NUOVE DALL’HINTERLAND di Maria Altomare Sardella
Sandro Angeluci,
collaboratore di Lèucade
“Un
giorno ti diplomi; un altro vai a occupare il tuo ufficio; un altro ancora ti
sposi e finalmente dichiari all’anagrafe la nascita del tuo primo figlio. Da
quel momento vedi le stesse persone, fai le stesse cose, percorri le stesse
strade, giorno dopo giorno, anno dopo anno. Insomma, sei una persona comune, ma
ti senti fortunato perché, mentre mangi al calduccio con la tua famiglia, la
televisione ti mostra solitudini e dolore d’ogni sorta. Infine, ti guardi nello
specchio una mattina per sbarbarti e il rasoio non scivola più su una pelle
turgida, allora cominci a porti interrogativi inquietanti, cammini per strada e
ti accorgi che ti sta venendo la fissa di leggere l’età dei defunti sui manifesti
funebri.” (da Filo p. 72).
Ho scelto il capoverso incipitario di
questo racconto per iniziare a scrivere su Nuove
dall’hinterland di Maria Altomare Sardella per una ben precisa ragione:
ritengo che, nello stralcio, si possa racchiudere tutto ciò che caratterizza
una periferia, non soltanto geograficamente intendendola ma, in senso lato,
estendendone metaforicamente il senso a quelli che potrebbero dirsi i sobborghi
dell’uomo, quelle zone della sua ‘città interiore’ che spesso vengono dimenticate
o lasciate ai margini.
Invece è proprio lì, in quei quartieri
(reali e figurati) che si palesa il vero; è proprio lì che pulsa il cuore della
vita che ci troviamo a vivere e che - di fatto - non coincide con quella che
desidereremmo condurre.
Nel caso specifico - mi riferisco al
passo citato - l’Autrice compendia in poche righe tutto questo, dimostrando di
avere ottime capacità di sintesi ma, soprattutto, di comunicazione, in quanto
riesce a trasportare il lettore nei luoghi (ripeto: concreti e dell’anima) che
vuole fargli davvero conoscere.
È qui il valore aggiunto di questa
raccolta di racconti (peraltro linguisticamente e sintatticamente ineccepibili),
nello spendersi degli stessi perché aumenti la consapevolezza, da parte del
fruitore, di ciò che si è e non di ciò che appare o scompare a seconda delle
circostanze o delle consuetudini che si ripetono automaticamente, senza neppure
rendersi conto di ciò che si sta facendo.
Non c’è una di queste storie che - anche
se non esplicitamente - non denunci (nel senso buono del termine) quanto ho
appena asserito. Gli esempi da addurre sarebbero quindi moltissimi, e non lo
farò per non togliere a chi s’intratterrà nella lettura di Nuove dall’hinterland il
piacere della scoperta personale. Voglio, tuttavia, riportare almeno un
passaggio, convinto - come sono - che il dovere di chi scrive una recensione ad
un’opera o di chi si occupa di farne la prefazione sia prima di tutto quello di
suggerire una chiave di lettura (una delle tante) in cui, chi legge, possa
ritrovarsi (oppure no: non è questo che importa).
Da Rosa
(p. 35): l’idraulico e il suo giovane apprendista, Carlo, parlano della
protagonista e della sua vita mentre vanno a risolverle un problema in casa:
«Rosa è arrivata in via Cenisio dalla
Calabria diciotto anni fa,
quando aveva quarantasette anni».
«E che c’era venuta a fare?»
«Si era sposata».
«Bello! E come lo aveva conosciuto lui?
Data l’età, se l’era trovato
con un annuncio sul giornale il
marito?»
«No, tramite affari».
«Come, come?» si incuriosisce Carlo.»
[…]
Si, esattamente così: non avete letto
male. Affari diversi da quelli cui comunemente siamo portati a pensare ma pur
sempre affari. Il suo trasferimento al nord era stato dettato dalla ricerca di
un marito.
«Eccoci alla signora Rosa… Vincenzo (suo futuro consorte) aveva più di settant’anni quando decise che
il terreno intorno alla casa era troppo per le sue necessità, che poteva
venderlo, ricavarci una somma e, magari, adesso che era finalmente in pensione,
godersela».
«Invece li usò per comprarsi una
moglie?» chiede Carlo.
«Una domanda sarcastica, la tua... non
voglio giustificarlo, ma
secondo me Vincenzo era un uomo che
desiderava un po’ di calore».
Sta di fatto che - per farla breve - l’affare
va a buon fine, concluso «con tanto di
notaio a scanso di brutte sorprese». Vincenzo vedendola «non si curò del fatto che era
semianalfabeta, grassa e impacciata da far disperare, cioè il contrario di
quanto la madre aveva desiderato. Convintosi che prendere moglie era ormai indispensabile,
a quel punto avrebbe sposato anche una capra.».
Superfluo aggiungere altro, non credete?
Prima di accomiatarmi, però, c’è
un’ultima considerazione, della quale avverto l’incombenza: gli spaccati, che
Maria Altomare ci propone, devono farci riflettere (adesso più che mai) sulla
qualità della nostra vita. Non si misura con il successo, con i soldi, con gli
status symbol il valore di una persona e di un’intera società: una lezione, perciò, ci giunge dall’hinterland, una lezione che non abbiamo
ancora imparato pagandone sempre a nostre spese le conseguenze.
Sandro Angelucci
Splendida pagina critica dell'amico Sandro Angelucci, dedicata a questa Raccolta di Racconti di Maria Altomare Sardella, che ho letto e apprezzato profondamente anche io. L'Autore mette in evidenza le capacità linguistiche e il nerbo narrativo della Scrittrice e la sua attitudine a trascinare il lettore nei luoghi concreti e dell'anima che descrive. Si tratta di storie di periferia, ovvero di gente comune, che si svolgono lì dove 'pulsa il cuore della vita che ci troviamo a vivere e che - di fatto - non coincide con quella che desidereremmo condurre'. Ringrazio Sandro per le ripetute e arricchenti lezioni di esegesi e Maria Altomare per la levità e la raffinatezza che la contraddistinguono. E li abbraccio entrambi!
RispondiEliminaGrazie a entrambi per aver letto NUOVE DALL’HINTERLAND e aver espresso le vostre preziose riflessioni. Grazie a Nazario Pardini che, cortesemente, ci ospita nel suo salotto letterario
EliminaMaria Altomare Sardella
Grazie a entrambi per aver letto la raccolta di racconti NUOVE DALL'HINTERLAND e averla commentata con grande sensibilità. Grazie anche a Nazario Pardini che ci ospita nel suo salotto letterario virtuale.
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