Michele
Battaglino: Da Asclepiade a Goffette
(Canti a due voci). Genesi Editrice. Torino. 2016. Pg. 152. € 15,00
Un
libro accattivante, ben fatto, piacevole per impaginatura carta, composizione,
alette con in copertina Writing on thge sand (1859) di Dante Gabriel Rossetti,
dato alle stampe per i caratteri di Genesi Editrice di Torino. E editare libri
è un’arte, rispettarne la storia è un
dovere, in memoria della grande tradizione umanistico-linguistica nostrana, fattrice
di incunaboli preziosi e rari. In questo volume Michele Battaglino affronta uno
dei problemi più annosi della critica letteraria. Quello del rapporto tra
l’originale e il tradotto; tra “il
romanzo di successo e la sua messa in scena”. Ma credo sia opportuno,
anzitutto, porre l’attenzione sulla capacità analitico-strutturale dello Scrittore, lui uomo di Cultura, già
preside di Liceo Classico, Poeta, saggista, storico che, questa volta, si
misura con un’impresa per niente facile, anzi oserei dire atta a pochi nel
tradurre dal greco, dal latino, dal francese, dall’inglese, dallo spagnolo… con
una agilità stupefacente; con un ardore semantico, con un apporto di vis
creativa personalissimo. Ma torniamo alla questione a cui abbiamo accennato
agli inizi: stare strettamente attinenti all’originale con una realizzazione oggettiva,
acritica, impersonale, eliotianamente distante?; o, al contrario, dare qualcosa
di sé, della propria personalità, della propria capacità interpretativa, con
vivacità, animosità, modo di sentire e di considerare l’arte, la filologia, la
semantica, l’estetica, la prosodia, pur rispettando figure retoriche, e
combinazioni metriche? Io penso che questa seconda versione sia la più vicina
al vero, dacché la soluzione sta già nella scelta dei testi; quelli che lo
scrittore prende in considerazione sono i più vicini alla sua personalità di
uomo e di studioso, visto che più rispecchiano una poetica, una visione
filosofica, una vicenda, un’idea di vita; una traduzione non è altro che una nuova
opera d’arte, come d’altronde la pensa Battaglino. Questi si accinge a far suo
un contenuto, a trasferirlo nel suo mondo, a tingerlo delle sue ontologiche competenze,
per ridarlo al foglio fresco e nuovo; nutrito di un sentire che magari gli è rimasto
da tempo nell’animo da farsi memoria; che contiene sprazzi di gioventù, anche,
di antiche primavere in cui le pagine avevano un sapore tutto loro e che ora
sentono il bisogno e vedono la possibilità di rinascita; di farsi vive in ardori
di vocaboli, di lessico e affinità verbali che tanto sanno di vita. Poeta
additus poetae, quindi. Mi piace a proposito riportare la conclusione della
Nota con cui l’Autore introduce il testo: “… L’abilità tecnica, che pure è un
requisito indispensabile, non è sufficiente per realizzare una buona
traduzione. E’ necessario che il traduttore sia dotato di sensibilità poetica,
perché, nonostante lo sforzo di attenersi all’originale, in fondo l’atto del
tradurre poesia è una creazione di poesia, è una Nachdichtung, un adattamento,
una libera versione.” E io aggiungerei una ri-creazione.
Da
Asclepiade a Goffette, il titolo della silloge, che si dipana su un
percorso antologico diviso in due parti: una dedicata ai poeti greci e latini,
e l’altra a quelli europei del Novecento (“compresi l’argentino Jorge Luis
Borges ed Emily Diekinson, una statunitense della seconda metà dell’Ottocento,
la cui fama però è stata riconosciuta solo a partire dagli anni Trenta del sec.
XX” dalla nota dell’Autore, p. 9). Un iter ampio, letterariamente ambizioso e
nutrito di tale ars poetica da lasciare gli amanti del verso imbambolati. Dal
poeta considerato da Teocrito il maestro (Sicelida
nelle sue Talisie), al contemporaneo Guy
Goffette del “…
Il cielo non esiste/ è la cifra degli occhi caduti nella cenere…”.
Si inizia con uno dei componimenti più
celebri del poeta di Samo, Mi trascina un
dio, la cui personale, incisiva, e apodittica traduzione mette bene in
risalto l’attualità contenutistico-formale del brano:
Neve
e grandine butta, abbuia, fulmini accendi,
tutte
le fosche nubi scrolla sulla terra.
Se
mi ucciderai, smetterò; ma, se vivere mi lasci,
pur
sopportando mali peggiori, me la godrò,
ché mi trascina un dio per cui tu, Zeus, divenuto
oro
penetrasti entro un talamo di bronzo.
Per giungere, attraverso poeti del
calibro di Callimaco, Pallada, Lucilio, Leonida di Taranto, Catullo, Orazio,
Properzio, Dickinson, Borges, Alberti, Saramago, Kunert, …, Prévert, Follain,
René Char, Jabès, Paragallo, Bonnefoy, Réda, Chaumorcel,
a
Goffette:
Il
lui arrive de plus en plus souvent la muit
de
descendre dans la cuisine
où fument en silence
sous la lune
les statues que le jour relègue parmi les meubles
les habits , sous l’amas de choses
rapportées du
dehors et vouées à l’oubli.
(…) (Jalousie).
Gli
capita sempre più sovente la notte
di
scendere nella cucina
dove
fumano in silenzio sotto a luna
le
statue che il giorno relega tra i mobili
e
gli abiti, sotto la massa di oggetti
portati
da fuori e destinati a l’oblio.
(…) (Gelosia),
dove
il verismo della quotidianità, il realismo votato al mistero della vita; alla
dimenticanza delle cose umili o preziose,
sanno tanto di gioco sabiano.
Una nutrita schiera di cantori, dunque,
che mettono in evidenza la perspicace creatività di questo lucano-pisano, prof.
Battaglino, che io ho l’onore di conoscere e di cui essere orgogliosamente
amico.
Nazario Pardini
Una cavalcata attraverso la poesia, dunque. E, a giudicare dai due assaggi di traduzione proposti, Battaglino interpreta e rivive in profondità i brani poetici, ne coglie le sfumature, li arricchisce e li connota di fine sensibilità.
RispondiEliminaPasquale Balestriere