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domenica 12 giugno 2016

N. PARDINI: LETTURA DI "SILLOGE INEDITA" DI NADIA CHIAVERINI


Poesia fresca, agile, impegnata, fortemente intrusiva questa di Nadia Chiaverini. Un versificare esperto, frutto di meditazioni e pensamenti, di riflessioni e stati emotivi alla ricerca di una metaforicità, e uno stilema speculari che contemplino e concretizzino l’essere in sfumature dialettiche, in convulsi andirivieni verbali e stilistici. Sono tante le motivazioni che spingono la Nostra a confessare i suoi disagi sociali ed esistenziali: “il vuoto intorno ad un mondo privo di sostanza”; “L’altra parte di me è feroce/  con i nemici infligge tormento /  anche  per un falso tradimento/una parola fuori posto”; “Perché se mi vuoi cambiare/ allora vuoi farmi morire”;  “I giorni sono tornati spogli/io e te soltanto/al tavolo l’uno davanti all’altro/la sera a cena, una romantica candela/come quel quadro che abbiamo acquistato/da un pittore sconosciuto…”: tanti segnali di una personalità complessa che mira all’indagine, alla ricerca dell’altra parte di sé, alla  comprensione, all’affermazione della propria identità, a irrobustire la sostanza di un canto ontologicamente aderente che mai scada in epigonismi o in pleonastiche misure; di un canto di solitudini, di malum vitae, di inquietudine esistenziale, spleen e saudade. E rovesciare sul foglio una epigrammatica vicenda che poi si identifica in gran parte con lo snocciolarsi della vita; con la meditazione su un travagliato viaggio, significa ripercorrerne le tappe fatte di ripensamenti, di illusioni, delusioni, erotiche vicinanze, viaggi, ritorni, e voli verso mondi che richiedono tante energie speculative; tante varianti espressive; è là, in quei mondi oltre le siepi, che la Chiaverini tenta spesso di librarsi, forse per sfuggire alle aporie di una società vuota e inconcludente; o forse per cercare un’alcova che le dia riposo e nuove energie per superare la monotonia del quotidiano, le storture di una società malata:

Ma ancora volo...
Non ho toccato terra
e non so se è il selciato
che mi aspetta  -  o  il sogno

Possiamo di sicuro affermare che Nadia traduce la sua vita in versi caldi e passionali; tutto il suo essere in un ordito vario e polivalente proprio perché tanto è il suo patema, e talmente grosso il nodo che le stringe la gola che occorrono ondulazioni metriche e significanti plurimi per contenerlo tutto: dalla filosofia sull’esistere, alla visione eraclitea del tempus fugit; dalla constatazione della realtà più spicciola, al superamento della stessa con arditi azzardi civili; con nutriti coinvolgimenti umani e sociali:

Quando  s’apre quel cancello
un soffio di giovinezza
una capigliatura bionda
una sciarpa gialla
un sorriso sulla faccia…

per approdare alla riflessione sul rapporto con gli altri o alla struggente conclusione sulla fine di un amore:

Niente di quel che resta  rimane uguale
dopo la fine di un amore
Lo sguardo s’ attarda
perché alla fine la sola rivolta
è spararsi alla testa
oppure, ancora meglio,
un salto e basta
Perché se mi vuoi cambiare
allora vuoi farmi morire
o ricattare con una vita migliore
il segno al collo di una catena
sogno che s’infrange in un sorriso
di scherno  /  stanca frontiera 

E non è raro il ricorso ad una natura opulenta o decadente, luminosa o  brumosa per simboleggiare stati d’animo di particolare intensità; è in queste configurazioni paniche che la Poetessa  trova il colore o il sapore delle sue melanconie: lo spegnersi del sole, pomeriggi d’afa, l’alba, il cielo celeste, l’assoluta mancanza di nuvole: tutte configurazioni impiegate a sommo scopo per dare consistenza ad una interiorità adusa alla meditazione:

Si è spento il  sole                                   
di quella fantasia d’amore
Ora danzano
 malinconiche le ore                     
al ricordo della sua voce         
flautata risata che sgorga       
nei pomeriggi d’afa

E’ crollato l’altare
costruito in una gabbia
e il colore dilaga mesto all’alba       
libera il baricentro lo stupore                       
come un amore svanito                        
Nel cielo celeste all’improvviso
assoluta mancanza di nuvole

D’altronde  è proprio dei poeti della nostra più schietta tradizione misurarsi col tempo,  con la vastità dei mari, o con l’infinito del cielo. E’ da lì che derivano le nostre insoluzioni, i nostri dubbi, le nostre perplessità; da tali confronti il disagio che l’uomo prova di fronte all’idea di fine o d’inizio; di fronte ad un redde rationem senza scampo; ed è da lì che ci rendiamo conto di quanto sia precaria la nostra vicenda terrena; di quanto siamo imperfetti di fronte al tutto. Fenollosa Ernest Francisco affermava che la poesia è l’arte del tempo. E Blaise Pascal, nei Pensées: “Tra noi e l'inferno o il cielo c'è di mezzo soltanto la vita, che è la cosa più fragile del mondo”:

Morirò  imperfetta
questa è una certezza
l’ha confermata l’onda alla risacca
l’ha raccolta il grido 
disperso tra le nubi
e il vento l’ha seminata tra le dune
dove tutto è scritto
e rimane sepolto /  in ascolto

Lo testimoniano l’onda alla risacca, il grido disperso tra le  nubi,  e il vento che ha seminato questa certezza fra le dune dove tutto è scritto e rimane sepolto in ascolto.
Ma c’è anche un est modus in rebus, un equilibrio nell’affrontare la sorte; e la vita, pur con tutte le sue difficoltà, resta un dono ineguagliabile; basta pensare che a noi è toccata, vero miracolo della casualità:
 ci è toccato il privilegio di godere delle bellezze del creato, di provare l’amore per chi si ama, di vivere emozioni scrivendo poesia, di trasferirci in alto per contemplare il mondo in tutte le sue miserie; e quello di gridare con tutte le forze le ingiustizie e gli abusi commessi contro i deboli:

C’è una misura nelle cose
un girotondo d’amore silente
sulla giostra rovente
il bimbo e l’angelo si rincorrono
sul cavallo bianco a dondolo

Forse tornare bambini con l’animo puro del fanciullino sarebbe un modo buono per ripartire. Probabilmente la convivenza sarebbe più agile, più armoniosa, più giusta, più a misura del poeta. D’altronde Nadia l’ha scolpito anche in esergo con una citazione di Holderling: là dove c’è il pericolo c’è anche ciò che salva. Un grido ungarettiano a non smarrirsi, a riprendere il viaggio, a non naufragare impotenti. Il mare è grande, smisurato ed è facile perdere la  bussola. Ma è possibile anche affidarsi al faro del caso per raggiungere il porto, pur coscienti, come la Poetessa, dell’umana imperfezione:

E’ color ruggine la vertigine
senza più fede/ trascendente
le radici tagliate da lame affilate
Nel duello tra contaminazioni e stonature
s’insinua la linea sottile del dolore                       
l’umana imperfezione

Nazario Pardini




 là dove c’è il pericolo c’è anche ciò che salva
                    Holderling

Quella lacrima che scende 
al risveglio / in automatico
senza vero dolore
quando l’occhio più non  sopporta
tutto questo squallore
il vuoto intorno ad un mondo
privo di sostanza
qualcosa / un grigiore / sempre che avanza
che s’innesta in questa vita
senza vera violenza
quel dolore rimasto attaccato
alla suola della scarpa


*

L’altra parte di me
s’è spogliata di tutto
come sanfrancesco ha scelto
L’altra parte di me
s’addormenta da sola la sera
ma ha una risata squillante
che trafigge le pareti                                  
si scioglie  il  crine biondoargento /sulle spalle
non sopporta maglie troppo strette
L’altra parte di me è feroce  con i nemici                   
infligge tormento /  anche  per un falso tradimento
una parola fuori posto
Così si è rotto l’incanto
di un cavallo selvaggio / preso al laccio


*


Niente di quel che resta  rimane uguale
dopo la fine di un amore
Lo sguardo s’ attarda
perché alla fine la sola rivolta
è spararsi alla testa
oppure, ancora meglio,
un salto e basta
Perché se mi vuoi cambiare
allora vuoi farmi morire
o ricattare con una vita migliore
il segno al collo di una catena
sogno che s’infrange in un sorriso
di scherno  /  stanca frontiera 

 *

Si è spento il  sole                                      
di quella fantasia d’amore
Ora danzano
 malinconiche le ore                       
al ricordo della sua voce          
flautata risata che sgorga         
nei pomeriggi d’afa

E’ crollato l’altare
costruito in una gabbia
e il colore dilaga mesto all’alba       
libera il baricentro lo stupore                       
come un amore svanito                        
Nel cielo celeste all’improvviso
assoluta mancanza di nuvole


*

Oggi va in scena una nuova puntata
di una vita di/ segnata
dis/ equilibrata
tutto ciò che ho ingerito          
ho vomitato/ è un sollievo
come la pioggia d’estate
rinfresca la pelle arsa
germoglia   la verità nascosta

*

Morirò  imperfetta
questa è una certezza
l’ha confermata l’onda alla risacca
l’ha raccolta il grido 
disperso tra le nubi
e il vento l’ha seminata tra le dune
dove tutto è scritto
e rimane sepolto / in ascolto

*

Il funambolo

Brindo a mezzanotte
sul mio filo teso
porgo la coppa al cielo
non temo il vuoto

Li porto dentro
il precipizio /  e il punto d’appoggio
il pianto del mondo
la sfida all’universo


*

ignoro il limite:
trasparente velo
dell’impossibile
peplo di molecole infinite
crisalide nel bozzolo

*
E così ha prevalso
l’equilibrio instabile
il filo teso  -  rotto
il salto nel vuoto  -  accaduto

Ma ancora volo...
Non ho toccato terra
e non so se è il selciato
che mi aspetta  -  o  il sogno

*
Est modus in rebus

Aggredisce la pelle l’estate
 e forgia  striature  di sangue
lamiere infuocate
respiro lento d’affanni
sbarre chiuse ai passaggi a livelli

C’è una misura nelle cose
un girotondo d’amore silente
sulla giostra rovente
il bimbo e l’angelo si rincorrono
sul cavallo bianco a dondolo

*

Dopo le feste

I giorni sono tornati spogli
io e te soltanto
al tavolo l’uno davanti all’altro
la sera a cena, una romantica candela
come quel quadro che abbiamo acquistato
da un pittore sconosciuto
c’era subito piaciuto
io e te , una tovaglia, un fiasco,
un bicchiere di vino rosso
torneranno, quando potranno, i figli
ora /    è il tempo del furore.

*
Quando  s’apre quel cancello
un soffio di giovinezza
una capigliatura bionda
una sciarpa gialla
un sorriso sulla faccia

tutto è tenerezza

per una bocca sdentata
con la bava sulle labbra
basta una carezza
l’assaggio di un biscotto
e la tv sempre accesa

*
La mer
      
Accoglie l’onda. Rimane in ascolto
 profondo /di quel corpo
che galleggia come uno straccio,
 un tronco , un residuo di naviglio.

Senza nebbia o tempesta
l’ira di Nettuno avanza              
perché la tesi è falsa:
il principio di non contraddizione
è l’assioma,
la vita di un uomo                                                                                    
la scelta giusta.

Capitano, uomo in mare!
La  paura del confine,         
la prua che non vede
e si allontana      
nel  pianto delle sirene


*
ad Arturo Paoli

Il segreto di senso                   
è condividere l’altro
toccare insieme il fondo
l’ultimo posto
dove non c’è scampo
cercare il segno del tempo
laggiù
dove muore l’asfalto


*


TERZO MILLENNIO

E’ una parabola
il fluire del tempo
la fine  di una stagione
la sua mutazione
tatuata sulla scorza di un carapace
E’ color ruggine la vertigine
senza più fede/ trascendente
le radici tagliate da lame affilate
Nel duello tra contaminazioni e stonature
s’insinua la linea sottile del dolore                             
l’umana imperfezione

 Nadia Chiaverini






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