Il lupo, di Antonio Moscatello
La prima cosa che noti, leggendo Il lupo, è che
scorre come un ruscello, una pagina tira l’altra, vai avanti, e scorre sempre
più forte. Non lasci il libro sul comodino perché vuoi continuare, e mentre
rosicchi qualche minuto qui e là alla tua giornata, la lettura avanza. Non te
ne accorgi, ma passo dopo passo, capitolo dopo capitolo, questo ruscello cresce,
diventa un torrente, poi un fiume in piena. Comunque l’acqua scende veloce, e
se prima è cristallina, arrivando al fiume diventa torbida. Tutto si calma
nella conclusione, il fiume finisce in un lago, non nel mare, perché non è
immensa la fine, piuttosto sembra una tavola calma, con residui borbottii, un
po’ tremante, grande, ma non immensa, come se l’autore volesse riconciliarsi
con il mondo dopo aver esplorato gli orrori dell’animo umano. Sta di fatto che
arrivi alla fine che neanche te ne accorgi, e tutte le vicende che hai vissuto
in queste circa duecento pagine, sono presenti, non le dimentichi. Già, perché
a differenza di altri racconti dello stesso genere che richiedono massima
attenzione per i dettagli, qui gli stessi dettagli vengono dosati gradatamente,
uno alla volta e non passano inosservati.
Mi ha colpito la gradualità con cui cresce il
corso d’acqua, senza nessun intoppo, senza obbligarti a tornare alle pagine
precedenti per rileggere quel particolare che andando avanti hai dimenticato, è
così ben architettata che il ritmo rasenta la perfezione. Ogni tanto, sì,
appare qualche guizzo che intende aggiungere altra vita nel flusso, e come un
salmone che salta nell’acqua si presenta al lettore che sorride, senza però
distrarsi.
Il protagonista, Marco, è un giornalista
affermato sulla quarantina. Facendo un servizio su un orrendo infanticidio, Marco
si deve confrontare con una sua orrenda verità nascosta. Non si sa di cosa si
tratta, ma con l’aiuto di Leda, una giovane e bella giornalista, Marco comincia
a scavare nel suo intimo, per capire da dove viene quel grumo, quel mostro che
lo attanaglia bloccandolo e torturandolo. Comincia così un viaggio nell’orrore,
un’indagine apparentemente innocua che porta i due giornalisti a scoprire un
mondo infame e spietato.
L’equilibrio e la leggerezza della narrazione
consentono di catturare l’attenzione del lettore senza stancarlo, e il
narratore affronta con rara maestria l’esplorazione nell’avidità dell’animo
umano. I fatti che vengono narrati riguardano direttamente i due protagonisti,
tra i quali nasce inevitabilmente un forte legame.
Con descrizioni molto sintetiche e dialoghi
perlopiù vivaci, questo libro si presenta come un giallo. Certo, gli elementi
ci sono tutti, dall’omicidio irrisolto alle trame della malavita, ma non sono
questi il fulcro della storia. La parte più importante, infatti, è la capacità
di scavare nella memoria, fino a poter rivedere fatti successi nella prima
infanzia. Il trauma vissuto da Marco bambino è la guida dei due improvvisati
investigatori che, tra una scoperta e quella successiva, ricostruiscono un
complesso rompicapo che consentirà a Marco di saldare un debito con la sua
memoria. Il bello di questo giallo (o thriller, non importa come lo si
cataloghi) risiede proprio nel fatto che non è un giallo. I personaggi non sono
solo utili allo svolgimento della trama, ma sono oggetto e causa dell’indagine,
e appaiono al lettore con i loro dubbi e le loro debolezze, le loro reazioni
sono influenzate dai fatti che succedono nel momento della narrazione, e sono
fatti credibili. Insomma, Il lupo è un gran bel libro.
Claudio Fiorentini
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