Pagine

lunedì 1 agosto 2016

M. GRAZIA FERRARIS: "PAESAGGIO INSUBRICO TRA BIOGRAFIA E POESIA: FRANCO BUFFONI"


Maria Grazia Ferraris collaboratrice di Lèucade
Paesaggio insubrico tra  biografia e poesia : Franco Buffoni


Il paesaggio dell’alto Varesotto, descritto senza effusioni romantiche o  incontrollate emozioni sentimentali, disegnato e colorato sobriamente nelle sue poche linee essenziali, di monte e di lago, verticale ed orizzontale, verde e azzurro-viola, compare puntuale nella poesia che il poeta e critico letterario Franco Buffoni coltiva ormai da una ventina di anni; si presenta apparentemente noto, conosciuto, consueto, familiare eppure carico di mistero.

Certo che sogno i nostri itinerari….
Penso alle Alpi con le cattedrali
Di betulle a disegnare confini alle cascate
Fino al Verbano alle Borromee…

Leggendo questi versi ci cattura l’emozione di un’armonia inconsueta, un canto dai toni un po’ aspri, un’atmosfera non consolante, solitaria, franta, ritmi  che ci fanno sentire  da lontano qualche eco ingrigito della poesia sereniana: tono, stile, pause, accenni di colori, tenerezze mascherate, accennate, nascoste ed estreme. È il paesaggio del nord della nostra provincia, quella montana, scura, dura, vagamente alpestre, con forre e ghiaioni, torrenti rapidi, qualche capra superstite…
Il paesaggio ripetutamente cantato dai nostri poeti è  in genere legato sentimentalmente,  morbidamente o oscuramente ai laghi, il Maggiore, quello di Varese: vi si sbizzarriscono tutti i  nostri scrittori di talento, dall’antico maestro Stendhal ad Erba, Sereni, Chiara… Si perdono nei colori e nelle linee dell’acqua sempre cangiante e sempre identica a se stessa, libera e misteriosa, calma e opaca, specchio ambiguo, ricercandone nel suo perpetuo mutare di forma e colore e di sostanziale identità il senso del tempo e della vita.
Franco Buffoni no: pensa al paesaggio nativo insubrico irto, aspro, geloso contrapposto a quello feriale di pioppi e gelsi della pianura, al nostro paesaggio carico di durezze, che sono anche talvolta l’immagine delle durezze psicologiche, di mancate generosità dei suoi abitanti.

Pur riconoscendosi almeno nelle sue prime composizioni poetiche, anche nei toni vagamente malinconici, ironici e straziati dei suoi grandi predecessori, Buffoni preferisce parlarci del paesaggio del nord, quello di montagna, il meno frequentato, quello che sconfina storicamente con la geografia e con la storia della vicina Svizzera.
 Commenta  ne “Il profilo del Rosa”  il suo itinerario poetico: “ ..un viaggio, un attraversamento, …dei luoghi dove (la mia vita) principalmente si è svolta… cioè l’alto milanese…fino al Canton Ticino –e ducale (come Ducato di Milano) a inglobare l’intero bacino del Verbano…
“Tengo alla precisione geografica… da qui la necessità di disegnare in poesia una sorta di mappa del territorio, con la sua storia vissuta magari a ritroso, dalle guerre mondiali al Risorgimento, al Seicento…fino alle incisioni rupestri…”
E di incisioni rupestri si è occupato davvero, negli anni giovanili, con attento e consapevole studio archeologico con Edoardo Zuccato esplorando il territorio studiando, catalogando, fotografando  e pubblicando  L’arte rupestre del lago Maggiore-
 Precisione spaziale -che ci richiama severamente e saldamente alla geografia del territorio varesino- e- indifferenza ai valori puramente estetici-, evasivi ed illusivi: il paesaggio è un dato, da osservare, guardare, descrivere, pensare, non una costruzione sentimentale e la storia, ma da dimenticare,  ha parimenti lasciato le sue impronte, le sue tracce, le sue lacune. La prova perfino dei suoi errori.

Sull’alpe delle incisioni rupestri
Col piede indicando le orme
Dei piedi già incisi. Età
Del bronzo finale, segno
Di presenza-proprietà.
Sul fondo un omero di orso
Alle pareti frecce
Intinte nella carne. (il profilo del Rosa)
                  
Ed il paese di PIERO, silenzioso nell’alto isolato della val Curiglia, dal sottobosco ombroso frequentato da capre, di fronte a Monteviasco:

Piero è un paese con un abitante,
le case appoggiate una sull’altra
si disfano tra incisioni a specchio
di costellazioni: la grande orsa
come all’età del ferro,
coppella dopo coppella di stelle fisse.
Sul masso sacro poi sorse la chiesa
Ma restano i bordi del canale del sacrificio,
e una rupe vicina
mostra un intrico di segni,
un sole coi raggi
o un girasole profondo
dal cuore rivolto la sera
alle coppelle in pendenza
riempite di cera. Segnali a diversi colori
di sponda in sponda del lago
da Ascona a Taino coi fianchi a rispondere
al Cusio al Ceresio….

Poi il CAMPO DEI FIORI, dove i sentieri si incrociano con le trincee scavate dai nonni durante la prima guerra mondiale quando si temeva un attacco dalla Svizzera:

Poi che ti volgi e guardi
La Svizzera, dallo scoglio del Forte d’Orino
Tra il Sacro Monte e il Martica.
Sei salito dal Campo dei Fiori
Lungo il sentiero ampio tra gli abeti
E abilmente chiedi perché
La strada sia tanto incavata:
Non certamente così si schiudeva la roccia.

Ma per questa valle ogni tanto
Trapassata dai ripetitori
Base delle private
Si attendeva l’attacco imperiale…

Kakania dici ridi
Fu il pericolo dei nonni.
E nel diciassette i nonni belli
Portarono il selciato e le lanterne coi muli
Le cisterne d’acqua per il forte
Su al bivacco.
           
La  montagna  oggi porta in sé, come una cicatrice, l’opera dell’uomo.
Ed  il corridoio scavato per la snervante guerra di posizione rimane il monumento di una delle tante imprese errate, inutili, della nostra specie:

 “I comandi temevano a tenaglia / Che Milano fosse chiusa tra due fronti
 E difesero il Ticino qui a Varese/ Dall’attacco che non venne.”
            
Il paesaggio, carico di memoria, diventa storia. La storia che è continuamente protagonista, presente, e  che continuamente si ripropone:
           
 Niente passato in cui l’uomo non c’era
O futuro in cui non ci sarà,
Solo un presente di uomini creati
E la credenza che lungo tempo sia
Un millennio
Di sentiero scavato nella roccia…

Ma è anche da ripercorrere, reinterpretare alla luce dei suggerimenti, spesso inconsapevoli  del proprio luogo natale e del senso generale che deve pur avere:

Praticherò io questo esercizio del ricordo
Conquistando schegge di passato
Per ricomporre l’oscenità da guerra

Se torna al lago, è nel luogo per lui meno sentimentalmente evocativo che conosce, più carico di storia millenaria, a Santa Caterina del Sasso, per guardare con precisione da vedutista settecentesco non i gradini impervi, rosi dal tempo e dalle frequentazioni che si inerpicano lungo il difficile approdo verso la chiesa e il conventino dell’eremo, ma i monti di Verbania che le stanno di fronte e che si riflettono senza proporzioni, ma soprattutto, essendo l’eremo gravido di storia,  per soffermarsi sulla vicenda antica che l’ha generata, quella dell’eremita che vi abitò, il beato Besozzi.

Si ricopre dell’umido del freddo col convento
La grotta…e il profumo d’isola
Abbandonata d’acqua..
E una voce che risponde
Divorando spine. (Il profilo del Rosa)

Per quel che lo riguarda, nessuna emozione sentimental-romantica : la sua precisione geografica si amplia e si chiarisce, passa da riflessione storica riflessione filosofica e severa sulla propria vita e sulla vita in generale:

Non ho più posto/ Per nuvole obese che vanno a scontrarsi
Col promontorio di Santa Caterina del Sasso,…

Come nelle cartine del seicento/Più vasti i golfi conosciuti
Minuscoli invece sfuggenti/I promontori lontani
Il profilo di terre solo udite.

…Se affitti il lago per linee immaginarie
Tracciate da scoglio a scoglio, voglio
La mia linea di parole in affitto uso perpetuo…(Il profilo del Rosa)

Perché è la parola che salva e che dà senso alle cose. È la parola sorretta senza incertezze dalla ragione che permette di penetrare nei territori sconosciuti della conoscenza, di vincere il mostro dell’ignoto inquietante e sempre sfuggente.
Qui davvero la lezione di Sereni si mostra assimilata in tutta la sua autonomia, dal lago “compatto poema” per Sereni, che non gli si sente pari, alla consapevolezza di possedere solo una  linea di parole in affitto, benché in “uso perpetuo”per Buffoni.
Scacco personale per entrambi, e certo non per la poesia, scacco addolcito dalla vaga ironia che riconduce a  G. Gozzano, il maestro amato, cui entrambi sono per la passione dello studio debitori, ma anche alla severità logica raziocinante del grande indimenticabile  G. Leopardi:

Ho pensato a te, contino Giacomo,….
…Sono stufo di preti e di poeti, conte Giacomo.
E di miti infantilmente riadattati.

Nuove consapevolezze di un’epoca che sta irrimediabilmente cambiando con uno sguardo che sa cogliere nell’apparente identico e consolante paesaggio dell’infanzia tutta la diversità e gli interrogativi inquietanti che la nostra epoca ci pone.


Maria Grazia Ferraris

1 commento:

  1. Pagina critica di rilevanza filologica. Il poeta analizzato si erge sulla scena con suggestioni e caratteri chiari e personali. Noto una effettiva vicinanza fra colei che indaga e colui che viene analizzato: vicinanza fisica e spirituale.
    Al solito i miei complimenti ad una scrittrice che si distingue per le sue alte capacità linguistico-introspettive: grande cultura.
    Prof Angelo Bozzi

    RispondiElimina