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mercoledì 24 febbraio 2021

ANNA VINCITORIO LEGGE: "LA CAMPAGNA DELL'OTTANTASETTE" DI PAOLO VALESIO

 

PAOLO VALESIO

La campagna dell’ottantasette

Poesie e Prosa in poesia

All’insegna del Pesce d’oro

di Vanni Scheiwiller

Milano 1990

Anna Vincitorio,
collaboratrice di Lèucade
  

Tempo: entità che non può misurarsi. Noi siamo, eravamo, saremo altro, forse. Qualcosa di incommensurabile: un po’ come guardare di notte le stelle in un cielo africano. In questa entità si dipanano le nostre vite e i ricordi divengono cristalli: Per Sara figlia della mia giovinezza


Paolo Valesio ci parla in una sensazione di contemplazione visiva:

“Quando il tronco di un faggio/ polito e assolato/ diviene come stretta/ parete d’oro dove si riflette/ i ramo di un abete, che si svela/ così fragile così preciso: è lo spirito del ramo”.

Versi che esprimono un amore per la natura; la campagna ma intesa anche

come lotta per esistere; bellezza che prevarica la visualità e scava nel profondo. La natura può colmare i vuoti di una vita anche se talvolta mette in luce la sua crudezza. I luoghi: lago di Linsey, Rhode Island, Treno per New Haven – Boston e le date in sincronica successione. Importante possedere una casa, per Valesio. Casa: origine. Non tutti hanno la fortuna di nascere nella casa di appartenenza che ha accolto i vagiti degli avi; il loro suggerirsi nel tempo.

Casa che conserva il ricordo delle sue stanze – variate, “i lunghi corridoi,

le scale” – . Ogni uomo sente la necessità di appartenenza. Poter dire: era lì che vivevo; le tracce di un dipinto, la sericità della seta in una poltrona nell’angolo in penombra. La casa e le sue stanze danno una identità alla vita e al suo scorrere – “un calice azzurro colmo di vino bianco, lento e denso/ e/ una penna stilografica/ verdenera. La punta del pennino/ è sospesa…”. Fogli, tanti fogli di carta da vergare e il ricordo “di una biro/ rossa, il nome di un vecchio collegio (Perkins Hall) che ricorda una speranza/ mai mantenuta di felicità…”. Nella casa si vive, si crea, si ama, si muore. Casa intesa come luogo di appartenenza, rifugio; di incontri lungo il cammino “dove comincia molle la salita/ macchiata di ginestre, …” e una fanciulla “in gonna corta e grosse calze bianche” che per un breve tratto ti accompagna. Casa e stabilità che il poeta non ha realizzato pur vivendo una vita intensa, di prestigio. Forse nel suo animo vagheggiava luoghi e legami più stabili, meno fluttuanti. Di lui ho scritto in passato: “Due luoghi, due vite. Tratti di una poesia non convenzionale”[1].

Il poeta, lo studioso è alla ricerca di tracce. Dare importanza alla storia di

eventi. Spazio e tempo non coincidono. In lui anelo alla dispersione e, al contempo, necessità di concentrarsi. Il fulcro è nella parola che si esprime come prosa in poesia e viceversa. Sempre presenti le vicende umane e naturali e, come dice Leopardi: “Per variar di affetti e di pensieri obliarvi non so”.

Valesio vive la sua realtà poetica nel mondo e la sua ricerca è tesa a

recuperare i valori del passato e a collegare il suo mondo di appartenenza a una memoria storica. La sua prosa-poesia è conoscenza-pensiero. Il poeta è intuitivo; ferma l’attimo e dall’attimo passa alla realtà concreta. “Ho ritrovato nel baule verde/ la coperta di Libia, consumata/ per esser stata appesa alle pareti/ anni dopo anni, nelle vecchie case…/ Ma egli…/ la tocca soltanto/ se la trae al mento (come suo padre quand’era nel male)”. Lo sguardo si arresta, s’interroga sulla vera natura delle cose. La ricerca può deludere ma è importante porsi dei perché. Possiamo liberarci di qualcosa che ci sembra non essere importante ma quel qualcosa ritorna, serra la nostra gola e lo vediamo nella sua forma primitiva.

Il ricordo è più forte dell’evento quando ritorna e noi ce ne appropriamo. Poi sull’evento possiamo elucubrare. La seconda parte del testo è – Prosa in poesia – Il corridoio dei ritratti –

Si susseguono luoghi, ambienti non apparentemente coinvolgenti. Una

saletta d’albergo; tre giovani professori universitari in attesa. Siamo sul far della sera. Assenza di quadri. Tutto molto lineare.

Un uomo solitario (Aurelio) seduto a un tavolo. Poi entra una donna.

Analisi del trucco che può definirsi discreto. Raffinata, leggermente pingue. Vengono ordinate pietanze diverse legate alla differente condizione sociale dei presenti. Non c’è dialogo. Alla donna viene portato un telefono. Poche parole. Non si sa con chi parla. Poi, si allontana in silenzio. Possono farsi più illazioni. Come l’autore, siamo stati spettatori. Deduzione: La vita è senza alcun mistero, inutile immaginare o elucubrare ciò che si è solamente potuto immaginare. Ancora: un supermercato; un uomo e una adolescente. Lo scorrere tra i banchi per la scelta del cibo. Sguardo dell’uomo verso l’amica della commessa. Un lampo “al tocco dello sguardo di lei”. Poi il guizzo si spezza all’improvviso. L’uomo è come avvizzito di colpo. La donna lo ha notato? Si avvia verso l’uscita. L’uomo e la fanciulla sono ora seduti in una vecchia giardinetta e consumano il pasto. L’uomo ha gli occhi aridi. Le lacrime appartengono al passato ma non la delusione e la tristezza. La donna con la sua auto si allontana. Poi entrambi un prima e un dopo ma con effetti diversi. E intanto la vita scorre. Attesa di una conferenza. Un giovane professore con al polso un braccialetto d’argento – l’armilla[2]. La donna calza scarpe italiane; ha in mano un calice di vino trasparente; parla con uno dei professori del Centro Studi. Lui: “sto lievemente ingrassando (non l’ingrasso del piacere, l’emblema della Gola, bensì un marchio sedentario). Non è abituato alla cravatta e lo irrita lo stretto nodo. Tenta l’approccio; è avvezzo a tentare, ma la sua impazienza di animale selvaggio lo farebbe ritornare indietro alla sua tana”; meglio lasciar perdere. Situazioni forse vissute dallo stesso autore nel suo peregrinare e il rimpianto per una natura lontana di boschi e di uccelli; l’unica autentica. Sempre più evidente l’emergere di una solitudine che porta in situazioni correnti, di ordinaria amministrazione a turbamenti e fughe d’impotenza dalla realtà. Suggestiva per l’impatto erotico-visivo – Veduta del treno in corsa –

Due amanti nell’amplesso, nudi su un prato verde. Appagati? Solo

esausti? L’immagine, mentre il treno si allontana, ritorna con prepotenza all’occhio del poeta e assume “l’aspetto reale di una incisione di Rembrandt”. Coperte scompigliate… contrasti di luce “il ventre di lei resta completamente scoperto e annidato sotto lo sbocciare dell’ombelico, il suo fico è del tutto svelato – mai la porzione del sesso è stata dipinta con maggior esattezza”. Ci si può chinare sul dipinto: sensazioni molteplici; quasi un senso di gelo o paura può provarsi di fronte alla sfrontata bellezza di qualcosa che si desidera ma anche fortemente si teme. Susseguirsi di visioni tra il desiderio del possesso e il disagio che l’organo, nella sua nudità, può assumere l’innocenza di un frutto e staccarsi dalla carnalità del corpo restante, formoso e abbandonato. Siamo di fronte a eventi che, pur perdendosi nella vita, possono sprigionare una irreale magia. Tutto può svolgersi nel tempo e avere una storia. Lo sguardo del poeta è partecipe nella visione ma estraneo. Davanti a sé un amore che non gli appartiene, una storia nella storia che immagina, ma non è la sua storia.

Individua movenze, sensazioni ma il suo spirito è quello di un commensale di fronte a un piatto che lo attrae ma che lui non assaggia.

L’arte del poeta è dal silenzio della parola far scaturire sentimenti anche

solo vagheggiati che procurano realtà appaganti o terrifiche nel lettore. La parola si fa figura e in noi, talvolta si crea un’impari lotta per immedesimarci negli eventi vergati con una biro su un foglio bianco.

Anna Vincitorio



[1]     Nuova Tribuna Letteraria – Anno XXVII – 127 pag. 58.

[2]     Braccialetto usato nell’antica Roma. Era d’argento per i valorosi.

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