Sandro Angelucci,
collaboratore di Lèucade
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FAUSTA GENZIANA LE PIANE:
OSTAGGIO DELLA VALLATA
Fausta Genziana Le Piane. Ostaggio della vallata. Edizioni Tracce. Pescara. 2014. € 11,00
Credo non possa esserci migliore
approccio all’opera di Fausta Genziana Le Piane di quello di prendere spunto da
una delle poesie contenute nell’ultima delle sei sezioni che compongono Ostaggio della vallata.
Mi riferisco a Poesia, che cito integralmente: “La mia Poesia / mi piace /
portarla / con me / ovunque. / Nascosta. / Partecipo / alle cose / in modo
diverso.”.
Cosa si evince da tanta asciuttezza, da
queste che – più che parole – sono tracce di scalpello scolpite sulla pagina?
Intanto che, per la Nostra, scrittura e vita vanno di pari passo, camminano
insieme; “ovunque” c’è l’una, c’è anche l’altra e viceversa.
Ma la poesia si tiene “nascosta”: non per
disagio, non per vergogna (s’imbarazza chi non la conosce), tutt’altro: chi ne
percepisce il vigore, l’importanza, vuole proteggerla.
Sarà bene, però, immediatamente chiarirsi
su questo punto: tutelare non significa segregare, rinchiudere in una torre d’avorio
il proprio intimo sentire, costringere il volo della parola in una gabbia dove
impossibile è aprire le ali. Niente affatto: difendere la poesia – difendersi,
in definitiva – ha come condizione irrinunciabile una ferma necessità: essere
liberi, prendere aria e tornare parte di un respiro, del respiro universale.
“Partecipo” – scrive la poetessa –; come
dire: intervengo nel mondo, non: mi assento, me ne sto per conto mio a bearmi e
compiacermi del dono che ho ricevuto.
Libertà
è partecipazione – cantava Giorgio Gaber in un suo conosciutissimo brano –
e Fausta aggiunge dell’altro, una peculiarità che è , solo, della comunicazione
in versi. Chiude il testo suddetto con una sottolineata consapevolezza: io
partecipo – dice, parafrasandola – parlando ed esprimendomi non usualmente, e
lo faccio di proposito, perché desidero togliermi la maschera che, quotidianamente,
devo indossare.
Ecco, allora, sempre più nitido il senso
di quel nascondimento che – quasi paradossalmente – consiste, invece, nello
svelare, nel rivelare a tutti (compresa se stessa) ciò che realmente si è.
M’interessa, m’interessa moltissimo:
reputo una componente fondamentale di questa poetica, che tanto si avvicina
alle ragioni profonde della poesia, l’esternazione di un siffatto pensiero.
Mi spiego, cercando di sintetizzare così
quello che è anche il mio punto di vista: il poeta si nasconde, si eclissa per
non farsi stordire dal rumore del mondo, ma è proprio questo il suo modo per
immergervisi totalmente. In altri termini: preferisce combattere il fracasso
opponendo al medesimo non un silenzio che nasce soltanto dal dissenso e, dunque,
vuoto e insignificante ma una quiete reale, costruttiva, capace di elevarsi, di
farsi ascoltare nonostante il baccano si faccia sempre più assordante e sembri
avere la meglio.
Non vorrei, tuttavia, si fosse portati a
pensare che l’esegesi della raccolta si esaurisca in queste – seppur basilari –
osservazioni.
Ho insistito sulla poesia, fin dall’inizio
riferita e considerata, sia per il suo valore intrinseco sia perché fa parte
della sezione Torneranno le parole;
sezione in cui anche altre liriche rivestono un’importanza assai significativa
ai fini dell’intera poetica che anima, pagina dopo pagina, l’opera.
Suggerirei, ad esempio, questi versi:
“Spaventapasseri / in un campo deserto sei / dove il grano muore presto / e il
sole brucia troppo in fretta.” (da Fantoccio,
p. 118), nei quali leggo la metafora dell’uomo “ripieno di paglia”, insensibile
a quanto intorno gli accade, salvo essere ridestato da chi, contemporaneamente,
lo teme e vuole giocare con lui: il bambino; i bambini che siamo sotto un
“cuore di stoppa”.
Come dicevo poc’anzi, però, neppure nelle
altre parti, in cui risulta diviso il libro, mancano precisi riferimenti che
riconducono alla Weltanshauung della Le
Piane.
La stessa lirica eponima, Ostaggio della vallata, appunto (in Resuscita Lazzaro, IV sezione) è
indicativa al riguardo.
Chi, viene fatto prigioniero? Chi è
oggetto del rapimento? Il vento. Ma – c’è da domandarsi – si può catturare il
vento? E, se si, chi è in grado di farlo? La risposta è nel titolo: una valle.
A pensarci bene, è vero; una vallata può
riuscirci temporaneamente, poi, “il vento si libera”, raccoglie ciò che
desidera di più e s’avvia “verso una notte d’amore”.
È, di nuovo, il traslato sul piano umano
a colpire (come succede con la personificazione della solitudine nel testo
seguente).
A Fausta – tengo a ribadirlo – interessa
la vita: da quella de Il brivido della
terra (da Selene ed io, prima
sezione), dedicata senza un filo di retorica a L’Aquila, squassata dal
terremoto, con una chiusa da far tremare i polsi a noi uomini, scellerati e
superficiali: “Nessuna coperta / poté / proteggerla (la terra) / da brividi di
orrore e di paura.”; a quella che, nonostante tutto, e sempre, crede al Futuro (p. 48), che non allenta la
presa, alla quale chiede di scioglierle i capelli ma mai “l’enigma che è in
(lei)”, che pulsa all’unisono con il suo ed il cuore di tutto il creato.
La vita, che ha una “fragranza
impegnativa” (un aggettivo straordinariamente scovato) in una “stanza
d’ospedale”, che sbatte le ali come “farfalla cieca” dentro il seno di Ivana e,
tuttavia, “spande” profumo di primavera (Cellula
impazzita: da Nell’incavo caldo,
III sezione della raccolta).
La vita: quello “Sbocco d’amore / come di
sangue / a fiotti / caldo / rosso / violento” (da Fermasogni, V sezione) che fa compagnia all’anima “non nel sonno /
. . . . / ma nell’attimo che separa / il giorno dalla notte.” (L’anima mia non riposa, p. 36).
Il solo momento che – in ogni tempo e in
ogni luogo – permetterà alla poesia di salvare – ancora una volta – il mondo
lanciando le sue “biglie (parole) colorate” (Torneranno le parole, p. 128) come fanno i bambini, “concentrati”
nel gioco di un’estate.
Come fa Fausta: concentrata a scrivere, a
rispettare, ad amare la vita.
Sandro Angelucci
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