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martedì 18 settembre 2018

CARLA BARONI TRADUCE LA "DECIMA EGLOGA DELLE BUCOLICHE DI VIRGILIO"


Decima egloga delle Bucoliche di Virgilio

Carla Baroni,
collaboratrice di Lèucade



Extremum hunc, Arethusa, mihi concede laborem:
pauca meo Gallo, sed quae legat ipsa Lycoris,
carmina sunt dicenda; neget quis carmina Gallo?
Sic tibi, cum fluctus subterlabere Sicanos,
Doris amara suam non intermisceat undam.
Incipe; sollicitos Galli dicamus amores,
dum tenera attondet simae virgulta capellae.
Non canimus surdis; respondet omnia silvae.
Quae nemora, aut qui vos saltus habuere, puellae
Naides, indigno cum Gallus amore peribat?
Nam neque Parnasi vobis iuga, nam neque Pindi
ulla moram fecere, neque Aoniae Aganippe.
Illum etiam lauri, etiam flevere myricae;
pinifer illum etiam sola sub rupe iacentem
Maenalus, et gelidi fleverunt saxa Lycaei.
Stant et oves circum; -nostri nec paenitet illas,
nec te poeniteat pecoris, divine poeta; -
et formosus ovis ad flumina pavit Adonis;
venit et upilio; tardi venere subulci;
uvidus hiberna venit de glande Menalcas.
Omnes “Unde amor iste” rogant “Tibi?”. Venit Apollo:
Galle, quid insanis” inquit; “tua cura Lycoris
perque nives alium perque horrida castra secuta est”.
Venit et agresti capitis Silvanus honore,
florentis ferula et grandia lilia quassans.
Pan deus Arcadiae venit, quem vidimus ipsi
sanguineis ebuli bacis minioque rubentem.
Ecquis erit modus?” inquit; “Amor non talia curat;
nec lacrimis crudelis Amor, nec gramina rivis,
nec cytiso saturantur apes, nec fronde capellae”.
Tristis at ille: “Tamen cantabitis, Arcades,”inquit
montis haec vestris: soli cantare periti
Arcades. O mihi tum quam molliter ossa quiescant,
vestra meos olim si fistula dicat amores!
Atque utinam ex vobis unus, vestrique fuissem
aut custos gregis, aut  maturae vinitor uvae!
Certe, sive mihi Phillis, sive esset Amyntas
seu quicumque furor – quid tum, si fuscus Amyntas?
Et nigrae violae sunt et vaccinia nigra -
mecum inter salices lenta sub vite laceret;
serta  mihi Phyllis legeret, cantaret Amyntas.
Hic gelidi fontes, hic mollia prata, Lycori,
hic nemus; hic ipso tecum consumerer aevo.
Nunc insanus amor duri me Martis in armis
tela inter media atque adversos detinet hostes:
tu procul a patria (nec sit mihi credere tantum!)
Alpinas, ah dura, nives et frigora Rheni
me sine sola vides. Ah, te ne frigora laedant!
Ah, tibi ne teneras glacies secet aspera plantas!
Ibo et Chalcidico quae sunt mihi condita versu
carmina, pastoris Siculi modulabor avena.
Certum est in silvis, inter spelea ferarum
malle pati, tenerisque meos incidere amores
arboribus; crescent illae, crescetis, amores.
Interea mixtis lustrabo Maenala nymphis,
aut acris venabor apros: non me  ulla vetabunt
frigora Parthenios canibus circumdare saltus.
Iam mihi per rupes videor lucosque sonantis
ire; libet Partho torquere Cydonia cornu
spicula: - tamquam haec sit nostra medicina furoris,
ut deus ille malis hominum mitescere discat!
Iam neque Hamadryades rursus nec carmina nobis
ipsa palacent; ipsae rursus concedite silvae.
Non illum nostri possunt mutare labores,
nec si, cum moriens alta libera aret in ulmo,
Aethiopum versemus ovis sub sidere Cancri.
Omnia vincit Amor; et nos cedamus Amori”.
Haec sat erit, divae, vestrum cecinisse poetam,
dum sedet et gracili fiscellam texit hibisco,
Pierides; vos haec facietis maxima Gallo -
Gallo, cuius amor tantum mihi crescit in horas,
quantum vere novo viridis se subicit alnus.
Surgamus; solet esse gravis cantantibus umbra;
iuniperi gravis umbra; nocent et frugibus umbrae.
Te domum saturae, venit Hesperus, ite capellae.


TRADUZIONE

Concedimi, Aretusa, Musa mia
quest'ultima fatica. Pochi versi
per Gallo scriverò ma che li legga
Licòri stessa: chi rifiuterebbe
un carme a Gallo? Che mai a te, quando
sotto i flutti sicani vai a scorrere,
Dori amara non mischi la sua onda.
Inizia; orsù, solleciti cantiamo
di Gallo i tristi amori intanto che
camuse capre i teneri germogli
brucano. Ai sordi certo non cantiamo
ché le selve di ciò tutto ridondano.
Quale bosco o dirupo vi trattenne,
o Naiadi fanciulle, mentre Gallo
d'indegno amore il giorno suo finiva?
Infatti né le cime del Parnaso
né del Pindo vi fecero indugiare
né l'Aonia fontana d'Aganippe.
Anche mirici e allori ed il pinifero
Mènalo lui gemettero disteso
sotto una rupe solitaria e pianse
del Liceo la gelida pietraia.
Fanno cerchio le pecore qui attorno
(ad esse non rincresce il nostro stare
né a te rincresca, mio divin poeta,
la presenza tranquilla degli ovini
che il bell'Adone ai fiumi pur condusse);
venne il pastore, vennero i porcai;
venne Menalca umido di ghiande
colte d'inverno nel terreno zuppo.
Da dove quest'amore ti proviene?”
chiedono tutti ed anche Apollo venne:
Perché, Gallo, impazzisci?” gli domanda
Licòri tua per nevi e accampamenti
già segue un altro”. Venne Silvano
il capo ornato con agresti emblemi
che agita di canne e immensi gigli.
E venne Pan, d'Arcadia dio, che vidi
rosso di minio e di sanguigne bacche
trafugate al selvatico sambuco.
Quale termine” disse “alle tue pene?
Amor di queste cose non si cura
né, crudele, di lacrime si sazia
né del fiore s'appaga l'ape o d'acqua
l'erba o di foglie l'avida capretta”.
Ma quello triste: “Voi, Àrcadi” disse
canterete di me  ai vostri monti
unici voi esperti nel cantare.
O quanto dolcemente le mie ossa
riposeranno se la vostra piva
qualche volta dirà dei miei amori!
Ah, fossi stato uno di voi, pastore
o di turgida uva vignaiolo!
Certo se Aminta o Fillide o chiunque
fosse la mia passione (Aminta è bruno
e allora? Non sono forse scuri
le viole ed i giacinti?) giacerebbe
con me tra i salici e la vite: Fillide
per me serti farebbe e Aminta un canto
intonerebbe. Qui gelide fonti
soffici prati qui, Lycori, il bosco;
qui insieme a te dal tempo consumato
sarei soltanto. Ora un insano amore
tra le armi di Marte mi trattiene
in mezzo agli avversari e contro i dardi.
Tu lungi dalla patria (oh, se potessi
non crederci!) senza di me da sola
vedi le nevi alpine e l'aspro gelo
del Reno. Che il freddo non ti nuoccia,
ed il pungente ghiaccio non ti sciupi
i teneri piedini! Io me ne andrò
e i carmi da me scritti con il verso
di Calcide di nuovo intonerò
al flauto del pastore siciliano.
È certo preferibile patire
nelle selve tra i covi delle fiere
ed incidere il mio infelice amore
sulle tenere scorze delle piante.
E quelle cresceranno, e insieme a loro
diventerai sempre più grande, amore.
Percorrerò il Mènalo frattanto
o caccerò cinghiali con le Ninfe;
né impedirà il gelo d'attorniare
con i cani le balze del Partenio.
Andar per monti e boschi risonanti
mi vedo già; mi piace all'arco parto
fare vibrare le cidonie frecce;
quasi la medicina questa fosse
al mio furore o quel dio imparasse
ad ammansirsi alle miserie umane!
Non amo più invece le Amadriadi
né i carmi e voi, selve, allontanatevi.
Ogni mio sforzo non lo può mutare
nemmeno se bevessi in mezzo al gelo
dell'Ebro all'acque o nel piovoso inverno
affrontassi le nevi del Sitone
o, se quando sull'alto olmo la scorza
morente inaridisce, pascolassi
sotto il segno del Cancro il gregge etiope.
Tutto Amor vince  e ad Amor io cedo”.
Questo vi basti del poeta vostro,
o Pieridi dee, mentre egli siede
intrecciando con ibisco sottile
un piccolo canestro; ciò che canto
farete grande voi per Gallo nostro
di cui m'aumenta amore d'ora in ora
così  come si erge il verde ontano
alla stagione nuova. Adesso alziamoci;
l'ombra ai cantori nuoce ed alle messi
e soprattutto quella del ginepro.
Sazie caprette andate, andate a casa.
Il Vespero nel cielo di già sorge.

                    Traduzione di Carla Baroni
(da Rina Buroni e Carla Baroni Virgilio Bucoliche
traduzione in endecasillabi- Nuove carte Edizioni)



5 commenti:

  1. Caro Nazario ti ringrazio infinitamente per avermi fatto approdare su Leucade con questo mio lavoro a cui tengo moltissimo perché è la prosecuzione di una traduzione fatta da mia madre Rina Buroni che l'aveva iniziata a tredici anni quando era al ginnasio. La circostanza che fosse stata fatta in endecasillabi perfetti la rendeva singolare e metteva nella giusta luce il bellissimo testo virgiliano. Da adulta mia madre, sollecitata da me, tradusse altri brani delle "Bucoliche" ma si stancò presto lasciando quindi l'opera incompleta. Ho voluto finire io stessa tutta la versione per poterla pubblicare e rendere così un ulteriore omaggio a chi mi ha voluto bene.

    Carla Baroni

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  2. Una bella traduzione, interpretata (più che realizzata) con cuore caldo e partecipe. Carla "sente" la poesia delle Bucoliche e la vive incarnandola -più che situandola- e soffondendola in versi italiani. E tanta bellezza -quella delle Egloghe, intendo- Carla comunica al lettore con il metro da lei molto amato e usato, l'endecasillabo, opulento, variegato e, insieme, scorrevole e musicale; prevalentemente piano, talvolta sdrucciolo, raramente (tre volte) tronco. Quello che rimane nell'orecchio dopo la lettura è un'onda fonica pervasivamente dolce, con qualche piacevole sonorità; e nel cuore la percezione di un'humanitas che, mentre sfida e supera il contingente, trabocca di grazia.
    Brava, Carla! Complimenti a te, anche perché so quanto impegno hai messo in quest’opera.
    Pasquale Balestriere

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  3. Caro Pasquale, grazie del tuo bellissimo commento e grazie anche per avermi talvolta
    aiutato quando il verso non aveva la musicalità giusta: perché oltretutto chi mi
    conosce sa che non sono molto arrendevole nell'accettare consigli. Hai avuto una
    pazienza infinita come l'hai sempre nei miei confronti. Purtroppo sto accorgendomi
    che la metrica non è conosciuta come si dovrebbe per cui per molti due traduzioni,
    una in prosa ed una in versi, sono perfettamente equivalenti mentre io ritengo che un
    testo che nasce in poesia debba essere tradotto in poesia per essere apprezzato nel
    giusto valore. Comunque sia, non sono assolutamente pentita della mia fatica
    soprattutto quando ricevo attestazioni di stima da persone estremamente colte e
    preparate come sei tu. Ciao e ancora grazie
    Carla

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  4. Il lavoro lungo, meticoloso, sempre in progress della poetessa Baroni è stato per me (l’editrice) motivo di ansia (oddio, quando riusciremo a pubblicare?) ma anche di grande soddisfazione e arricchimento. La prospettiva che una poetessa ha nel tradurre poesia è davvero unica, tanto più se ha deciso di misurarsi con l’esercizio di traghettare i versi non solo in un'altra lingua ma addirittura in un’altra metrica, che Carla Baroni padroneggia assai bene. Credo che questa versione delle Bucoliche virgiliane potrebbe essere particolarmente interessante per le scuole; gli insegnanti possono, attraverso i versi italiani e latini a fronte, trovare spunti per parlare di due culture poetiche e due letterature distanti e vicinissime. Come sottolineava Luciano Canfora: “Cosa rende ostico il compito della traduzione dal greco e dal latino per i ragazzi? L’idea che ci sia un’unica traduzione giusta che loro devo ‘indovinare’. In realtà la traduzione è una marcia di avvicinamento continuamente in corso. [Come è stato per l’Autrice.] Le traduzioni possibili sono infinite, e nel tempo se ne susseguono di diverse. Bisognerebbe far partecipare lo studente a questa marcia, a questo lavoro in corso, a questo esercizio” (https://libreriamo.it/curiosiamo/luciano-canfora-salviamo-la-traduzione-dei-classici-strumento-di-comprensione-tra-i-popoli/). Ci auguriamo che il nostro libretto possa essere uno strumento e uno spunto di apprendimento per le giovani generazioni, alle quali Carla Baroni, ex-insegnante, è particolarmente vicina. Silvia Casotti

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  5. Cara Silvia, grazie del tuo bel commento anche se un po' tardivo e che quindi
    difficilmente sarà visto dai lettori di questo blog. Infatti se un piccolo appunto si può
    fare a “Alla volta di Leucade” è proprio il troppo materiale che viene pubblicato per
    cui spesso si tralascia di rispondere perché l'argomento è già stato sommerso da tanti
    altri. Tuttavia, tornando all'oggetto del tuo scritto, come dicevo proprio ieri alla
    presentazione di alcuni miei libri alla biblioteca Ariostea di Ferrara, il male grande
    delle versioni dal latino o dal greco delle opere in poesia e di ogni altro testo di liriche
    in genere è che sono davvero in pochi quelli che, al giorno d'oggi, conoscono la
    metrica e quindi ne sanno apprezzare la musicalità. Una traduzione in prosa ed una in
    versi vengono considerate alla stessa stregua, anzi ho notato che dalle lodi ad essa
    tributate la prima ha un successo molto maggiore della seconda, sebbene se ne
    trovino di quasi identiche su internet e si possa, quindi, molto dubitare della genuinità
    della stessa. Eppure abbiamo tutti studiato Iliade, Odissea, Eneide nelle bellissime
    traduzioni rispettivamente di Vincenzo Monti, Ippolito Pindemonte, Annibal Caro e
    da questi poeti abbiamo imparato (o avremmo dovuto imparare) la struttura
    dell'endecasillabo. E non è che i ragazzi d'oggi non apprezzerebbero, se fosse loro
    insegnato, alcune regole fondamentali della metrica se molti si avvicinano alla poesia
    soltanto attraverso i rapper, gli unici a dare loro un qualche rudimento molto
    approssimativo nel genere. Comunque chiamatemi pure “ dietrologa” ma io continuo
    ad affermare che un testo in versi vada reso ancora in versi anche nella completa
    differenza delle due metriche.
    Grazie ancora Silvia del tuo scritto che ha analizzato a fondo gli aspetti del mio
    lavoro anche se i pochi che lo leggeranno lo considereranno soltanto di parte.
    Carla

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