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mercoledì 1 gennaio 2020

ROSSELLA CERNIGLIA LEGGE: "I DINTORNI DELLA VITA:::" DI NAZARIO P.


Rossella Cerniglia,
collaboratrice di Lèucade

 Nazario Pardini  “I dintorni della vita  
Conversazione con Thanatos” Ed. G. Miano


   La nuova opera di Nazario Pardini, I dintorni della vita, conversazione con Thanatos, viene a comporre, insieme alle precedenti I dintorni della solitudine e I dintorni dell'amore, ricordando Catullo, una trilogia in cui trovano espressione temi di importanza capitale nella vita dell'uomo: la Solitudine, riferibile alla nostra monadicità o assoluta singolarità di uomini; l'Amore che è il fulcro della nostra esistenza e il motore che innesca ogni divenire nelle cose e in noi; infine il rapporto dialettico Vita-morte, così intimo alla natura di tutte le cose da essere lo stigma ineludibile della loro finitudine, e per l'uomo il senso più profondo del nostro stesso esistere, secondo la lezione heideggeriana di Essere e Tempo.
   Se l'Amore è motore di vita e suo stesso sinonimo, anche la morte gli è essenziale, necessaria: essendo il divenire null'altro che il morire perché si adempia la possibilità di nuova vita, la quale, appunto, è creazione che continuamente si rinnova nell'alternanza delle due polarità.
    Il tema della solitudine è anch'esso strutturato nell'esistenza, in una forma direi solipsistica che l'uomo cerca tuttavia di superare attraverso l'amore in senso lato, ovvero attraverso il rapporto positivo e corale con gli esseri - tutti interdipendenti - della nostra terra.
    Questi tre diversi modi di sentire sono dunque profondamente umani ed anzi così intimi da essere parte integrante di noi, del nostro essere al mondo.  In tal senso, sono costitutivi  della nostra stessa essenza di uomini. E come essi attraversano interamente la nostra esistenza, allo stesso modo non possono non trovare spazio ed espressione nell'opera di un poeta, e Pardini ne offre un gagliardo esempio dell'intersecarsi di essi nelle sue opere e nelle sue parole.
   Già nelle due precedenti opere di questa trilogia, l'esistenza appariva spesso nel confronto col suo destino di morte. La morte delle cose, infatti, l'avvertimento della finitudine che le abita è già una nostra morte, è un patire, nella morte di esse, anche la nostra morte, poiché il nostro mondo è fatto di tutte le cose che lo abitano, e che ci abitano come costituenti della nostra stessa anima.
   Mi riferisco a quel senso di solitudine e abbandono, che presenta la realtà a volte: certi inquieti  paesaggi che respirano tristezza in un'atmosfera malata, destinata allo sfinimento e alla morte. A volte è la moritura bellezza che ci trafigge l'anima.
  In alcuni versi delle due precedenti raccolte, abbiamo incontrato il medesimo senso di solitudine e di abbandono, lo stesso sfinimento che sembra vestire le cose, ed anzi le veste in essenza: qualcosa che si identifica col senso del loro finire, della loro morte, e col senso della morte di tutte le cose, col sentimento dell'universale finitudine che veste le cose tutte di questa terra.
   Nella presente opera, la morte ci appare personificata in Thanatos. E mentre nei versi delle due precedenti raccolte della trilogia, questo sfinimento e questo abbandono, il lento sfiorire della bellezza, erano la malattia dell'essere e un'anticipazione della morte stessa, qui la morte è presenza diretta, fulminea, rapace. È  la falce mietitrice,  l'enigma che non si annuncia, ma viene a prenderci per i capelli ovunque siamo diretti e ci riporta indietro, al luogo da  dove siamo venuti: come vorrebbe Platone, al luogo che più non ricordiamo e che perciò ci appare misterioso e oscuro e inquietante.
   Il testo ha al suo interno un carattere marcatamente argomentativo: dibatte tesi fatte di antiche angosce, speranze e desideri. C'è la mente dell'uomo investita dai dubbi, dalle tante domande che non avranno risposta su questa terra, su cui tuttavia l'uomo indagatore non smetterà mai di interrogarsi, come non smette di porsi le domande sull'Essere e sulla trascendenza e l'immanenza del divino nella terra e in noi. C'è la conversazione con Thanatos, appunto, che a volte assume i toni di un contraddittorio in cui ognuna delle due parti parla in propria difesa.
   Thanatos, non è benevolo né ostile. Thanatos è la necessità, è elemento dell'ordine divino, immutabile ed eterno, almeno fintantoché la vita rimarrà la stessa di quella che ci è stata consegnata, e non sarà sovvertito il principio che la regge.
    Potremo dolerci, ma inutilmente, della sua falce: nell'ordine di tutte le cose è l'incessante divenire che è vita e morte al contempo: vita che annulla la morte, e morte che annulla la vita, in un continuo incontro di queste due polarità, in una continua sintesi di esse che è trasformazione.  E l'unica cosa che potrà confortarci è solo il pensare che il divenire, nell'universo, è eterno, e perciò nulla mai muore definitivamente, ma solo si trasforma. Potrà così il credente pensare che dalla sua vita terrena nascerà un'altra vita, una vita che finalmente ci tolga dal necessario soffrire di questa terra, ivi compresa la sua caducità. E che il desiderio di vita, che sempre alberga in noi, altro non sia che desiderio e speranza dell'eterno; non sia che questa continua silente chiamata del divino a ciò cui tutte le cose sono destinate, e per forza maggiore, convergono. E dunque, anche noi, alla nostra Unità col tutto e alla nostra divinità. E l'adempimento di questa chiamata, che tiene in sé questa grande promessa, è la speranza che sostiene la nostra vita mortale, quella della nostra salvezza nella nuova dimensione dell'eterno.
   In questa prospettiva, al di là dei momenti di angoscia che abbuiano la nostra anima, si apriranno allora le Porte dell'Immenso, e per noi, forse, la vita non avrà più fine. Così concludono i versi di Pardini, in una visione grandiosa, effusa in sublime chiarità e  bellezza e gioia, affresco di una Parusia, in cui  appaiono ampiamente elargiti i doni di purezza, di saggezza e di grazia del nostro Creatore: “ Si aprirono i cieli,/ la luce incoronò valli ed abissi,/ e tutto fu chiarore./ Caddero a pioggia gli angeli dall'alto,/ schioccarono le ali/ sugli spazi mortali./ Si aprirono le tombe,/ la morte si redense in cherubino./ Dovunque fu un abbraccio/ di fratelli, madri, padri;/ sugli avelli dei tanti cimiteri/ nacquero fiori; danzarono le anime/ rinate a nuova vita (...)” (Si aprirono i  cieli)
                                                                                                  Rossella Cerniglia


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