Paesaggio insubrico tra biografia e poesia : Franco Buffoni
Il
paesaggio dell’alto Varesotto, descritto senza effusioni romantiche o incontrollate emozioni sentimentali,
disegnato e colorato sobriamente nelle sue poche linee essenziali, di monte e
di lago, verticale ed orizzontale, verde e azzurro-viola, compare puntuale
nella poesia che il poeta e critico letterario Franco Buffoni coltiva ormai da
una ventina di anni; si presenta apparentemente noto, conosciuto, consueto,
familiare eppure carico di mistero.
Certo
che sogno i nostri itinerari….
Penso
alle Alpi con le cattedrali
Di
betulle a disegnare confini alle cascate
Fino
al Verbano alle Borromee…
Leggendo
questi versi ci cattura l’emozione di un’armonia inconsueta, un canto dai toni
un po’ aspri, un’atmosfera non consolante, solitaria, franta, ritmi che ci fanno sentire da lontano qualche eco ingrigito della poesia
sereniana: tono, stile, pause, accenni di colori, tenerezze mascherate,
accennate, nascoste ed estreme. È il paesaggio del nord della nostra provincia,
quella montana, scura, dura, vagamente alpestre, con forre e ghiaioni, torrenti
rapidi, qualche capra superstite…
Il
paesaggio ripetutamente cantato dai nostri poeti è in genere legato sentimentalmente, morbidamente o oscuramente ai laghi, il
Maggiore, quello di Varese: vi si sbizzarriscono tutti i nostri scrittori di talento, dall’antico
maestro Stendhal ad Erba, Sereni, Chiara… Si perdono nei colori e nelle linee
dell’acqua sempre cangiante e sempre identica a se stessa, libera e misteriosa,
calma e opaca, specchio ambiguo, ricercandone nel suo perpetuo mutare di forma
e colore e di sostanziale identità il senso del tempo e della vita.
Franco
Buffoni no: pensa al paesaggio nativo insubrico irto, aspro, geloso contrapposto
a quello feriale di pioppi e gelsi della pianura, al nostro paesaggio carico di
durezze, che sono anche talvolta l’immagine delle durezze psicologiche, di
mancate generosità dei suoi abitanti.
Pur
riconoscendosi almeno nelle sue prime composizioni poetiche, anche nei toni
vagamente malinconici, ironici e straziati dei suoi grandi predecessori,
Buffoni preferisce parlarci del paesaggio del nord, quello di montagna, il meno
frequentato, quello che sconfina storicamente con la geografia e con la storia
della vicina Svizzera.
Commenta
ne “Il profilo del Rosa” il suo itinerario poetico: “ ..un viaggio, un
attraversamento, …dei luoghi dove (la mia vita) principalmente si è svolta…
cioè l’alto milanese…fino al Canton Ticino –e ducale (come Ducato di Milano) a
inglobare l’intero bacino del Verbano…
“Tengo
alla precisione geografica… da qui la necessità di disegnare in poesia una
sorta di mappa del territorio, con la sua storia vissuta magari a ritroso,
dalle guerre mondiali al Risorgimento, al Seicento…fino alle incisioni
rupestri…”
E di
incisioni rupestri si è occupato davvero, negli anni giovanili, con attento e
consapevole studio archeologico con Edoardo Zuccato esplorando il territorio
studiando, catalogando, fotografando e
pubblicando L’arte rupestre del lago Maggiore-
Precisione spaziale -che ci richiama
severamente e saldamente alla geografia del territorio varesino- e-
indifferenza ai valori puramente estetici-, evasivi ed illusivi: il paesaggio è
un dato, da osservare, guardare, descrivere, pensare, non una costruzione
sentimentale e la storia, ma da dimenticare,
ha parimenti lasciato le sue impronte, le sue tracce, le sue lacune. La
prova perfino dei suoi errori.
Sull’alpe
delle incisioni rupestri
Col
piede indicando le orme
Dei
piedi già incisi. Età
Del
bronzo finale, segno
Di
presenza-proprietà.
Sul
fondo un omero di orso
Alle
pareti frecce
Intinte
nella carne. (il profilo del Rosa)
Ed il
paese di PIERO, silenzioso nell’alto isolato della val Curiglia, dal sottobosco
ombroso frequentato da capre, di fronte a Monteviasco:
Piero
è un paese con un abitante,
le
case appoggiate una sull’altra
si
disfano tra incisioni a specchio
di
costellazioni: la grande orsa
come
all’età del ferro,
coppella
dopo coppella di stelle fisse.
Sul
masso sacro poi sorse la chiesa
Ma
restano i bordi del canale del sacrificio,
e una
rupe vicina
mostra
un intrico di segni,
un
sole coi raggi
o un
girasole profondo
dal
cuore rivolto la sera
alle
coppelle in pendenza
riempite
di cera. Segnali a diversi colori
di sponda
in sponda del lago
da
Ascona a Taino coi fianchi a rispondere
al
Cusio al Ceresio….
Poi il
CAMPO DEI FIORI, dove i sentieri si incrociano con le trincee scavate dai nonni
durante la prima guerra mondiale quando si temeva un attacco dalla Svizzera:
Poi
che ti volgi e guardi
La
Svizzera, dallo scoglio del Forte d’Orino
Tra il
Sacro Monte e il Martica.
Sei
salito dal Campo dei Fiori
Lungo
il sentiero ampio tra gli abeti
E
abilmente chiedi perché
La
strada sia tanto incavata:
Non
certamente così si schiudeva la roccia.
Ma per
questa valle ogni tanto
Trapassata
dai ripetitori
Base
delle private
Si
attendeva l’attacco imperiale…
Kakania
dici ridi
Fu il
pericolo dei nonni.
E nel
diciassette i nonni belli
Portarono
il selciato e le lanterne coi muli
Le
cisterne d’acqua per il forte
Su al
bivacco.
La montagna
oggi porta in sé, come una cicatrice, l’opera dell’uomo.
Ed il corridoio scavato per la snervante guerra
di posizione rimane il monumento di una delle tante imprese errate, inutili,
della nostra specie:
“I comandi temevano a tenaglia / Che Milano
fosse chiusa tra due fronti
E difesero il Ticino qui a Varese/
Dall’attacco che non venne.”
Il
paesaggio, carico di memoria, diventa storia. La storia che è continuamente
protagonista, presente, e che continuamente
si ripropone:
Niente passato in cui l’uomo non c’era
O
futuro in cui non ci sarà,
Solo
un presente di uomini creati
E la
credenza che lungo tempo sia
Un
millennio
Di
sentiero scavato nella roccia…
Ma è
anche da ripercorrere, reinterpretare alla luce dei suggerimenti, spesso
inconsapevoli del proprio luogo natale e
del senso generale che deve pur avere:
Praticherò
io questo esercizio del ricordo
Conquistando
schegge di passato
Per
ricomporre l’oscenità da guerra
Se
torna al lago, è nel luogo per lui meno sentimentalmente evocativo che conosce,
più carico di storia millenaria, a Santa Caterina del Sasso, per guardare con
precisione da vedutista settecentesco non i gradini impervi, rosi dal tempo e
dalle frequentazioni che si inerpicano lungo il difficile approdo verso la
chiesa e il conventino dell’eremo, ma i monti di Verbania che le stanno di
fronte e che si riflettono senza proporzioni, ma soprattutto, essendo l’eremo
gravido di storia, per soffermarsi sulla
vicenda antica che l’ha generata, quella dell’eremita che vi abitò, il beato
Besozzi.
Si
ricopre dell’umido del freddo col convento
La
grotta…e il profumo d’isola
Abbandonata
d’acqua..
E una
voce che risponde
Divorando
spine. (Il profilo del Rosa)
Per
quel che lo riguarda, nessuna emozione sentimental-romantica : la sua
precisione geografica si amplia e si chiarisce, passa da riflessione storica
riflessione filosofica e severa sulla propria vita e sulla vita in generale:
Non ho
più posto/ Per nuvole obese che vanno a scontrarsi
Col
promontorio di Santa Caterina del Sasso,…
Come
nelle cartine del seicento/Più vasti i golfi conosciuti
Minuscoli
invece sfuggenti/I promontori lontani
Il
profilo di terre solo udite.
…Se
affitti il lago per linee immaginarie
Tracciate
da scoglio a scoglio, voglio
La mia
linea di parole in affitto uso perpetuo…(Il profilo del Rosa)
Perché
è la parola che salva e che dà senso alle cose. È la parola sorretta senza
incertezze dalla ragione che permette di penetrare nei territori sconosciuti
della conoscenza, di vincere il mostro dell’ignoto inquietante e sempre
sfuggente.
Qui
davvero la lezione di Sereni si mostra assimilata in tutta la sua autonomia,
dal lago “compatto poema” per Sereni, che non gli si sente pari, alla
consapevolezza di possedere solo una
linea di parole in affitto, benché in “uso perpetuo”per Buffoni.
Scacco
personale per entrambi, e certo non per la poesia, scacco addolcito dalla vaga
ironia che riconduce a G. Gozzano, il
maestro amato, cui entrambi sono per la passione dello studio debitori, ma
anche alla severità logica raziocinante del grande indimenticabile G. Leopardi:
Ho
pensato a te, contino Giacomo,….
…Sono
stufo di preti e di poeti, conte Giacomo.
E di
miti infantilmente riadattati.
Nuove
consapevolezze di un’epoca che sta irrimediabilmente cambiando con uno sguardo
che sa cogliere nell’apparente identico e consolante paesaggio dell’infanzia
tutta la diversità e gli interrogativi inquietanti che la nostra epoca ci pone.
Maria
Grazia Ferraris
Pagina critica di rilevanza filologica. Il poeta analizzato si erge sulla scena con suggestioni e caratteri chiari e personali. Noto una effettiva vicinanza fra colei che indaga e colui che viene analizzato: vicinanza fisica e spirituale.
RispondiEliminaAl solito i miei complimenti ad una scrittrice che si distingue per le sue alte capacità linguistico-introspettive: grande cultura.
Prof Angelo Bozzi