforica di uno spirito di femmina temeraria e sensibile. Da leggere e da gustare davvero come un frutto succoso.

Non di rado, quando un uomo si trova di fronte ad una donna di cui intimamente ne comprende la superiorità per doti, talento, capacità o quant'altro, la reazione che ne consegue sia di grande dispetto e la sua personalità ne esca scissa sfociando, da un lato, in arroganza, ipocrisia, cinismo o, nei casi limite anche violenza. Ieri sera stavo continuando la lettura del carteggio tra Gozzano e Amalia e mi è parso di riscontrare tra le righe di Guido una malcelata invidia tant'è che le lei, conclude una lettera con un "Non invidiatemi."
Ha persino, Guido, la sfrontatezza di raccontarle un episodio, accaduto un giorno che, con alcuni amici ragionava di lei, mentre se ne stava in disparte e sola nello stesso luogo:
- Che peccato: è proprio bella!
Fosse almeno analfabeta.
Ma scrive!
– Detestabili le donne che scrivono! Se scrivono male ci
irritano.
– Se scrivono bene ci umiliano..."
Dopo averle raccontato il fatto cerca di giustificarsi malcelandosi dietro una rudezza leale ed amichevole ma, poi, non disdegna di chiederle di raccomandarlo a Dino Mantovani, un critico estimatore di Amalia con il quale lei era in rapporto di amicizia. Più volte la adula dicendole che,a furia di leggere le sue liriche, le ha imparate a memoria e gliene fa spesso citazione, preoccupandosi, però, di sottolineare di non avere il libro sottomano.
Più vado avanti nella lettura e più aumenta la mia antipatia per questo Vate. Per continuare ad apprezzarlo come poeta, dovrò dimenticarlo come uomo!


Lorena Turri

2 commenti:

  1. Splendido il tuo tributo, carissima Lorena! Ogni volta che scrivi lasci segni tatuati sulle anime dei lettori. Complimenti, ovviamente, al mio Presidente, autore della lirica che ha scatenato i commenti. Celebrare Amalia Guglielminetti, è cosa degna di un uomo degno della sensibilità di Roberto.
    Nel leggere le sue opere e, soprattutto, nell'apprendere del travagliato amore per Gozzano, mi sono chiesta più volte quale dicotomia può esistere in un Artista di altissimo spessore, se sa elevarsi al cielo con i versi e scendere negli abissi con il comportamento quotidiano. Amalia è stata reiteratamente maltrattata dall'uomo che adorava. E la lettera che ci propone Lorena ne è un'avvilente dimostrazione. Lei ha dimostrato capacità di reagire, ma il rifiuto resta un gesto che segna per sempre. Non riesco a contemplare l'uomo cinico e il Vate. Sarà un mio limite. L'uno esclude l'altro o, perlomeno, lo sminuisce. E Amalia con la sua statura memorabile, l'ha sminuito ulteriormente...
    Ringrazio per questi tributi di grande spessore!
    Maria Rizzi

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    1. Io penso, cara Maria, che, non di rado, quando un uomo si trova di fronte ad una donna di cui intimamente ne comprende la superiorità per doti, talento, capacità o quant'altro, la reazione che ne consegue sia di grande dispetto e la sua personalità ne esca scissa sfociando, da un lato, in arroganza, ipocrisia, cinismo o, nei casi limite anche violenza. Ieri sera stavo continuando la lettura del carteggio tra Gozzano e Amalia e mi è parso di riscontrare tra le righe di Guido una malcelata invidia tant'è che le lei, conclude una lettera con un "Non invidiatemi."
      Ha persino, Guido, la sfrontatezza di raccontarle un episodio, accaduto un giorno che, con alcuni amici ragionava di lei, mentre se ne stava in disparte e sola nello stesso luogo:
      "....
      Che peccato: è proprio bella!
      – Fosse almeno analfabeta.
      – Ma scrive!
      – Detestabili le donne che scrivono! Se scrivono male ci
      irritano.
      – Se scrivono bene ci umiliano
      ..."
      Dopo averle raccontato il fatto cerca di giustificarsi malcelandosi dietro una rudezza leale ed amichevole ma, poi, non disdegna di chiederle di raccomandarlo a Dino Mantovani, un critico estimatore di Amalia con il quale lei era in rapporto di amicizia. Più volte la adula dicendole che,a furia di leggere le sue liriche, le ha imparate a memoria e gliene fa spesso citazione, preoccupandosi, però, di sottolineare di non avere il libro sottomano.
      Più vado avanti nella lettura e più aumenta la mia antipatia per questo Vate. Per continuare ad apprezzarlo come poeta, dovrò dimenticarlo come uomo!
      Grazie Maria, per la tua sempre squisita attenzione.

      Lorena Turri

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