Loredana D’Alfonso su “Roma in nero” di Paola Vuolo ed Enrico Gregori
Omaggio a Enrico Gregori
Quando
l’articolo diventa racconto.
Loredana D'Alfonso, collaboratrice di Lèucade |
Questo
potrebbe essere il sottotitolo dell’avvincente libro, “Roma in nero”, edito
dalle Edizioni Historica, frutto di anni di inchieste dei giornalisti di
cronaca nera de “Il Messaggero” Paola Vuolo ed Enrico Gregori, quest’ultimo purtroppo
scomparso prematuramente due anni fa.
Questa
recensione vuole essere un tributo al cronista che con la sua collega ha
ricostruito con minuziosità i crimini più efferati della capitale, dagli anni
settanta ad oggi.
Il libro è quanto mai convincente, proprio perché i due cronisti di “nera” del giornale storico di Roma hanno avuto la possibilità di accedere in prima persona a fonti e testimonianze.
In questa Opera la parola scritta lascia la funzione primaria dell’articolo di cronaca di un quotidiano, che deve dare la notizia in modo veloce e quanto più possibile preciso, e diventa narrazione.
E’ un raccontare doloroso e pieno di pathos, quello di “Roma in nero”, che ci porta ad esplorare un mondo denso e oscuro, ci fa entrare in un tunnel in cui anche gli Autori fanno fatica a rimanere distaccati.
Gli
episodi di cronaca nera romana più noti hanno ispirato altrettanti racconti di
grande efficacia. Pensiamo a “Mamma facci uscire” che parla della vicenda di
Tullio Brigida, “I re della città” sulla banda della Magliana, “29
coltellate per la giovane segretaria”
sul delitto di Via Poma, “L’ultima fuga di Johnny” su Johnny lo zingaro.
La vicenda del Circeo
Vorrei soffermarmi con più attenzione, fare uno zoom sul racconto “Mattanza nella villa” sulla notissima vicenda passata alla storia della cronaca nera sotto il nome dei delitti del Circeo.
Questa
vicenda merita un approfondimento perché era tanto più orribile proprio in
quanto vuota di moventi.
A parte l’orrore della storia in sé, narrata dagli Autori, come sempre, in modo molto puntuale, la vicenda processuale penale che seguì fu pesantissima.
Sono passati circa 40 anni da quando a Latina arrivarono avvocati e imputati da Roma per celebrare il processo del delitto del Circeo, allora una località molto in voga e ricercata.
Una casa di vacanza che divenne la tomba di Rosaria Lopez e dove invece si salvò, solo per una casualità, Donatella Colasanti.
Le ragazze
avevano rispettivamente diciannove e diciassette anni.
Il
processo di primo grado davanti alla Corte di Assise di Latina si concluse nel
luglio 1976 con una condanna all’ergastolo per tutti gli imputati e fu il primo
processo nella storia giudiziaria italiana in cui furono ammesse come parti
civili le associazioni femministe.
Il
processo di secondo grado davanti alla Corte di assise di appello di Roma
riformò nei confronti del solo Gianni Guido la sentenza riducendola a trent’anni.
Andrea Ghira sfuggì per sempre alla giustizia con la latitanza.
I legali, tra cui l’avvocato Tina Lagostena Bassi, difesero i diritti di Donatella Colasanti contro l’imputato Angelo Izzo che gettò discredito su di lei al fine di discolparsi e fu il primo processo per stupro ad essere mandato in onda dalla RAI.
Processo
violento, ovviamente, perché la difesa degli imputati era al limite del
possibile.
Subdolo
in quanto la vittima diventò imputata in
modo indiretto e strisciante.
Gli avvocati costruirono una difesa relegando la donna ad un oggetto, addirittura affermando, tra l’altro, che le torture avevano arrecato lesioni che erano guaribili e che quindi non c’era volontà di uccidere.
I verbali erano agghiaccianti - ci raccontano i due cronisti che ebbero libero accesso alla loro lettura - la difesa era inverosimile, ma ovviamente legittima per la logica del diritto processuale.
Il linciaggio verbale delle donne presenti in Aula scaturì dal fatto che non c’era nulla a sostenere il delitto: una passione, sia pur malata, una vendetta, ma unicamente una “bravata” da parte di giovani della Roma bene sulla pelle di donne usate e torturate.
Le storie meno note
In
“Roma in nero” ci sono storie non note al grande pubblico come “Omicidio nella Roma bene”. Una ragazza
bellissima, Elisabetta Di Leonardo, arriva a Roma piena di speranza, entra nel
giro sbagliato e viene ritrovata nella centralissima Via dei Prefetti, uccisa
da qualcuno che non ha mai avuto un nome.
Gli autori danno un ottimo spaccato di una certa Roma degli anni ottanta, un flash di un’estate caldissima, una società ricca ed equivoca, dove serpeggiava la corruzione che doveva poi sfociare nei grandi scandali politici degli anni novanta.
Festini,
soldi, sembra di vederli i flash di
Rino Barillari, il famosissimo
fotografo, re dei paparazzi della Roma bene.
E infine, un assassino eccellente, un nome forse troppo scomodo per essere portato alla luce.
Nell’ambito delle storie criminali meno note ci sono anche alcune dove l’orrore che serpeggia tra le pagine supera di gran lunga la fantasia di un grande giallista.
Gli Autori puntano anche il dito sui casi dei delitti di vecchia data, i cold case che sono risolti, nei casi più fortunati, anche con l’aiuto delle tracce biologiche, oppure, purtroppo, sono destinati a rimanere insoluti.
Alla
base dei cold case - ci dicono i due cronisti - ci sono spesso negligenze investigative,
testimonianze opache, tracce sparse ovunque ma senza un filo conduttore che
porti all’epilogo.
E’
questo il caso del delitto di Simonetta Cesaroni in via Poma che i nostri Autori
hanno raccontato con grande precisione. Gli
indagati furono in un primo tempo Pietrino Vanacore, morto anni fa suicida e
poi nel 2007, Raniero Busco, ex fidanzato della Cesaroni, che fu accusato di
omicidio sulla base di tracce di Dna su alcuni indumenti della ragazza e, infine,
assolto dalla Cassazione nel 2014.
Lo stile
Nell’Opera
colpisce la professionalità che c’è alla base dei racconti, la dovizia di
particolari, le descrizioni accurate, l’introspezione psicologica.
Ma
quello che rende veramente empatico questo libro è lo stile che, come già
accennato, non è quello distaccato del cronista ma diventa intimista, le
vicende sono vissute “da dentro” e sono intrise di umanità.
In altre parole, in “Roma in nero” non c’è traccia di sciacallaggio, di giornalismo di bassa lega, di compiacimento
L’idea di una società totalmente dominata dalla violenza è anche una responsabilità di un uso distorto dei mezzi di comunicazione di massa che si rifanno al principio “if it bleeds, it leads” (se sanguina, porta) che tradotto in soldoni vuole dire che con la violenza si vende di più, ovvero se c’è sangue la storia suscita interesse, fa notizia.
“Roma in nero” ha spessore, sorprende, fa sussultare, emoziona, fa riflettere.
Alcuni racconti sono ricchi di pensieri e dialoghi immaginati, scritti in corsivo. Come il racconto “Mamma facci uscire” che ci commuove e ci sconvolge, facendoci vivere in prima persona la terribile storia di Tullio Brigida e dei suoi bambini.
E chiuderei proprio con i pensieri immaginati per questi bambini.
Ormai lo sappiamo, l’armadio è il nostro
cielo.
Non è neanche più buio come prima, ci sono
tutti i colori. Mamma, mamma. La vediamo nello schermo e la chiamiamo. Una
volta si è girata, abbiamo incontrato i suoi occhi, siamo sicuri che ci ha
visti. Questa volta era più triste del solito, intorno a lei un sacco di gente,
persone sconosciute. Cercavano qualcosa nella terra. Tiravano fuori i nostri
cappotti, i guanti. Tiravano fuori noi. C’era anche papà. Ma lo abbiamo fatto
sparire subito. Vederlo ci rende tristi e nervosi, poi finisce che scompare
anche la mamma. E’ già successo. E noi non lo vogliamo.
Loredana
D’Alfonso
Splendida Lory in questo ricordo di uno dei libri che ci ha segnate di più - lo presentammo insieme -, e coinvolse un pubblico numerosissimo e diverso, infatti primeggiavano i giornalisti delle principali testate. Paola Vuolo, tuttora magnifica Amica e il grande Enrico Gregori, il cui carisma è indimenticabile, riempirono la serata con il testo, evidenziato in modo perfetto dall'esegesi della mia Amica, e con la pietas e la sensibilità che li caratterizzava a livello umano. Molte delle atroci storie narrate in "Roma in nero" non furono mai trasmesse in televisione, non divennero cibo per gli avvoltoi dei salottini. Da giornalisti veri, di altissimo livello, tesi a registrare le notizie, non rifacendosi mai 'al principio “if it bleeds, it leads” (se sanguina, porta', citato da Lory, sono stati giganti del loro lavoro e hanno lasciato un esempio che purtroppo non è stato seguito. Loredana ha dedicato questo articolo al Capo - redattore Enrico Gregori che è volato in cielo, ma ha lasciato nei suoi grandi fatti e nei suoi numerosi scritti, la testimonianza del proprio valore umano e della propria professionalità. La ringrazio di cuore e la stringo forte, insieme alla grande Paola, che ci è stata vicina in tante occasioni e che ha seminato 'perle' di letteratura anche in un testo crudo come "Roma in nero". Un bacio speciale al nostro infaticabile Nazario.
RispondiEliminaUn ringraziamento di cuore a Maria Rizzi per questo vero e proprio articolo che mi ha dedicato, ricordando la grande emozione che ci regalarono i due cronisti Paola Vuolo ed Enrico Gregori, facendoci capire che esiste un giornalismo di "prima qualità ".
RispondiEliminaUn carissimo saluto e un ringraziamento particolare a Nazario Pardini, che ogni giorno ci regala qualcosa di immenso.
La possibilità di esprimerci e di confrontarci.
Non sarò mai abbastanza grata e onorata per essere stata apprezzata!
Un caro abbraccio a entrambi
Loredana D'Alfonso