Franco Campegiani,
collaboratore di Lèucade
Cinzia Baldazzi legge “Ribaltamenti”
Franco
Campegiani
Ribaltamenti
Democrazia dell’arché e
assolutismi della dea Ragione
Edizioni
David and Matthaus, 2017, pp. 174, € 14,90
Accogliendo le parole di Nazario Pardini nella
prefazione a Ribaltamenti di Franco
Campegiani, l’autore
è
ligio alla sua filosofia e ne fa carburante per un racconto magistrale,
armonico, umano e umanistico, ontologico e paradigmatico, paratattico e
oggettivo, apodittico e odeporico-intimistico verso mete di rinascita e di
miti. [pag. 13]
Tuttavia, «non è certo un mitologo, quanto,
piuttosto, un mitopoieta». Come giungere a tanto? Trasformando il μύθος-mito in «un’attualizzazione
personale e vivace, lontano da un orfismo statico e immobile», prosegue
Pardini, «vicino a un progetto che fa dell’uomo un essere attore, interprete primo
di una natura madre primigenia rigenerata».
Rigenerazione, si diceva. Ma poi, da dove
scaturisce? In sé, direi, nell’uomo tra gli uomini, figlio tra i figli di un
contesto naturale amico, per il bene di un programma ideale coltivato da un
Ente Supremo in cui predomina, citando Campegiani,
l’animismo
[…], ovvero la coappartenenza dell’anima e del corpo, dell’infinito e del
finito, dell’assoluto e del relativo.[pag. 36]
«La struttura del vivente è unitaria»,
ammonisce il nostro filosofo. Non affiora, però, l’icona di un’humanitas universalistica, indistinta, astratta
o astrattiva, poiché tale tipo di universalità risiede, invece, in ciascuno di
noi, nell’area privata dell’Ego esclusivo, dove «trova casa il molteplice in
una varietà pressoché infinita di sfaccettature».
Rammento, in proposito, gli studi dello statunitense
Franz Alexanderin Fundaments of
Psychoanalysis (Gli elementi
fondamentali della psicoanalisi, 1948):
Abbiamo
ragione di credere che inizialmente non esista alcuna distinzione tra il mondo
interno e quello esterno. Stimoli e sensazioni appartengono tutti alla medesima
categoria, e la differenziazione tra l’io
e il mondo esterno avviene solo gradatamente, a mano a mano che l’io si sviluppa.
Una traccia che Campegiani sviluppa da attento
osservatore del XXI secolo:
L’individuo
deve approfondire la conoscenza di se stesso. Solo così può migliorarsi e
affievolire i danni di un ego tutto
proiettato nel pubblico, ovvero nel
lato esteriore delle cose. Quegli eccessi non si superano facendo ricorso al Noi (sostituendo l’Io con il Noi), perché in
tal modo si resta comunque ancorati all’orizzontalità, totalmente immersi nella
cultura dell’apparire. [pag. 25]
In realtà ho percepito un’intensa emozione da
questo tormento di origine forse kantiana sul rapporto tra individualità e
contesto esterno, tema che la dialettica spirituale, archetipica hegeliana (tra
l’altro, non dimentichiamo, ignota a Giacomo Leopardi) non ha quietato né oltrepassato.
Uno dei suoi maggiori intepreti, Antonio Gargano, così sintetizza a proposito
della KritikderpraktischenVernunft (Critica della ragion pratica):
Emerge
la visione di un’umanità che vive in una dimensione che non ha niente a che
vedere con quella naturale: sembrerebbe che ci sia un’estraneità tra la natura
e l’uomo, la natura meccanicista e l’uomo dotato di finalismo. Kant si rende
perfettamente conto di questa contraddizione e cerca di sanarla nella Critica del giudizio.
Cosa fare, allora, dell’apparato critico del
genio di Königsberg? Nella KritikderUrteilskraft
(Critica del giudizio), il filosofo dell’allora
Prussia Orientale prova a superare una simile antitesi cruenta, valutando di
matrice opposta la natura cieca e gli uomini impegnati a porsi scopi
teleologici risolutivi. Quindi, sempre secondo Gargano,
se
ritroviamo la finalità anche nella natura la conciliazione sarà avvenuta.
Questo è appunto il tentativo che Kant compie nella Critica del giudizio.
Ebbene, in identità-diversità del genere, ognuno
elabora esperienze collaudate dall’ambito collettivo, al cui interno convivono -
sempre a parere di Pardini - «Caino e Abele, il giorno e la notte, l’ordine e
il caos, l’alfa e l’omega, l’Ulisse e il Nessuno». Trapelano le orme della ποίησις-pòiesis filosofica di Leopardi, ospite
della poesia mischiata con la vita, πάθος-pàthoscon
immagine, imitazioni della φύσις-fiùsisin
sé, così come in Ribaltamenti:
L’individuo
non è una monade, è un soggetto di relazioni. A partire, però, dalla relazione
con se stesso. Se si salta questo primo anello, salta tutta intera la catena
relazionale e i contatti sociali si fanno inautentici. Per uscire dalla palude,
allora, dal cosiddetto Postmodernismo, dove tutto è standardizzato, dobbiamo
iniziare da noi stessi, cercando la nostra essenza, quel pensiero che ci pensa,
dal quale siamo pensati e che è, in fondo, il nostro stesso pensiero extracorporeo,
sovra-razionale, al di là degli schemi. [pag. 21]
Uno dei percorsi possibili è indicato da
Leopardi, nelle ultime righe del Dialogo
di Timandro e di Eleandro nelle Operette
morali:
Dico,
che se ne' miei scritti io ricordo alcune verità dure e triste, o per isfogo
dell'animo, o per consolarmene col riso, e non per altro; io non lascio
tuttavia negli stessi libri di deplorare, sconsigliare e riprendere lo studio
di quel misero e freddo vero, la cognizione del quale è fonte o di noncuranza e
infingardaggine, o di bassezza d'animo, iniquità e disonestà di azioni, e
perversità di costumi: laddove, per lo contrario, lodo ed esalto quelle
opinioni, benché false, che generano atti e pensieri nobili, forti, magnanimi,
virtuosi, ed utili al ben comune o privato; quelle immaginazioni belle e
felici, ancorché vane, che danno pregio alla vita; le illusioni naturali
dell'animo; e in fine gli errori antichi, diversi assai dagli errori barbari; i
quali solamente, e non quelli, sarebbero dovuti cadere per opera della civiltà
moderna e della filosofia.
Nel paragrafo centrale dedicato alla “Civiltà
della terra”, Campegiani attualizza il monito del grande recanatese auspicando
il recupero del pensiero prelogico e antischematico degli avi, le visioni
mitico-sapienziali delle antiche culture, augurando contaminazioni benefiche e
niente affatto nostalgiche di dimensioni contadine e rurali: immagini se
vogliamo illusorie, magari storicamente superate («false», «vane», scrive
Leopardi), ma da rifondare per strappare l’uomo di oggi all’«incubo di una
disperazione totale». Nella postfazione, Sandro Angelucci diffida a considerare
tutto ciò «un impossibile quanto utopico ritorno al passato», un «tornare
indietro», bensì l’occasione per un «recupero», l’invito ad avviarsi per «una
strada non solo esistente, ma percorribile».
Necessario, dunque, il modus proposto da Campegiani, in quanto, nel salto di un paio di
secoli, «il villaggio globale dei nostri tempi pone l’una accanto all’altra le
varie culture», rendendone così relativi i
corrispondenti valori. Offre di certo la chiarezza indiscutibile del cancellare
vaghe chimere sulla facoltà di recuperare dati di riferimento categorici in un
piano orizzontale proprio della
cultura (a lato di tradizione, storia), ma enfatizza un’importante
consapevolezza: il relativismo risulterebbe una chance elusa, se non fosse trasformato in concreto spazio
d’apertura nei confronti di un’analisi interiore, in linea verticale indirizzata al reperimento di valori assoluti dentro di noi,
anzi che nell’aura esteriore circostante:
L’assoluto
e il relativo sono piani paralleli, ma distinti e diversi tra di loro. E se si
prova a trasferire il parallelo nel parallelo si finisce per fare confusione.
[pag. 25]
Nell’affascinante, complessa sistematica di un
autore che maneggia con accenti sicuri e personali un vasto vocabolario
filosofico, la chiusura è affidata al capitolo “La saggezza atavica”, dove si
incontrano Platone e Orfeo, Lao Tzu e Dante, Emerson e Omero, Wittgenstein e
Socrate, Eraclito e Petrarca, di nuovo Leopardi e Kant. Per non smarrire la
strada, Campegiani invita il lettore a individuare il ruolo dell’input poetico, il suo “farsi poesia” (in
sintonia ai canoni del critico Walter Binni), condividendo la riflessione di Nazario
Pardini su come «tutto si risolva in poesia», pensiero e sentimento, impulso
lirico di parole presenti in solidali unioni di vocabolo-contenuto, significante-significato nella significazione
dei versi (ed ecco, nella seconda parte del libro, il ricorrere della figura di
Pier Paolo Pasolini).
Per reperirne il messaggio profondo e sincero,
seguiamo lo slancio diretto nel cui lavoro la parole poétique si stacca dal caldo impulso vitale e dai doveri
umani e storici per ribaltarsi in una
vicenda finalizzata a sortire realtà inedite, contribuendo in misura originale,
in virtù di tale energia artistica, ad evocare umanità e storicità, inserendosi
nella vita intera e multiforme della storia.
Concludo dedicando un prezioso suggerimento,ancora
di Binni, all’universo semantico totale di Franco Campegiani, testimoniando e
consigliando di leggere Ribaltamenti in
una luce
tanto
più intensa quanto più artisticamente realizzata, ma tanto più artisticamente
profonda quanto più ha impegnato e commutato in arte tutte le forze morali,
intellettuali e culturali del poeta, la sua storicità-umanità (storicità
riconoscibile come umanità, umanità concreta in quanto storicità): quanto più
ricca e profonda tanto più capace di sostenere grande poesia.
A questo punto, rimane solo di augurarvi una
buona lettura.
Cinzia
Baldazzi
Ringrazio
Adriano Camerini per la collaborazione alla stesura del testo.
Ottima questa lettura di Cinzia di un'opera di creatività filosofica che richiede al fruitore uno sforzo in più: crescere nell'autocritica ma anche nella sensibilità del proprio essere.
RispondiEliminaLei stessa lo sottolinea consigliando in conclusione del suo scritto, dopo averne rilevato le più profonde intuizioni, di "leggere Ribaltamenti in una luce tanto più intensa quanto più artisticamente realizzata, ma tanto più artisticamente profonda quanto più ha impegnato e commutato in arte tutte le forze morali, intellettuali e culturali del poeta, la sua storicità-umanità (storicità riconoscibile come umanità, umanità concreta in quanto storicità): quanto più ricca e profonda tanto più capace di sostenere grande poesia.
Complimenti,
Sandro Angelucci
Sono molto emozionato da questo saggio. Cinzia, da attentissima lettrice, ha colto il nocciolo del pensiero che intendo esprimere, a partire dalla relazione tra l'io e il mondo, che inizia dalla relazione dell'uomo con se stesso, per finire con la riscoperta dei miti, dei sogni e delle favole che racchiudono verità e saggezze straordinarie purtroppo cadute in oblio. Con l'invito, ben evidenziato, a fare di ciò carburante per una vita interiore rinnovata, evitando gli assolutismi che spingono a trascinare il credo individuale sul piano pubblico. Molto grato all'autrice, mi complimento vivamente.
RispondiEliminaFranco Campegiani
Ho trovato molto interessante questa tua recensione Cinzia e mentre ti ringrazio di averla condivisa anche con me, mi fa molto piacere poter rinnovare e rivangare le mie poche ed ormai molto lontane conoscenze filosofiche attraverso i tuoi eruditi richiami.
RispondiEliminaAttraverso la tua recensione ho potuto assorbire il travaglio e gli interrogativi dell’autore verso i temi esistenziali che scuotono l’uomo moderno al confronto con la sua coscienza rapportandola con il mondo che ci circonda. Credo sia fondamentale alla comprensione questa tua analisi delle motivazioni che spingono il singolo ad un confronto reale e leale con questo “nuovo mondo” fatto di idee più spinte ed avanzate che ci circonda. Credo che ogni opera che si propone di scandagliare lo spirito e l’interiorità dell’uomo vada accolta con rispetto e curiosità positiva, ma nello stesso tempo è importante trovare analisti preparati che sappiano rendere fruibile a tutti il pensiero e la motivazione enunciata e tu Cinzia sei per noi questo tramite.
Grazie, un plauso a te ed all’autore Franco Campegiani.