Poesia fresca, agile, impegnata,
fortemente intrusiva questa di Nadia Chiaverini. Un versificare esperto, frutto
di meditazioni e pensamenti, di riflessioni e stati emotivi alla ricerca di una
metaforicità, e uno stilema speculari che contemplino e concretizzino l’essere in
sfumature dialettiche, in convulsi andirivieni verbali e stilistici. Sono tante
le motivazioni che spingono la Nostra a confessare i suoi disagi sociali ed
esistenziali: “il vuoto intorno ad un mondo privo di sostanza”; “L’altra parte
di me è feroce/ con i nemici infligge
tormento / anche per un falso tradimento/una parola fuori
posto”; “Perché se mi vuoi cambiare/ allora vuoi farmi morire”; “I giorni sono tornati spogli/io e te
soltanto/al tavolo l’uno davanti all’altro/la sera a cena, una romantica
candela/come quel quadro che abbiamo acquistato/da un pittore sconosciuto…”: tanti
segnali di una personalità complessa che mira all’indagine, alla ricerca
dell’altra parte di sé, alla comprensione, all’affermazione della propria identità,
a irrobustire la sostanza di un canto ontologicamente aderente che mai scada in
epigonismi o in pleonastiche misure; di un canto di solitudini, di malum vitae,
di inquietudine esistenziale, spleen e saudade. E rovesciare sul foglio una
epigrammatica vicenda che poi si identifica in gran parte con lo snocciolarsi
della vita; con la meditazione su un travagliato viaggio, significa
ripercorrerne le tappe fatte di ripensamenti, di illusioni, delusioni, erotiche
vicinanze, viaggi, ritorni, e voli verso mondi che richiedono tante energie
speculative; tante varianti espressive; è là, in quei mondi oltre le siepi, che
la Chiaverini tenta spesso di librarsi, forse per sfuggire alle aporie di una
società vuota e inconcludente; o forse per cercare un’alcova che le dia riposo
e nuove energie per superare la monotonia del quotidiano, le storture di una
società malata:
Ma
ancora volo...
Non
ho toccato terra
e
non so se è il selciato
che
mi aspetta - o il
sogno
Possiamo di sicuro affermare che Nadia
traduce la sua vita in versi caldi e passionali; tutto il suo essere in un
ordito vario e polivalente proprio perché tanto è il suo patema, e talmente
grosso il nodo che le stringe la gola che occorrono ondulazioni metriche e
significanti plurimi per contenerlo tutto: dalla filosofia sull’esistere, alla
visione eraclitea del tempus fugit; dalla constatazione della realtà più
spicciola, al superamento della stessa con arditi azzardi civili; con nutriti
coinvolgimenti umani e sociali:
Quando s’apre quel cancello
un
soffio di giovinezza
una
capigliatura bionda
una
sciarpa gialla
un
sorriso sulla faccia…
per approdare alla riflessione sul
rapporto con gli altri o alla struggente conclusione sulla fine di un amore:
Niente
di quel che resta rimane uguale
dopo
la fine di un amore
Lo
sguardo s’ attarda
perché
alla fine la sola rivolta
è
spararsi alla testa
oppure,
ancora meglio,
un
salto e basta
Perché
se mi vuoi cambiare
allora
vuoi farmi morire
o
ricattare con una vita migliore
il
segno al collo di una catena
sogno
che s’infrange in un sorriso
di
scherno / stanca frontiera
E non è raro il ricorso ad una natura
opulenta o decadente, luminosa o brumosa
per simboleggiare stati d’animo di particolare intensità; è in queste
configurazioni paniche che la Poetessa
trova il colore o il sapore delle sue melanconie: lo spegnersi del sole,
pomeriggi d’afa, l’alba, il cielo celeste, l’assoluta mancanza di nuvole: tutte
configurazioni impiegate a sommo scopo per dare consistenza ad una interiorità adusa
alla meditazione:
Si
è spento il sole
di
quella fantasia d’amore
Ora
danzano
malinconiche le ore
al
ricordo della sua voce
flautata
risata che sgorga
nei
pomeriggi d’afa
E’
crollato l’altare
costruito
in una gabbia
e
il colore dilaga mesto all’alba
libera
il baricentro lo stupore
come
un amore svanito
Nel
cielo celeste all’improvviso
assoluta
mancanza di nuvole
D’altronde è proprio dei poeti della nostra più schietta
tradizione misurarsi col tempo, con la
vastità dei mari, o con l’infinito del cielo. E’ da lì che derivano le nostre
insoluzioni, i nostri dubbi, le nostre perplessità; da tali confronti il
disagio che l’uomo prova di fronte all’idea di fine o d’inizio; di fronte ad un
redde rationem senza scampo; ed è da
lì che ci rendiamo conto di quanto sia precaria la nostra vicenda terrena; di
quanto siamo imperfetti di fronte al tutto.
Fenollosa Ernest Francisco affermava che la poesia è l’arte
del tempo. E Blaise
Pascal, nei Pensées: “Tra noi
e l'inferno o il cielo c'è di mezzo soltanto la vita, che è la cosa più fragile
del mondo”:
Morirò imperfetta
questa
è una certezza
l’ha
confermata l’onda alla risacca
l’ha
raccolta il grido
disperso
tra le nubi
e
il vento l’ha seminata tra le dune
dove
tutto è scritto
e
rimane sepolto / in ascolto
Lo testimoniano l’onda alla risacca, il
grido disperso tra le nubi, e il vento che ha seminato questa certezza
fra le dune dove tutto è scritto e rimane sepolto in ascolto.
Ma c’è anche un est modus in rebus, un equilibrio nell’affrontare la sorte; e la
vita, pur con tutte le sue difficoltà, resta un dono ineguagliabile; basta
pensare che a noi è toccata, vero miracolo della casualità:
ci è toccato il privilegio di godere delle
bellezze del creato, di provare l’amore per chi si ama, di vivere emozioni
scrivendo poesia, di trasferirci in alto per contemplare il mondo in tutte le
sue miserie; e quello di gridare con tutte le forze le ingiustizie e gli abusi commessi
contro i deboli:
C’è
una misura nelle cose
un
girotondo d’amore silente
sulla
giostra rovente
il
bimbo e l’angelo si rincorrono
sul
cavallo bianco a dondolo
Forse tornare bambini con l’animo puro
del fanciullino sarebbe un modo buono per ripartire. Probabilmente la
convivenza sarebbe più agile, più armoniosa, più giusta, più a misura del
poeta. D’altronde Nadia l’ha scolpito anche in esergo con una citazione di
Holderling: là dove c’è il pericolo c’è
anche ciò che salva. Un grido ungarettiano a non smarrirsi, a riprendere il
viaggio, a non naufragare impotenti. Il mare è grande, smisurato ed è facile
perdere la bussola. Ma è possibile anche
affidarsi al faro del caso per raggiungere il porto, pur coscienti, come la
Poetessa, dell’umana imperfezione:
E’
color ruggine la vertigine
senza
più fede/ trascendente
le
radici tagliate da lame affilate
Nel
duello tra contaminazioni e stonature
s’insinua
la linea sottile del dolore
l’umana
imperfezione
Nazario Pardini
là
dove c’è il pericolo c’è anche ciò che salva
Holderling
Quella lacrima che scende
al risveglio / in automatico
senza vero dolore
quando l’occhio più non sopporta
tutto questo squallore
il vuoto intorno ad un mondo
privo di sostanza
qualcosa / un grigiore / sempre che
avanza
che s’innesta in questa vita
senza vera violenza
quel dolore rimasto attaccato
alla suola della scarpa
*
L’altra parte di me
s’è spogliata di tutto
come sanfrancesco ha scelto
L’altra parte di me
s’addormenta da sola la sera
ma ha una risata squillante
che trafigge le pareti
si scioglie il
crine biondoargento /sulle spalle
non sopporta maglie troppo strette
L’altra parte di me è feroce con i nemici
infligge tormento / anche
per un falso tradimento
una parola fuori posto
Così si è rotto l’incanto
di un cavallo selvaggio / preso al
laccio
*
Niente di quel che resta rimane uguale
dopo la fine di un amore
Lo sguardo s’ attarda
perché alla fine la sola rivolta
è spararsi alla testa
oppure, ancora meglio,
un salto e basta
Perché se mi vuoi cambiare
allora vuoi farmi morire
o ricattare con una vita migliore
il segno al collo di una catena
sogno che s’infrange in un sorriso
di scherno /
stanca frontiera
*
Si è spento il sole
di quella fantasia d’amore
Ora danzano
malinconiche le ore
al ricordo della sua voce
flautata risata che sgorga
nei pomeriggi d’afa
E’ crollato l’altare
costruito in una gabbia
e il colore dilaga mesto all’alba
libera il baricentro lo stupore
come un amore svanito
Nel cielo celeste all’improvviso
assoluta mancanza di nuvole
*
Oggi va in scena una nuova puntata
di una vita di/ segnata
dis/ equilibrata
tutto ciò che ho ingerito
ho vomitato/ è un sollievo
come la pioggia d’estate
rinfresca la pelle arsa
germoglia la verità nascosta
*
Morirò
imperfetta
questa è una certezza
l’ha confermata l’onda alla risacca
l’ha raccolta il grido
disperso tra le nubi
e il vento l’ha seminata tra le dune
dove tutto è scritto
e rimane sepolto / in ascolto
*
Il funambolo
Brindo a mezzanotte
sul mio filo teso
porgo la coppa al cielo
non temo il vuoto
Li porto dentro
il precipizio / e il punto d’appoggio
il pianto del mondo
*
ignoro il limite:
trasparente velo
dell’impossibile
peplo di molecole infinite
crisalide nel bozzolo
*
E così ha prevalso
l’equilibrio instabile
il filo teso -
rotto
il salto nel vuoto -
accaduto
Ma ancora volo...
Non ho toccato terra
e non so se è il selciato
che mi aspetta -
o il sogno
*
Est modus in rebus
Aggredisce la pelle l’estate
e forgia
striature di sangue
lamiere infuocate
respiro lento d’affanni
sbarre chiuse ai passaggi a livelli
C’è una misura nelle cose
un girotondo d’amore silente
sulla giostra rovente
il bimbo e l’angelo si rincorrono
sul cavallo bianco a dondolo
*
Dopo le feste
I giorni sono tornati spogli
io e te soltanto
al tavolo l’uno davanti all’altro
la sera a cena, una romantica candela
come quel quadro che abbiamo acquistato
da un pittore sconosciuto
c’era subito piaciuto
io e te , una tovaglia, un fiasco,
un bicchiere di vino rosso
torneranno, quando potranno, i figli
ora /
è il tempo del furore.
*
Quando
s’apre quel cancello
un soffio di giovinezza
una capigliatura bionda
una sciarpa gialla
un sorriso sulla faccia
tutto è tenerezza
per una bocca sdentata
con la bava sulle labbra
basta una carezza
l’assaggio di un biscotto
e la tv sempre accesa
*
La mer
Accoglie l’onda. Rimane in ascolto
profondo /di quel corpo
che galleggia come uno straccio,
un tronco , un residuo di naviglio.
Senza nebbia o tempesta
l’ira di Nettuno avanza
perché la tesi è falsa:
il principio di non contraddizione
è l’assioma,
la vita di un uomo
la scelta giusta.
Capitano,
uomo in mare!
La
paura del confine,
la prua che non vede
e si allontana
nel
pianto delle sirene
*
ad
Arturo Paoli
Il segreto di senso
è condividere l’altro
toccare insieme il fondo
l’ultimo posto
dove non c’è scampo
cercare il segno del tempo
laggiù
dove muore l’asfalto
*
TERZO MILLENNIO
E’ una parabola
il fluire del tempo
la fine
di una stagione
la sua mutazione
tatuata sulla scorza di un carapace
E’ color ruggine la vertigine
senza più fede/ trascendente
le radici tagliate da lame affilate
Nel duello tra contaminazioni e
stonature
s’insinua la linea sottile del
dolore
l’umana imperfezione
Nadia Chiaverini
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