Carla Baroni, collaboratrice di Lèucade |
Carla
Baroni: Oltre la siepe buia dei pensieri. Blu di Prussia editrice. Monte Castello
di Vibio (PG). Pg. 78. € 10,00
Oltre la siepe buia dei pensieri
si attestano le stelle dei tuoi cieli.
Dai vetri colorati dei tuoi muri
un angelo guerriero ora discende
la spada sguainata, una corona
di fiamme lo circonda ed il suo raggio
va sopra la mia ombra ad infierire.
Lo so che Tu di nuovo mi respingi
(…)
O se ci sei davvero, se tua figlia
son come tutti gli altri del Creato
fa’ che di nuovo sgorghino le lacrime
dal ciglio asciutto, che novello fonte
scaturito dall’anima indurita
mi lavi e mi battezzi adesso che
vago nel limbo priva d’una guida
Poesia
incipitaria che con valore eponimo dà il via a questo poema di rivelazione
umana. Una vera preghiera, ma non di quelle recitate per posa, per
assuefazione, ma una preghiera che sgorga da un’anima laica alla ricerca di sé
e del mondo in cui si trova. È questo il motivo focale che alimenta il corso
della poesia di Carla Baroni. Lo sperdimento del nostro essere, la insoluzione
dei tanti perché, delle tante vicende che ci spaesano e ci affliggono durante
il misterioso dipanarsi della vita. La poetessa soffre di questa vicenda che le
è toccata in sorte. Dà tutto il suo animo a quell’Ente che ci è in alto.
Vorrebbe credere, appigliarsi ad una verità, ed è questo che chiede. Il suo
soffrire lo trova ingiustificato, e vorrebbe che l’Alto Cielo la trattasse come
tutti gli umani: una preghiera fortemente terrena, di grande coinvolgimento
emotivo, soprattutto per chi, come me, conosce a fondo Carla. La sua parola
corre limpida e sentita, fluente e spontanea; la sua veste è quella di un
endecasillabo trattato in tutte le salse, arricchito da figure retoriche di
energica valenza. Siamo presi da questo fiume limpido che corre verso un mare
di infinita estensione. Un mare dagli orizzonti larghi, irraggiungibili, verso
cui la Nostra dirige tutte le sue energie poematiche. Una narrazione che gioca
tutto il suo contenuto su quello che è il fatto di esistere:
anima
tra agonia e amore:
Tu mi punisci, anima indecisa
che vaga mesta tra agonia e
amore
alla ricerca d’accecante
raggio… (pg. 17).
La
diversità:
(…)
Così ape vogliosa senza favo
le ali sporche di un polline
non vero
sopravvivo nel credermi
diversa
non per quel mio eterno
zoppicare
ma per qualcosa che da Te
proviene
e mi lasciasti anche
rinnegandomi (pg. 20).
Il
destino:
(…)
E saprò alfine il mio destino
vero:
se regina degli inferi al
baratto
d’un dì di gloria in questo
vano mondo
o ritrovata agnella in pura
Luce
(pg. 22).
Il
Bene e il Male:
Se il tempo è la memoria
e la memoria è il tempo
la romanza degli angeli caduti
ancor prima segnò le nostre
vite,
segnò lo spartiacque, il
limitare
fra il Bene e il Male, fra il
cattivo e il buono
creature queste dello stesso
fango
e soggette a perire, a
frantumarsi
al primo colpo del destino
crudo (pg. 25).
Insomma
si ragiona, si pensa, e ci si inquieta, noi piccoli esseri sfortunati, certi
solo della nostra pochezza, coscienti di
un niente che vaga in un tutto di mistero e ingiustizia. Noi in cerca di certezze,
di una fede insomma, da cui non abbiamo avuto la fortuna di essere illuminati. Tanti
i perché senza risposta, tanti i quesiti che Carla Baroni pone a quel Tu che ci
soverchia in un percorso rotondo e affabulante, tanto musicale da stordire,
tanto proficuo di energia umana e carica esistenziale da farsi specchio delle
nostre insoluzioni. Sì, tanto scivoloso nel suo procedere euritmico da stridere,
quasi, con certi contenuti zeppi di malinconica soluzione:
(…)
E attendo che Tu dica: “Vai in
pace” (pg. 27).
Melodia
e tristezza, melologo e abbandono: forse è proprio il dolore che dà le pagine
più belle della letteratura poetica e musicale. Basta pensare al coro di boca
serrada della “Butterflay” dell’amato Puccini. E magari rappresentato sul lago
di Torre del Lago, dove il maestro l’ha composto.
Una
confessione amara e vissuta che tiene banco in questo poema compatto, solido,
struggente a volte, a volte di una liricità che tocca il cielo col suo impatto
unisono fra dire e sentire:
(…)
Tempo è quell’ansia d’arrivare
presto
ad un qualche traguardo
prefissato
perché la vita è filo che
s’accorcia
molto più in fretta di quanto
è previsto.
Ed è dolore inciso sulle
lastre
dilapidi e di stele….
(pg. 28).
Una
visione totalizzante, plurale, polimorfica della vita e del suo dispiegarsi in
un raffronto stretto fra l’esser-ci e il non esser-ci; fra il tutto e il nulla;
fra il credere e il dubbio; fra il dubbio e la ricerca di una condizione; la
ricerca affannata e devastante del nostro mondo: casuale venuta? Puntino
invisibile nell’universale soffrire di tanta anima?
Il
tema dell’indifferenza, del cerchio che si chiude, del credo, della speranza,
fino a quello del declino del giorno, ultimano una vicenda pensosa e meditata;
sofferta e combattuta di un’anima, che, spogliandosi di ogni sovrastruttura
epigonica, si abbandona ad un oggettivo
pensamento sul destino inderogabile dell’umana avventura terrena:
(…)
Disseminato abbiamo il nostro
mare
di inutili relitti, le
medaglie
non stanno più sull’albero
maestro
dove già sbatte l’ali il
cormorano.
il vento della sera spinge
piano
la nostra barca verso quella
foce
che è meta per ciascuno dei
viventi… (pg. 72).
Un
grido muto, un singhiozzo autunnale, un realismo spietato, un volo a bassa
quota sulla sorte di noi esseri viventi, per dirci di quanto sia opaca nella sua
contraddittoria consistenza la nostra storia.
Nazario Pardini
Caro il mio Toscanaccio (per chi non lo sapesse questo è l'affettuoso appellativo con cui mi rivolgo a Nazario), grazie, grazie, grazie.
RispondiEliminaLa tua generosità mi commuove sempre, perché questa tua splendida recensione non avrà il riscontro di nessun altro essendo il mio libro apparso nel tuo blog, ampiamente commentato dagli amici, circa un mese fa. E, come ho spesso notato, la condivisione non è nello spirito dei lettori. Beati i ragazzi che con un T.V.B. riescono a comunicare fra loro!
Comunque in te, oltre l'innata chiarezza e la fluidità dello scrivere in modo semplice ma non semplicistico, c'è che sai cogliere sempre i punti focali delle opere altrui. e lo esponi, come in poesia, con quel tuo linguaggio senza forzature, senza parole difficili un po' come faceva Luzi a cui spesso ti paragono. Luzi così potente nella scrittura, così fragile nell'aspetto: se la dormiva allegramente - esile, quasi invisibile fra gli altri - per tutta la durata del Premio Estense. Ed è per quella apparente semplicità che vi contraddistingue entrambi che ho sempre affermato che Luzi non avrebbe mai vinto il Premio Nobel.
Ciao, mi sono lasciata andare a commenti che esulano da questo contesto. Ma ancora grazie, mio carissimo amico.
Troppo buona, mia carissima amica. Certi paragoni mi mettono in imbarazzo, anche perché non merito tanto. Comunque grazie delle tue commoventi parole.
RispondiEliminaIl Toscanaccio