Pasquale D’Alterio
OPERA OMNIA
Recensione di Ada Prisco
Gli
animi avvezzi alla poesia d’autore, alle pagine di bella letteratura, che, di
epoca in epoca, non ha mai lasciato orfana la lingua italiana, si trovano a
proprio agio leggendo e apprezzando ritmi e assonanze nelle liriche di Pasquale
D’Alterio. Pur concentrata sulle atmosfere che propone, la mente si
sente libera di collegarsi alle arie note dei grandi poeti, Giacomo Leopardi, Giovanni
Pascoli, Eugenio Montale. Si percepisce il percorso dell’autore, la sua
abitudine a nutrirsene.
Gli
eventi nascono man mano che il tempo si concede e si trasforma in spazio nella
mente e spesso al cuore offre ossigeno di gratitudine, ma non manca l’amarezza
provocata dal retrogusto di tutto quanto è andato perso. I primi componimenti
della raccolta sono ispirati e dedicati al pensiero della moglie amata e morta
per prima
… continuo
a chiedere a me stesso
di
chi, più infelice, sia stata la sorte,
se di
te che morte improvvisa e insospettata
colse
o se
di me che continuo a vivere (p. 24).
Il
tono è sereno, è lucida la coscienza del dono inestimabile. Al contempo,
tendendo l’orecchio al cuore, si ascolta il silenzio rimasto e con esso l’eco
dei ricordi, dell’esperienza, della condivisione che nulla può sostituire.
Incontrando
la memoria, il pensiero critico ordisce una filosofia del tempo, che la perdita
assorbe totalmente, tutto fluisce eppure tutto è fisso, come a trattenere o,
ancor di più, a soffrire la prigione in cui il terribile colpo ha chiuso i
confini. L’interiorità resta libera di vagare. Sfogliando il libro, si accetta
di viaggiare con il poeta, si gode della compagnia di chi sa descrivere con
eleganza avvenimenti che segnano il quotidiano di chiunque. Una tensione qua e
là slancia verso il cielo, come a cercare ciò che la terra non contiene più.
Non s’incontra, però, una mappa di questo vagare avvolto nella sofferenza.
L’amore stringe a sé, anche in assenza del corpo che la morte ha preteso. Molti
sono i cari che precedono nell’ingresso alla celeste dimora, ma si avverte la
differenza fra una perdita e l’altra. La consolazione si accompagna alle
giustificazioni che la ragione sa confezionare, ma non è ospite gradita, quando
protagonista è la donna amata. La precedenza, che la morte ha voluto accordare
alla amata compagna, si proietta come ombra avvilente nel presente di chi, a
sua volta, si prepara ad affrontare l’ultimo tratto. Eppure, quando tutto
sembra inesorabilmente perso e segnato dalla coltre cupa dell’incedere dei
giorni, accade il miracolo inatteso, la vita continua a stupire e a trattenere
legati a sé gli esseri umani, persino malgrado loro stessi. Siamo avvisati, i
passaggi che affrontiamo successivamente a tanti altri e che immaginiamo come i
nostri ultimi o forse come i nostri penultimi, hanno in serbo una seduzione
tutta loro. D’Alterio si fa maestro di vita, quando scrive (p. 36):
Sol
quando ti accorgi
che la
vita è al suo declino,
solo
allora di essa
ogni
istante si comincia ad amare.
Nulla
vale quanto l’amore, l’unico slancio per il quale valga la pena vivere,
ammonisce il poeta. In teoria nessuno oserebbe smentirlo, ma forse risulterebbe
terapeutico per molti il confrontarsi con qualche verso, che molto
concretamente sberleffa chi, nei fatti, dimostra di dedicarsi all’accumulo di
ricchezze materiali, nella vana ricerca di una soddisfazione, che, per quanto
fugace, solo i sentimenti possono donare, prima che giunga inesorabile la sera
della vita, preannunciata dall’invecchiamento e dai suoi segni. L’amore, quando
è vero, non tramonta, ma la vita sì e non ha granché da lasciare lungo la scia
del suo congedo.
Il
tempo e le riflessioni che suscita sono molto presenti nelle considerazioni
dell’Autore. La natura, i suoi ritmi, le descrizioni raffinate, che non
risultano mai eccessive né ermetiche, si mostrano con il semplice pregio di un
oggetto d’oro, prezioso, eppure liscio, inossidabile, adatto allo stile di
chiunque. Incontrare il poeta e concepire con lui le immagini, che nella sua
mente vanno delineando i loro contorni, come il tratto di un pittore esperto, è
proprio come aprire e attingere a uno scrigno di letture. Si legge D’Alterio, ma s’intuisce che con lui si
accolgono tanti maestri della parola, antichi e nuovi. Subito, però,
l’attenzione è di nuovo rivolta al presente e alle visioni che egli prepara per
chi lo legge. Questo libro è anche ginnastica piacevole per la mente e per la
fantasia.
Le
metafore della fine attraggono il suo animo particolarmente, come se cercasse
non una soluzione al suo dolore né al suo tempo, quanto piuttosto una conferma,
la rassicurazione di un assaggio. Non s’indugia, però, sulla tristezza, in
quanto l’istantanea proposta s’impone con forza maggiore e sa catturare con il
suo fascino. Ogni fine gode di una sua estetica, fatta non di artifici,
falsità, illusione, bensì di natura e di tutta la vita che, fino a quel momento
puntuale, l’ha percorsa e nutrita. E’ come se la fine rimanesse a narrare, ma
solo per poco, quanta vita c’è stata e l’autenticasse.
Quanto
è interessante il ritratto de La donna che
vorrei (p. 47): può offrire spunti declinato anche al
maschile, ma può far riflettere ciascuno per sé. E’ una sorta di test, ognuno
può provare a ritrovarsi nei terreni descritti con maestria e sintesi e
pensarsi come natura, tanto legata alla coltura. Meglio una linea costante,
oppure variata dal suo andamento? Meglio un paesaggio essenziale oppure ornato?
Meglio intervenire nelle storie altrui o restarne estranei? Ciascuno può
trovare suggerimenti per conoscere se stesso un po’ meglio, mentre il poeta
tratteggia, appunto, un modello di donna!
Morte,
fugacità, natura, istante, rimpianto, vuoto: è vario il ventaglio delle rime
sciolte, ma il poeta insiste volentieri su questi punti fermi. La sorte è
indirettamente presentata come una giocatrice scaltra e disonesta, che non
lesina tiri mancini a chi s’illude di saper giocare e di aver saputo giocare
bene le proprie carte:
Pochi
vincono, e quelli cui in sorte
di
conoscere l’amore fu dato,
vincono
la morte (p. 50).
E così
anche l’amore vero, pure cantato come eterno, si trasforma in ombra che
risucchia e prende con sé, lasciando al posto dei vivi un simulacro, un volto
triste, un animo che non coniuga più alcun verbo al futuro. E’ spietatamente
vero, quanto altrettanto dolce e pacato il modo in cui questo poeta sa
restituirne l’esperienza. E anche in questo è racchiuso un possibile
insegnamento: nel riflesso, nell’istante incontriamo tutto, assaporiamo il
meglio ed esercitiamo una capacità di godimento. Il dolore straziante ci
costringe a guardarci come immagine riflessa e nella sequenza delle diapositive
del tempo che fu, mentre la pellicola di vecchia memoria continua a scorrere,
sebbene orfana del nostro interesse e della nostra partecipazione. Il tempo più
vuoto, avrebbe bisogno non soltanto della gratitudine verso lo spettacolo della
natura, che torna immancabile a segnare i ritmi e a stupire con la sua
bellezza, ma grida la necessità dei buoni amici di una volta.
Più si è soli, più l’orecchio raccoglie il cuore, ne diventa grembo e conia parole sempre nuove. Sa essere doloroso questo parto eppure è contemporaneamente sorprendente quanta compagnia fa, quanti ritratti illustra, con quanta vita continua ancora a dissetare!
Ada Prisco
Pasquale D’Alterio. OPERA OMNIA, pref.
di Enzo Concardi, pp.180, Guido Miano Editore, Milano 2020, isbn ISBN
978-88-31497-28-2
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