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martedì 17 settembre 2019

NAZARIO P. LEGGE: "METAMORFOSI E SUBLIMAZIONI" DI R. FULVIA FAZIO, GUIDO MIANO EDITORE


Rita Fulvia Fazio METAMORFOSI E SUBLIMAZIONI, GUIDO MIANO EDITORE



Rita Fulvia Fazio METAMORFOSI E SUBLIMAZIONI, GUIDO MIANO EDITORE

Quasi una rinascita dell’architettura palladiana la stesura di questa plaquette: semplicità ed equilibrio delle forme. Candore di marmi su ardui colonnati di vicentina memoria


Leggere i versi di Rita Fulvia significa elevarci alle soglie dell’eccelso; ai gradini più alti dello spirito, mossi dalla stessa curiosità da cui è motivata la poetessa: “... Così poco agevole e a me del tutto inagibile, quella porta catalizzava la mia attenzione, la curiosità non mi lasciava mai. Esercitava una forte attrattiva il desiderio di scoprire cosa poteva esservi al di là, immerso nell’azzurro cielo...” (La raccolta dell’anatroccolo). Al di là; oltre quel segno, quella riga, quel confine, per guardare in faccia la conoscenza, il sapere, tramite l’anima della semplicità, della naturalezza, della forza di un verso che ti innalza all’alcova della pace estetica: «Se la poesia non nasce con la stessa naturalezza delle foglie sugli alberi, è meglio che non nasca neppure.» (John Keats).
Un volo in alto, sì, en haut, dove l’animo puro trova il suo nirvana edenico, la luce che lo illumina e che gli dà la quies dell’estasi. D’altronde è cosa umana, fortemente umana, cercare di superare le ristrettezze del quotidiano con azzardi verso larghezze di azzurrità; verso sinfonie di Bach affinché “il florilegio a due voci/.../sia libero di volare alto,/ costantemente/ nell’oasi di vita e di pace che è vita/ di pensare non è poesia per te/ mentre è rapito in estasi” (Florilegio a due voci). Palpiti emotivi, brividi sensoriali, amorosi sensi, input di aerei spazi dove: Assaporai quell’attimo:/ mi regalò/ una leggerezza delle membra tutte/ che pareva volassi!...” (Shiatsu); eros e thanatos, tappe focali dell’esistere; “… Il mistero del sonno e della morte è l’unico tema della grande arte...” affermava De Chirico. Cercare di oltrepassare il limen che ci condiziona, di scavalcare quella soglia che ci tiene vincolati alla terra, significa ri-trovare noi stessi, il cuore della nostra origine, l’amore per il sublime e tutto ciò che ci trascina dalla vita alla vita-altra, dall’incoscienza alla coscienza di esistere, hic et nunc. “Esisto, eppure/ non per me vorrei/ chiedere al tempo/ d’esistere... vorrei/ ma per... chiedere/ alla fonte d’essere viva,/ sempre;...” (Scintilla d’eternità). E riflettere sul tempo, sulla sua grande ingordigia, sul poi, su quello che sarà, è come misurarci con l’infinito, con l’estensione del mare, o con la pluralità delle stelle. È semplice sperderci nel tutto, fino a smarrire il senso della nostra identità. D’altronde l’uomo si è sempre sentito a disagio di fronte all’idea del niente e del tutto, di un’eco di bellezza, o un senso d’infinitezza: “In scintillio di luna e stelle/ conduci l’oscurità della notte/ eterna,/ infinitezza gentile...” (Eco di bellezza). Forse è proprio nella solitudine, nel faccia a faccia con noi stessi, che troviamo quel “Tu sai cos’è altro da te...” per vivere “il racconto irreversibile/ nella pienezza interiore/ ad innalzare fisicità/ di spirito/ nel presente del/ tempo infinito...” (Desiderio di solitudine). Tanta spiritualità in questa silloge, tanta polisemica attrazione, tanta pluralità di voci che chiama alla meditazione sull’essere e l’esistere: tempo, memoria, saudade, nostos, vita. E l’anima zeppa di emozioni trova forza ontologica reificando: Amplessi, Oltre, Peonie, Passi di danza, Livori, Respiri, questioni alla luna: “Eppure oso chiederti: /essenza,/ tu che togli il silenzio/ del silenzio del tempo,/ posso consolarti/ di tutto ciò che desideri/ anche di quello di cui avrei/ bisogno d’essere consolata io?...” (Io, luna). Tanti interrogativi che l’uomo si pone sulla sua condizione di anima vagante; tanti perché irrisolti e irrisolvibili per noi legati alla terra con lo sguardo rivolto al cielo: pascaliana diatriba tra rien e tout che ci rende inquieti, ci tormenta facendoci poeti; coscienti della nostra precarietà:
<<Tra noi e l'inferno o il cielo c'è di mezzo soltanto la vita, che è la cosa più fragile del mondo.>>. (Blaise Pascal, Pensées)

Nazario Pardini

1 commento:

  1. RICEVO E PUBBLICO:

    Di recente ho visitato lo splendido borgo medievale di San Gimignano, in Toscana, con le sue 13 torri innalzate all'azzurrità del cielo.
    Apparivano, ai miei occhi, permeate dai colori caldi del sole, così come rappresentate dal pittore Alessandro Andreuccetti: luminescenti geometrie che lo sguardo apprezzava, al di là del tempo e dello spazio.
    L'interiorità reificava vibrazioni umane in simbiosi con quelle delle genti di ogni dove che, avide di luce, si perdevano negli slanci del cielo. Il linguaggio poetico si scioglieva in sublimi accostamenti, in immagini fuori dal tempo, che, solo il mito di madre natura eleva da fragilità a purità d'animo; a edenici messaggi di speranza e di bellezza.
    Così lei, Nazario, con la sua sensibilità e ricchezza culturale, ha dipinto un quadro della mia complessità poetica. Che dire, grazie della sua profonda riflessione esegetica stimolante e profonda. Grazie a lei, che, con magnanimità, affida il patrimonio culturale e umano a quanti hanno il privilegio di seguirla.

    Un caro saluto
    Fulvia

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