Maria Grazia Ferraris collaboratrice di Lèucade |
Pardini-
I canti dell’assenza-
Una
raccolta poetica dal titolo emblematico. I
canti dell’assenza. Memoria.
Malinconia. Poesia.
La
parola poetica: difficile e impegnativa.
Ha alle
spalle studio, letture, conoscenze, emozioni, approfondimenti
storico-linguistici ed estetici. Matura
ascolti, intuizioni, sentimenti, silenzi, attese…Deve nondimeno tradurre grandi
coinvolgimenti personali e originali in
parole, condivisioni, coltivando un equilibrio difficile, in alcuni passaggi
vertiginoso, che, abbandonando la routine quotidiana, vista con occhi nuovi,
esprime uno sguardo conoscitivo alternativo, che rasenta il sublime, svelandone
la sua natura “paradossale”.
La
poesia, anche la più colta, anche quando raggiunge livelli di intuizione ed
astrazione sublimi,ha bisogno nondimeno dell’esperienza sensibile, ha bisogno
delle situazioni, della quotidianità e dell’eccezionalità soggettiva ed
irripetibile della vita per capire che il limite in cui è scaturita deve
superare l’immediatezza della banale routine,
la ripetitività consueta, e quello della razionalità assecondando slanci
e misteri, per giungere alla conoscenza.
Anche per comprendere l’immediatezza occorre
sempre essere disposti a un viaggio personale, interiore, ed intellettuale,
attraversarla, cercarne il senso, nel
silenzio e poi ricrearla con le parole, quelle della poesia, per mettersi in contatto con una zona del nostro
essere che si apre –alto- allo sconosciuto e all’ineffabile, verso un oltre,
(il canto dell’assenza?), dove si
aprono spazi di una diversa, forse privilegiata illuminazione, conoscenza
alternativa.
Questo
è il viaggio di N. Pardini.
Anche
quando insiste con la successione comunicativa di situazioni memoriali dell’infanzia,
della sua storia, del suo vissuto in generale, ( La mia casa, Sere di casa mia, Mia madre si stupiva…) egli riesce
quasi sempre a lasciare spazio al lettore che nelle sue emozioni ritrova
empaticamente se stesso e riesce a
creare associazioni nuove; non si
chiude nella sfera di un privato auto centrato egotico che non si
arricchisce del valore della
storia: il suo privato acquista un senso che passa oltre
l’emozione, arriva al mondo imperituro degli affetti e della nostalgia, al
sentimento, al simbolo…
<Giungevo
infreddolito, ma la porta/ chiudeva fuori sguardi sulle zolle/ verdeggianti di
aprili anche a dicembre….
Depredavamo i pioppi di forcelle /per fionde che affondavano radici/ nel
terriccio dell’anima….
Mi provo, quando nessuno vede, ad impugnare/un
cimelio di fionda….
E pensare, ricordi?, che riuscivo/a
silurare il cielo colle pietre/convinto di bucare anche le nubi.> (Lo
stradone di scuola )
Nessun
abbandono sentimentalistico o dolciastro; il dubbio torna ad essere compagno di
lavoro: la realtà, attraverso il sistema sensoriale ci giunge come messaggio
motivato inquietante, ai non rassicuranti circuiti cerebrali.
<…alto volò toccando cime immense,/
azzardi che gli umani/cercano con l’anima e la mente;
ma ci si può bruciare/ se il volo è
troppo arduo,/si annullano in abissi senza fine/le nostre identità;
sperderci oltre la siepe,/o in cieli
fra le stelle/è un naufragio per la nostra essenza.>
(Il volo di Icaro)
Questa
odierna e coltivata funzione della poesia che si innesta in un tessuto più narratologico è nelle corde
del poeta e può essere assunta dalla
necessità della ricerca di un equilibrio classico fra figurazioni significanti
e abbrivi emotivi.
Si
ripetono i contenuti, apparentemente uguali: realismo lirico, meditazione,
memoriale, panismo simbolico, input emotivo-esistenziali …(Vi ricordate quel
che diceva C. Pavese? «Ogni autentico scrittore (leggi poeta) è splendidamente
monotono, in quanto nelle sue pagine vige uno stampo ricorrente, una legge
formale di fantasia che trasforma il più diverso materiale in figure e
situazioni che sono pressappoco le stesse».). È il caso del poeta Pardini.
Ed i
luoghi, le stagioni, sono pure, nella loro mai definitiva ricordanza,
ricorrenti ( Il fiume, Ottobre, Novembre,
Oh terra di novembre! …)
<Poi giunto è ottobre a mietere le
foglie/ di una stagione che ha reciso il sole.
La vigna saccheggiata lascia i resti/
dell’ultimo raccolto…>
Il tema
struggente è quello dell’addio –l’assenza-
che circola nella storia umana come nella storia biologica e naturale: anche se
in natura non è addio perpetuo,
giacchè l’autunno che avanza trabocca di
ricordi (che purtroppo facilmente si dileguano) ma che pure sono indizio,
segno di ricchezza.…, le colline pisane, il fiume:<Acqua, che riflettesti i miei canneti/ con le quaglie sui cimoli,
e le torri/ di grigie chiese e i tremuli felceti/ delle sponde, lo sai tu dove
corri?
Ti perderai tra poco nel clangore/
dell’irruente mare,…>
E la
grande pianura battuta dal vento salmastro del suo amato mare …
<sui sentieri di campo solitari/ di
papaveri tinti e di ginestre….
fra le reste/ scricchiolanti di calura
estiva/ alla deriva/ in possesso dei suoni e degli afrori
della mia madre antica.>(Volerei
felice)
Sono i
luoghi dove l’anima si dilata in una sensibile auscultazione della natura e
dove prevale la familiarità quotidiana straniata da immagini lontane, evocate,
scaturite dalla memoria, in un percorso
che fonde conoscenza e sentimento, cuore e cervello. Commozione contenuta,
virile, emozionante.
<Novembre/ ascolto i silenzi
dell’anima/ sugli umidi campi di saggine,/ sulle brine che si levano ora
all’aurora di un sole impoverito…>
È la
storia di un uomo autentico che porta con sé le inquietudini, e le malinconie,
le luci e le ombre- intense- del poeta
che guarda, nondimeno, il passato con occhi limpidi, e che diventa
illuminazione della vita, isolando e cesellando i ricordi in una potente globale “sineddoche-metonimia
“ che caratterizza tutto il ciclo poetico, dandone la chiave della lettura:
Oh terra
di novembre! Il tuo riposo/ sia vigile ai miei cari. Ti respiro/ ora che vanno
i roghi di fascine/a perdersi lontano. E ti rivivo/ novembre di dolore e di
riposo.
Mi aiutano gli stecchi volti al cielo,/
i campi abbandonati ai sagginali,/le gazze sopra magre prode spente,/ e i canti
delle tortore mi aiutano,/ che lugubri rintoccano nell’aria,/ a vivere la
morte,
con voi, miei cari,/ di questo mio
novembre.
La
grande consapevolezza dei mezzi espressivi sempre riconfermata rende la lettura
delle poesie apparentemente facile,
fluida: è la facilità che nasce dalla semplicità, che come sappiamo per
esperienza è la più faticosa delle conquiste espressive…
E
dietro la musica… iperboli fulminanti, ardue, letterariamente raffinate,
endecasillabi perfetti, musicali, o spezzati a centro verso, la cesura del
dolore e dell’emozione,-l’assenza- inseguiti ed
inanellati da ripetuti enjambements …,
controllati magistralmente da una
padronanza espressiva e d’uso che fa da
argine solido a ogni debordo: la spia di un lavoro di ricerca che si
mantiene fedele per tutta una vita poetica.
Maria Grazia Ferraris
Grazie, Maria Grazia, di questa superba interpretazione del mio canto zeppo di assenze che tu hai saputo rielaborare con magistrale intuizione; con infinita padronanza ermeneutica; facendo delle parole stille d'anima da rovesciare su candidi fogli. Grazie della commozione, donatami dal tuo immenso palpito poetico.
RispondiEliminaNazario
Stupendo commento all'opera di un poeta stupendo!
RispondiEliminaRoberto Mestrone