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martedì 27 dicembre 2016

N: PARDINI: "LA VELA"

La vela












- Le vele sono gonfie di un Libeccio tanto selvaggio         

che l’onda scura si alza sopra di noi                                        
per ricadere con squassi paurosi.
Non c’è niente dintorno. Solamente banchi               
che ci avvolgono nel ventre col crocidare
disperso nella nebbia.                                         
Ci avranno abbandonato i nostri dèi?
ci indicheranno alla fine le rotte                          
per farci proseguire in questo dubbioso cammino?
Quante volte ho scambiato sulle onde
nembi vagabondi con volti conosciuti,
e quante ho riempito il mio animo
del senso dei tramonti affogati nel mare.
è proprio allora che ho visto stagliarsi         
sul cerchio che collega l’orizzonte col cielo
gli sguardi perduti nel viaggio.
E tu continui a sperare? ti dimentichi
di quello che passammo,
dei pericoli e del tempo consumati                     
nell’assurda riflessione su possibili rotte?
E intanto piovre inaspettate con lunghi tentacoli
ci sottrassero daccanto cari amici;
e noi potevamo reagire?          
potevamo noi opporci in qualche modo
all’ostile destino? Ormai il tragitto         
ha superato più della metà di questo imprevedibile Oceano.
E non è la prima volta che cozziamo
contro temporali infidi. Questa volta
è un vento prepotente a tentare
di riportare l’esile barca verso scogli ed acque
navigate e a noi note -.

- Tu non temere! Disporremo le vele,                 
esperti come siamo, in modo tale
che volgano l’eolico nemico verso poppa.
Che ci portino alla fine di un mare                     
il cui orizzonte sperammo in un lontano Occidente.         
è la scoperta che sorregge il credo
del nostro andare. Non solo l’aria d’Oriente;
sì! da là sortiamo e ne portiamo
sapori di mirti, d’agavi e di dune.                 
Ma il mio dio mi disse di viaggiare e di mirare
l’intorno che rigurgita di forza. Se stasera                  
la tempesta è irruente, è dentro noi
il solo modo di trovare un germe
assai forte per vincerla. è una sfida
che dura per la vita e non è detto
non sia uno sfronto tra noi e l’universo
quando il bello circonda questa barca
sotto sopra attorno. è un altro dubbio magari
a sorgere pungente: il godimento
di tanta plenitudine sarà durevole
o lascerà il tormento di un’immagine?
Solo il mistero di questa imbarcazione nel cosmo,
del tenace suo andare tra i flutti
di un percorso tanto enorme se violento
e altrettanto se disteso, vale a vivere
quel senso di trabocco sopra di noi.
Per il resto il terrore dei fondali
servirà a farci godere  ancora di più
degli sguardi verso cieli smisurati
quando le onde si placheranno. Guarda attorno!       
Già il colmo si frantuma e fa notare
spazi celesti: a breve un’altra fine
riporterà spettacoli cromatici
scoppiando tra nembi e tra pelaghi
ritornati sereni -.

- è tanto simile questo viaggio
e noi coi nostri dubbi  paure incertezze presunzioni
di vincerne il senso ad un barbaglio di luce sopra l’onda
o ad uno sbrendolo di nube in mezzo al cielo.
Si dileguano
e resta un vuoto, anche se blu,
un grande vuoto in cui si perde l’anima -.










9 commenti:

  1. Risposte
    1. condivido: parole che regalano immagini.(Emanuele Aloisi)

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    2. Intenso, bellissimo, il dialogo che Nazario propone in versi. Colloquio tra sé e sé e tra sé e l'altro, dove l'altro è l'uomo di ieri, di oggi e di domani. Così, possiamo pensare ad Ulisse, ai migranti o a nostri discendenti di un non lontano futuro.
      Ciò che li accomuna è il viaggio; sono i dubbi, le paure, le incertezze, le presunzioni "di vincerne il senso".
      "Ci avranno abbandonato i nostri dèi?
      ci indicheranno alla fine le rotte
      per farci proseguire in questo dubbioso cammino?
      Quante volte ho scambiato sulle onde
      nembi vagabondi con volti conosciuti,
      e quante ho riempito il mio animo
      del senso dei tramonti affogati nel mare.";
      e ancora:
      "E non è la prima volta che cozziamo
      contro temporali infidi.".
      Sgomenti cui si contrappongono rassicurazioni:
      "È la scoperta che sorregge il credo
      del nostro andare. Non solo l’aria d’Oriente;
      sì! da là sortiamo e ne portiamo
      sapori di mirti, d’agavi e di dune.
      Ma il mio dio mi disse di viaggiare e di mirare
      l’intorno che rigurgita di forza.".
      Quindi il punto-chiave:
      "la tempesta è irruente, è dentro noi
      il solo modo di trovare un germe
      assai forte per vincerla.".
      Eccolo Ulisse; ecco l'immortalità dell'unico mito che trae dal "terrore dei fondali" quella spinta ascensionale che,"ancora di più", ci farà godere della quiete, "degli sguardi verso cieli smisurati quando le onde si placheranno".

      Sandro Angelucci




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  2. Un canto che nasce con una elegia di presentita morte, che apre sulla visibilità oscura dubbiosa del disperante nulla, dei sentimenti confusi di solitudine selvaggia e di abbandono: un canto vagabondo e variopinto; con incipit ed incisi, incitamenti, provvisorie comprensioni e rifiutate conclusioni di una esperienza che attinge al presente, ai ricordi, alla storia personale e continua nelle immagini perdute: il vedere con tutte le sue ambiguità: “Quante volte ho scambiato sulle onde/ nembi vagabondi con volti conosciuti,….
    … gli sguardi perduti nel viaggio.”

    Ricerca lucida e appassionata che si muove sulla metafora, realistica e misteriosa nel contempo, della vela e del viaggio, tra terrori dei fondali oscuri e sbrendoli di nuvole , in “un vuoto, anche se blu”, un grande vuoto in cui si perde l’anima che mira all’assoluto, pur nei richiami al presente, ai ricordi, a lotte e fantasie trascorse….“…Che ci portino alla fine di un mare / il cui orizzonte sperammo in un lontano Occidente./ È la scoperta che sorregge il credo del nostro andare.
    “La scoperta”: “Non solo l’aria d’Oriente;/sì! da là sortiamo e ne portiamo/ sapori di mirti, d’agavi e di dune. … Ma il mio dio mi disse di viaggiare e di mirare/ l’intorno che rigurgita di forza.”
    Poesia. Misteriosa e potente. Come diceva Sterne “essa aggiunge un filo alla tela brevissima della nostra vita”.

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  3. Il naufrago ha "il terrore dei fondali". E' solo, con il suo vuoto (anche se blu), "un grande vuoto in cui si perde l'anima". E si chiede (chiede a se stesso): "E tu continui a sperare? ti dimentichi / di quello che passammo"; "e noi potevamo reagire / potevamo noi opporci in qualche modo / all'ostile destino?...". C'è sempre un motivo, un irrazionale e incontrastabile motivo, che spinge ad andare avanti, ad affrontare il mare tempestoso: "E' la scoperta che sorregge il credo / del nostro andare... /... il mio dio mi disse di viaggiare e di mirare / l'intorno che rigurgita di forza. Se / stasera / la tempesta è irruente, è dentro noi / il solo modo di trovare un germe / assai forte per vincerla". Non dunque per dominare il mondo, ma per mettere alla prova se stesso, che Ulisse affronta il mare tempestoso. E' un labirinto inestricabile la vita. Teseo sarebbe miseramente destinato a perdersi senza il filo d'Arianna che ha dentro di sé. Deve avere fede in se stesso, in quel suo dio interiore che lo spinge a viaggiare: sa solo lui il perché. Il dedalo non si può evitare e affrontarlo è l'unica possibilità che abbiamo per uscire fuori all'aperto. Illesi.
    Franco Campegiani

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  4. Una poesia intensa, zeppa di immagini coinvolgenti ed emotivamente trascinanti in un armonioso ascolto del viaggio dell’anima. Alla base c’è il dialogo con le proprie sensibilità, come ha già scritto nel suo commento Sandro Angelucci. Dialoghi che aprono domande profonde, che scavano nelle coscienze per trovare risposte nell’io del Nostro. Nel cammino e nella navigazione come metafora della vita “il terrore dei fondali” sia da monito per cercare di vivere mantenendo saldo la relazione con il prossimo e trovarsi pronti “quando le onde si placheranno”. Un finale che sfocia nei dubbi e nel “vuoto in cui si sperde l’anima”. Una conclusione che sorprende e ci lascia con profonde riflessioni, ed il pensiero ritorna sul verso “Guarda attorno!”

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  5. Ciò che conta è partire se spinti dalla necessità interiore del viaggio, nonostante il mare in tempesta, nonostante il “libeccio tanto selvaggio”, nonostante “l’onda scura (che) si alza sopra noi per ricadere con squassi paurosi”. Partire anche se “non c’è niente dintorno”. ꓰ proprio quando sembra che gli dei ci abbandonino, noi uomini di vento, dobbiamo proseguire nel cammino alla ricerca di noi stessi avvertendo ancora più forte la rotta giusta per quel preciso viaggio.
    Proprio allora occorre sedersi di fronte a noi stessi lasciando libero il passaggio alla paura, guardare la vita con coraggio. Serve guardare oltre, ignorando “vent(i) prepotenti” perché è “la scoperta che sorregge il credo/del nostro andare […] è dentro noi/il solo modo di trovare un germe/assai forte per vincerla”.
    Il senso sta nel mistero del tenace “andare tra i flutti”. Il premio è lo “sguard(o) verso cieli smisurati” dopo il “terrore dei fondali”.
    A noi serve conoscere una storia, la nostra, per fare vere altre storie.

    Annalisa Rodeghiero

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  6. Ringrazio di cuore gli amici (Maurizio, Emanuele, Sandro, Maria Grazia, Franco, Francesco, Annalisa) per i loro generosi interventi. Tutti assieme su questa barca non è detto che non si possa attraversare l'Oceano. Forza!!! Più che coraggio occorre la voglia della scoperta; la coscienza del pericolo, l'ardore e la curiosità di sentirsi nuovi; solo così le burrasche si tramuteranno nell'attesa dei cieli azzurri. TANTISSIMI AUGURI per un anno zeppo di amore e di felicità
    Nazario

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