PAOLO
VALESIO
La
campagna dell’ottantasette
Poesie
e Prosa in poesia
All’insegna
del Pesce d’oro
di
Vanni Scheiwiller
Milano
1990
Anna Vincitorio,
collaboratrice di Lèucade
Tempo:
entità che non può misurarsi. Noi siamo, eravamo, saremo altro, forse. Qualcosa
di incommensurabile: un po’ come guardare di notte le stelle in un cielo
africano. In questa entità si dipanano le nostre vite e i ricordi divengono
cristalli: Per Sara figlia della mia giovinezza
Paolo
Valesio ci parla in una sensazione di contemplazione visiva:
“Quando
il tronco di un faggio/ polito e assolato/ diviene come stretta/ parete d’oro
dove si riflette/ i ramo di un abete, che si svela/ così fragile così preciso:
è lo spirito del ramo”.
Versi
che esprimono un amore per la natura; la campagna ma intesa anche
come
lotta per esistere; bellezza che prevarica la visualità e scava nel profondo.
La natura può colmare i vuoti di una vita anche se talvolta mette in luce la
sua crudezza. I luoghi: lago di Linsey, Rhode Island, Treno per New Haven –
Boston e le date in sincronica successione. Importante possedere una casa, per
Valesio. Casa: origine. Non tutti hanno la fortuna di nascere nella casa di
appartenenza che ha accolto i vagiti degli avi; il loro suggerirsi nel tempo.
Casa
che conserva il ricordo delle sue stanze – variate, “i lunghi corridoi,
le
scale” – . Ogni uomo sente la necessità di appartenenza. Poter dire: era lì che
vivevo; le tracce di un dipinto, la sericità della seta in una poltrona
nell’angolo in penombra. La casa e le sue stanze danno una identità alla vita e
al suo scorrere – “un calice azzurro colmo di vino bianco, lento e denso/ e/
una penna stilografica/ verdenera. La punta del pennino/ è sospesa…”. Fogli,
tanti fogli di carta da vergare e il ricordo “di una biro/ rossa, il nome di un
vecchio collegio (Perkins Hall) che ricorda una speranza/ mai mantenuta di
felicità…”. Nella casa si vive, si crea, si ama, si muore. Casa intesa come
luogo di appartenenza, rifugio; di incontri lungo il cammino “dove comincia
molle la salita/ macchiata di ginestre, …” e una fanciulla “in gonna corta e
grosse calze bianche” che per un breve tratto ti accompagna. Casa e stabilità
che il poeta non ha realizzato pur vivendo una vita intensa, di prestigio.
Forse nel suo animo vagheggiava luoghi e legami più stabili, meno fluttuanti.
Di lui ho scritto in passato: “Due luoghi, due vite. Tratti di una poesia non
convenzionale”[1].
Il
poeta, lo studioso è alla ricerca di tracce. Dare importanza alla storia di
eventi.
Spazio e tempo non coincidono. In lui anelo alla dispersione e, al contempo,
necessità di concentrarsi. Il fulcro è nella parola che si esprime come prosa
in poesia e viceversa. Sempre presenti le vicende umane e naturali e, come dice
Leopardi: “Per variar di affetti e di pensieri obliarvi non so”.
Valesio
vive la sua realtà poetica nel mondo e la sua ricerca è tesa a
recuperare
i valori del passato e a collegare il suo mondo di appartenenza a una memoria
storica. La sua prosa-poesia è conoscenza-pensiero. Il poeta è intuitivo; ferma
l’attimo e dall’attimo passa alla realtà concreta. “Ho ritrovato nel baule
verde/ la coperta di Libia, consumata/ per esser stata appesa alle pareti/ anni
dopo anni, nelle vecchie case…/ Ma egli…/ la tocca soltanto/ se la trae al
mento (come suo padre quand’era nel male)”. Lo sguardo si arresta, s’interroga
sulla vera natura delle cose. La ricerca può deludere ma è importante porsi dei
perché. Possiamo liberarci di qualcosa che ci sembra non essere importante ma
quel qualcosa ritorna, serra la nostra gola e lo vediamo nella sua forma
primitiva.
Il
ricordo è più forte dell’evento quando ritorna e noi ce ne appropriamo. Poi
sull’evento possiamo elucubrare. La seconda parte del testo è – Prosa in poesia
– Il corridoio dei ritratti –
Si
susseguono luoghi, ambienti non apparentemente coinvolgenti. Una
saletta
d’albergo; tre giovani professori universitari in attesa. Siamo sul far della
sera. Assenza di quadri. Tutto molto lineare.
Un
uomo solitario (Aurelio) seduto a un tavolo. Poi entra una donna.
Analisi
del trucco che può definirsi discreto. Raffinata, leggermente pingue. Vengono
ordinate pietanze diverse legate alla differente condizione sociale dei
presenti. Non c’è dialogo. Alla donna viene portato un telefono. Poche parole.
Non si sa con chi parla. Poi, si allontana in silenzio. Possono farsi più
illazioni. Come l’autore, siamo stati spettatori. Deduzione: La vita è senza
alcun mistero, inutile immaginare o elucubrare ciò che si è solamente potuto
immaginare. Ancora: un supermercato; un uomo e una adolescente. Lo scorrere tra
i banchi per la scelta del cibo. Sguardo dell’uomo verso l’amica della
commessa. Un lampo “al tocco dello sguardo di lei”. Poi il guizzo si spezza
all’improvviso. L’uomo è come avvizzito di colpo. La donna lo ha notato? Si
avvia verso l’uscita. L’uomo e la fanciulla sono ora seduti in una vecchia
giardinetta e consumano il pasto. L’uomo ha gli occhi aridi. Le lacrime
appartengono al passato ma non la delusione e la tristezza. La donna con la sua
auto si allontana. Poi entrambi un prima e un dopo ma con effetti diversi. E
intanto la vita scorre. Attesa di una conferenza. Un giovane professore con al
polso un braccialetto d’argento – l’armilla[2].
La donna calza scarpe italiane; ha in mano un calice di vino trasparente; parla
con uno dei professori del Centro Studi. Lui: “sto lievemente ingrassando (non
l’ingrasso del piacere, l’emblema della Gola, bensì un marchio sedentario). Non
è abituato alla cravatta e lo irrita lo stretto nodo. Tenta l’approccio; è
avvezzo a tentare, ma la sua impazienza di animale selvaggio lo farebbe
ritornare indietro alla sua tana”; meglio lasciar perdere. Situazioni forse
vissute dallo stesso autore nel suo peregrinare e il rimpianto per una natura lontana
di boschi e di uccelli; l’unica autentica. Sempre più evidente l’emergere di
una solitudine che porta in situazioni correnti, di ordinaria amministrazione a
turbamenti e fughe d’impotenza dalla realtà. Suggestiva per l’impatto
erotico-visivo – Veduta del treno in corsa –
Due
amanti nell’amplesso, nudi su un prato verde. Appagati? Solo
esausti?
L’immagine, mentre il treno si allontana, ritorna con prepotenza all’occhio del
poeta e assume “l’aspetto reale di una incisione di Rembrandt”. Coperte scompigliate…
contrasti di luce “il ventre di lei resta completamente scoperto e annidato
sotto lo sbocciare dell’ombelico, il suo fico è del tutto svelato – mai la
porzione del sesso è stata dipinta con maggior esattezza”. Ci si può chinare
sul dipinto: sensazioni molteplici; quasi un senso di gelo o paura può provarsi
di fronte alla sfrontata bellezza di qualcosa che si desidera ma anche
fortemente si teme. Susseguirsi di visioni tra il desiderio del possesso e il
disagio che l’organo, nella sua nudità, può assumere l’innocenza di un frutto e
staccarsi dalla carnalità del corpo restante, formoso e abbandonato. Siamo di
fronte a eventi che, pur perdendosi nella vita, possono sprigionare una irreale
magia. Tutto può svolgersi nel tempo e avere una storia. Lo sguardo del poeta è
partecipe nella visione ma estraneo. Davanti a sé un amore che non gli
appartiene, una storia nella storia che immagina, ma non è la sua storia.
Individua
movenze, sensazioni ma il suo spirito è quello di un commensale di fronte a un
piatto che lo attrae ma che lui non assaggia.
L’arte
del poeta è dal silenzio della parola far scaturire sentimenti anche
solo vagheggiati che procurano realtà appaganti o terrifiche nel lettore. La parola si fa figura e in noi, talvolta si crea un’impari lotta per immedesimarci negli eventi vergati con una biro su un foglio bianco.
Anna Vincitorio
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