NAZARIO PARDINI: DAGLI SCAFFALI DELLA BIBLIOTECA
(Guido Miano Edizioni, Milano, 2020, € 12,00)
(DA POMEZIA NOTIZIE DI DOMENICO DEFELICE)
Dagli
Scaffali della Biblioteca è il titolo della
nuova raccolta di versi di Nazario Pardini, il quale compie con questa silloge
una duplice operazione letteraria: quella del recupero del proprio vissuto, da
lui tradotto in poesia, e quella della creazione di un’ideale biblioteca nella
quale inserire i poeti da lui più amati.
Il libro di Pardini infatti inizia con l’evocazione della
propria famiglia, composta alle origini oltre che da lui e dai genitori, da un
fratello. E la mente che corre indietro nel tempo, li rivede con affettuoso
sguardo: “Cari miei cari, ho scritto tutto e a tutti, / vi ho portati con me in
riva al mare, / là dove spesso pescavamo sogni”. Una famiglia non certo ricca
quella descritta da Pardini, ma molto unita e serena nel suo assiduo ed onesto
lavoro: “La mia casa non ha preziosi in cassaforte / ha solo l’uscio aperto
nell’attesa / di qualcuno che passi e si soffermi, / per dire due parole” (La mia casa). In questa casa Nazario
Pardini è nato ed è cresciuto, nutrito dal calore degli affetti domestici; e in
essa ha studiato, divenendo un uomo colto e capace di inventarsi un futuro nel
quale la poesia ha un largo spazio.
Essenziale nella vita di Pardini è stato sempre il
rapporto con i membri della sua famiglia, tra i quali, oltre ai genitori,
compaiono in primo luogo il fratello Saverio con la moglie Graziella, la nipote
Carla e il nipote Sandro, con le due figlie Diletta e Camilla, che per lui
costituiscono “il tesoro più grande”. Con costoro Pardini è vissuto, ha gioito
e sofferto; ha maturato la sua personalità e ha perfezionato la sua sostanza
umana. Con costoro ha condiviso i “ricordi che pungono” e che costituiscono la
sua vera ricchezza. E a costoro egli si rivolge nei suoi versi con affettuose
parole: “Oh padre, oh madre, / oh fratello, oh focolare / dove scaldai le
quattro mie nozioni / prima di andare presto alla città / che mi voleva giovane.
Oh tutti voi miei cari / dove siete finiti?” (A mio fratello Saverio e Graziella – Per il cinquantesimo anniversario
del matrimonio).
Sono queste le poesie della parte introduttiva del nuovo
libro di Pardini, cui fa seguito quella nella quale egli va alla ricerca dei
suoi poeti preferiti che dagli scaffali della sua biblioteca si affacciano e lo
chiamano. È con essi che egli è maturato ed è di essi che si è nutrito il suo
spirito.
Ecco allora da quegli scaffali affacciarsi Leopardi con
le sue liriche immortali, a cominciare da A
Silvia; ecco il Manzoni con la sublime malinconia dell’Addio ai monti; ecco i classici, a cominciare da Catullo, che emerge
con i suoi Carmina, eterna scuola di
poesia e di vita; ecco Platone, il grande filosofo che per primo teorizzò il
mondo delle Idee; ecco D’Annunzio, con la seduzione della sua parola dagli echi
innumerevoli; ecco Saba, che ci viene incontro con la schiettezza umanissima
della sua parola e con la sua sommessa malinconia; ecco Pavese, con il suo
“vizio assurdo” di corteggiare la morte e così via.
Si affacciano poi da quegli scaffali altri poeti, come
Ungaretti, dalla voce un po’ roca, le cui poesie di guerra costituiscono il
grido di un’umanità ferita, mentre quelle di pace scavano a fondo nella vicenda
dei giorni per ricavarne il senso; o s’affacciano poeti come Montale, con le
sue visioni di Liguria e il suo “male di vivere”. Ma anche s’incontrano tra
questi autori Attilio Bertolucci, il poeta del quotidiano e specialmente
Giorgio Caproni, il poeta che come nessun altro ha cantato Genova nella sua più
intima essenza.
Dopo aver evocato Dino Campana, con i suoi Canti orfici e la sua vicenda amorosa
con Sibilla Aleramo, Pardini fa ritorno ai grandi poeti dell’Ottocento e
principalmente al Foscolo e ai suoi Sepolcri,
per terminare, dopo una rissa in Biblioteca, causata dallo scontro tra poeti
appartenenti a diverse correnti letterarie e dopo l’incontro con Salvatore
Quasimodo, poeta dalla voce ferma e perentoria, con un delicato poeta
novecentesco: Sergio Solmi.
L’espediente della Biblioteca è servito a Pardini per
compiere un excursus tra i poeti da lui più amati, che ha assiduamente letti e
che maggiormente hanno contribuito alla sua formazione letteraria. Per parlarne
egli ha adoperato un verso dall’andamento narrativo, che esclude movimenti più
schiettamente lirici, quali erano stati quelli delle poesie della prima parte
del libro, intitolata Ricordi che pungono.
Nell’ultima sezione della silloge egli però fa ritorno ai movimenti più
sommessi e ispirati, che sono propri della poesia lirica, la quale si
riaffaccia nelle Dieci poesie d’amore
che chiudono la raccolta. Vi è in esse infatti quella pienezza e quella
freschezza del canto che sono proprie di chi va alla riscoperta dei suoi anni
giovani, nei quali il mondo gli si dischiudeva con tutte le sue attrattive. Ed
è in esse che egli meglio tocca la compiutezza dei suoi mezzi espressivi, come
può rilevarsi da questi versi: “il tempo tace, / il tutto si fa chiaro, ed io
rinnovo / quell’aria fresca che ci vide audaci; / quell’aria fresca che ritorna
chiara / per chi ricorda ancora / le orme di una corsa senza fine” (Non è più tempo).
Un libro di notevole interesse questo nuovo di Nazario Pardini, per la felice sintesi che in esso si compie tra diversi registri di scrittura poetica.
Nessun commento:
Posta un commento