Lo
spirito del lago.( Gavirate)
Non
c’è il cielo nella foto, quel cielo variabile e capriccioso che tanto
assomiglia all’inquietudine dell’acqua, che tanto affascina chi guarda il
nostro lago, il quale lo rispecchia,
immobile, doppio: il lago di Varese, triangolino
scuro, tutto insenature e punte, circondato da morbide colline, al quale è stato perfino rubato il
nome, come ribadiscono, forti di cultura storica e antropologica, i nostri
studiosi di storia locale: lago di Gavirate, non di Varese, che niente ha a che
fare col lago e che non lo capisce neppure! È il nostro bellissimo ammalato
lago.
Tutto lago allora, solo acqua nella foto. Ci
sono le onde giocose vaghe e luminose
nuances di azzurri, celesti, blu verdi e nero che caratterizzano il lago nelle
giornate di luce e di sole, ondine che si cullano e chiaccherano tra loro,
indifferenti a tutto, ai cigni pettoruti e superbi, alle ochette svagate e
capricciose, ai passanti che guardano con l’occhio distratto di chi non sa che
la bellezza è conoscenza vera, estetica ed intellettuale: un paesaggio che è
tra i più belli d’Italia.
Niente
invadenti presenze animali o umane nella foto. C’è la presenza, ma solo
evocata, del salice, che si indovina maestoso e ricco e che abbandona le sue
lunghe chiome languide e incerte davanti al fondale del lago che vive la sua
vita. Come le quinte di un palcoscenico che abbisogna di tregua, di una pausa,
di un momento di gioia privata. L’acqua ed il suo fascino mi riportano alla
parola poetica di chi sul lago vive: la trasparenza, le vibrazioni, levità,
essenzialità, suoni carezzevoli, acqua e onde. E davanti, in primo piano nella
foto, la statua dello spirito del lago, che guarda lontano. Mi pare che questo sia il senso della
fotografia che tanto mi emoziona.
La
foto, mirabile, illustra il nostro ottobre lacustre. Tutto il calendario è
dedicato al nostro paesaggio e al lago, ad iniziare dallo scorcio di gennaio
con le esili cannette stilizzate, immagini di un inverno rabbrividente,
cannette che pur danzano come incantate
da un invisibile piffero magico, a una
musica che loro soltanto riescono a sentire, fino alle nebbie novembrine del
paesaggio che perde le connotazioni quotidiane, avvolto nel grigio, tutto quel
grigio scuro e filamentoso che cerca
conforto nello spaesamento sofferente dell’anima. Il fotografo, mi par di
capire, non ama particolarmente i
paesaggi, ama i particolari, il dettaglio, l’elemento metaforico che fa da
tramite verso un’idea più vasta, più universale. Ama concentrarsi, escludere la
globalità ovvia e disturbante, deviante dei vari altri stimoli che ci allontanano
dall’essenzialità. La fotografia mi colpisce, mi dà vibrazioni indominabili. Non riesco a dimenticarla, a
metterla da parte. La controllo, quasi ossessionata, ancora una volta e cerco
le sue fonti. Porta nella citazione, e
penso sia la volontà dell’autore, un altro titolo, “Pensieri sotto il salice”.
Certo è una foto “pensierosa”, ma è molto di più che lo svagamento del pensare
o l’essere assorti in se stessi, in pensieri indefinibili o
malinconici….Rimanda ad altro, di più inquietante.
Non mi
basta. Scendo sul lungolago, percorro il viale che lo costeggia, attratta da
quella statua, da quella foto, da questo lago. Ricerco l’angolo in cui è stata
scattata la foto. Provo a guardarla coi miei occhi e a sentire dentro di me le
emozioni che suscita.Osservo
attentamente la statua. È un
androgino: un individuo giovane, in cui
coesistono nell’aspetto
esteriore, sembianze proprie di entrambi i sessi. Ha l’aspetto scattante,
vitale dell’adolescente che si prepara
alla vita e la dolcezza della giovane donna concentrata che attende l’amore.
Debole, fragile, sicura e misteriosa. Mi incanta. Mi sovviene che nella cultura europea la
figura dell'androgino diventa nota, conosciuta, grazie alla descrizione che ne
fa Platone nel Simposio: è Aristofane, nel dialogo, che narra di questo terzo
genere, non figlio del Sole come gli uomini, non figlio della Terra come le
donne, ma figlio della Luna, che della natura di entrambi partecipa. Il mito
racconta che la completezza autosufficiente rese gli umani androgini e così
rese gli antichi umani androgini tanto
arroganti da immaginare di dare la scalata all'Olimpo, e che Zeus, non
volendo del tutto distruggerli, separò
ciascuno di loro in due metà, riducendoli a solo maschio e solo femmina: noi
uomini e donne, imperfetti e malati di “umana nostalgia dell'interezza",
mai placata, che è la radice e in qualche modo la costrizione all'amore.
Coincidentia oppositorum. Coincidenza e superamento. Un archetipo.
Chi ne è l’autore? Vorrei saperlo. Il titolo
della fotografia è di matrice maschile. Poco spazio per la figura umana, i
pensieri non hanno genere, possono essere sia maschili che femminili, al
fotografo non pongono problemi, sono una caratteristica universale
dell’umanità. La statua invece pone richiami precisi, mi intriga più che mai. Mi
documento: l’autore è donna, una scultrice, è una giovane scultrice, colta e
sicura, non certo alle prime armi . E lo dimostra per il soggetto scelto, per
la tecnica usata, per il materiale che usa con sapienza, per il ritmo che sa
imprimere alla figura, per l’ascensione verticale, per la manualità sapiente
dentro la compattezza e la solidità della materia, che gioca con la luce con il paesaggio
cangiante che gli fa da sfondo. Forse un po’ anche per il titolo: Lo spirito del lago, che sottintende una
umanizzazione e una ricerca di spiritualità delle cose, la ricerca nella
presenza reale di una dimensione occulta ancor più reale: a realibus ad realiora,
come dicevano gli antichi. Più guardo la statua e più ne vengo catturata. E
più mi allontano dai tentativi di definizione-descrizione che ne sono stati
dati. Il pensiero è presente, certo, ma forse non è il protagonista: volge
decisamente all’astrazione, lo spirito aleggia presente e quasi tangibile, ma è
allusivo, simbolico, misterioso. La concentrazione e la staticità sono un
invito ad andare oltre, ad abbandonare il presente coi suoi quotidiani richiami
che ci inchiodano alla terra. Ad abbandonare anche il puro affascinante
estetismo dell’immagine. Il ritmo ascensionale può essere circolare. Nell’immobilità
una ricerca di assoluto. All’interno di ciascuno di noi c’è un luogo immobile
di pace e quiete, che non ha bisogno di sollecitazioni visive o di gesti, un
lago che ha a che fare con lo Spirito. Osserva in silenzio ogni cosa facciamo,
accade e ci accade; distaccato, intangibile, invulnerabile alle influenze del
mondo, in attesa di essere rievocato. Ancora la poesia, la grande poesia di V.
Sereni che contempla il suo lago, mi
offre una chiave di lettura che mi
placa, mi convince, illuminante come l’immagine non vuole essere:
…. e
non era più lago ma attonito
specchio
di me una lacuna del cuore.
Maria
Grazia Ferraris, marzo 2020
Un racconto che ha il sapore e gli ingredienti di vari generi letterari: descrizione, introspezione, fantasia , studio del paesaggio e della storia di una statua ricca di mistero..
RispondiEliminaComunque sia lo "spirito del lago" è lo spirito con cui la scrittrice guarda e vive tutto un ambiente che ama e di cui intimamente sente di fare parte.
La sua penna trasmette le sensazioni - molte e profonde sensazioni! - che l'animo le suggerisce.
La parola è ricchezza pura, bellezza e cesello, fotografia e interprete di un dettato paesaggistico ricco di suggestioni. Maria Grazia Ferraris, studiosa scrittrice e poetessa , ci porta passo passo a scoprire dati storici, a conoscere ed ammirare i luoghi , percependo i colori, le sfumature e le sottigliezze legate alla sua stessa sensibilità: i movimenti dell'acqua, le "ondine che si cullano e chiacchierano fra loro" , le canne e il salice che si specchiano nel fondale di quel lago che pare rattristato di essere stato privato del suo originario nome ;... e inoltre le sottili interessanti considerazioni intorno alla figura della statua- androgino.
Tutto questo nel fascino dello spirito del lago, sentito soprattutto in quella figura efebica che guarda lontano. Lontano come lontano porta questa stupenda pagina di Maria Grazia Ferraris...
Complimenti amica, e grazie di tanta bellezza che ci hai partecipato con quello stile sobrio colto e raffinato che è tutto tuo.
Edda Conte
Trovo estremamente interessante, in questo racconto del lago, l'invito a superare le apparenze e i dettagli, in breve la fascinazione superficiale del molteplice, per andare incontro all'essenziale, all'universale, alle profondità, scoprendo in qualche modo come "la bellezza sia anche verità". "La statua dello spirito del lago, che guarda lontano", aiuta la scrittrice, così come noi lettori, ad elevarci spiritualmente verso quell'universale che risiede nel particolare, nelle sue più abissali profondità. Lo spirito del lago è un androgino, ci dice la Ferraris, e ciò la spinge a ricordare Aristofane, che, nel Simposio di Platone, parla diffusamente del tempo archetipo in cui maschile e femminile, come presumibilmente ogni altra coppia di opposti, viveva in armonia. Ciò ha fatto pensare - come fa pensare chiunque non comprenda il linguaggio simbolico dei miti - ad una sorta di fondazione mitologica dell'omosessualità, che ha tutt'altre motivazioni, di cui in questa sede non è d'uopo parlare. L'omosessualità, a ben guardare, nel mito di Aristofane viene descritta come una conseguenza della separazione dell'androgino e non certo come la sua natura originaria. L'androgino, in effetti, trova in se stesso il proprio appagamento sessuale, laddove l'omosessuale ha bisogno di interventi esterni per poterlo realizzare. Quello dell'androgino è in fondo uno dei tanti miti che parlano dell'età dell'oro, dello stato edenico e della condizione originaria che vedeva - come sempre vede - nei particolari la fonte dell'armonia universale, anziché della disarmonia e della discordia. La guerra fratricida è determinata, nell'Eden, dalla separazione del Bene dal Male, così come nel mito dell'androgino dalla separazione, operata da Zeus, del maschile dal femminile (e potremmo anche dire dello Yin dallo Yang).
RispondiEliminaFranco Campegiani
Prezioso intervento. Un ringraziamento vero a F. Campegiani che approfondisce, da maestro, con la competenza che lo caratterizza, il mito dell’androgino cui ho fatto cenno ( è solo una suggestione culturale che le mie letture tendono a riportare al presente), nel mio pseudo-racconto. In realtà questo “racconto” è un tentativo di spiegare, a me stessa innanzi tutto, perché il “mio” lago, i miei luoghi mi affascinano e mi inducono a cercare senza mai definitive certezze, un itinerario di indagine e spiegazione. Credo di voler ricordare, spiegare a me stessa in primis, una vota di più, una volta come sempre, cosa sia l’emozione-intellettuale ed estetica- cosa sia la Bellezza.
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