domenica 21 febbraio 2021

MARIA RIZZI LEGGE: "ALLA VOLTA DI LEUCADE" DI NAZARIO PARDINI



Maria Rizzi su “Alla volta di Leucade” - Nazario Pardini - Mediterranea editrice

 

Maria Rizzi,
collaboratrice di Lèucade

Ricevere la Silloge “Alla volta di Lèucade”, edita da Mauro Barone della Mediterranea, mi ha dato la dolcissima sensazione di acquisire il diritto, più per affetto che per merito, della genesi dell’isola fondata dal caro Nazario Pardini. Mi sono sentita ‘prescelta’… e lo affermo con assoluta sincerità. L’Opera è introdotta in modo superbo da un Maestro come  Vittorio Vettori, che nella sua esegesi si sofferma sul valore dell’identità pisana dell’Autore, che nel testo ‘aggredisce la polpa di tale difficile identità da due versanti, quello aulico e quello che riflette il parlato, ovvero l’esperienza quotidiana’. Questa prefazione mi ha dato un placet virtuale a visitare le radici, ovvero la patria esteriore, ma soprattutto interiore del caro Poeta che nobilita la tradizione toscana, la arricchisce, la rende contemporanea. Ho sentito che Arena Metato era parte del mio universo, si sposava alla napoletanità e dava senso agli elementi detti iconemi, che sono punti distintivi per chi nasce in un luogo, ma anche per chi impara a conoscerli e a relazionarsi con la loro scenicità. Io ho ricevuto il privilegio di entrare nella scena pisana, ma soprattutto in quella pardiniana, che è simbolo di un mondo a me familiare, che mi ha cambiato l’esistenza. L’Opera è introdotta dallo stesso Poeta da una lirica di Charles Baudelaire, liberamente tradotta, che incredibilmente sembra scritta da lui. “In questa grande pianura dove il freddo austro si sfoga, / dove nelle lunghe notti la banderuola si arrochisce, / l’anima mia meglio che al tempo della tiepida primavera / aprirà largamente le sue ali di corvo”. Il testo della stessa è divenuto una celebre canzone con il titolo  “Brume e piogge”. La Silloge è divisa in quattro sezioni, che rivelano vari aspetti di Nazario Pardini, della sua anima mutevole come le nuvole e poliedrica come quella dei veri Artisti. La prima parte raccoglie liriche che risalgono al 1998 ed è canto di memorie e di elementi poetici della natura pisana, di ambienti che contraddistinguono le scene dei luoghi visitati e indossati da sempre.

 

“Che dire dell’autunno; dei colori

  iridescenti simili a falcate

  di uccelli che si gonfiano le piume

  nello sforzo di vincere il libeccio

  radente al mare; o dei sentori acuti

  dei boschi e dei felceti che sfoltiscono

  le cime per godere gli ultimi aliti

  del cinabro ponente;      - tratti da “ Che dire dell’autunno”

 

Il ‘cinabro’ è solfuro d mercurio cristallizzato dal color rosso vermiglio, che nella lirica simbolizza il vento che spira da ovest. La cifra stilistica nelle prime liriche è senz’altro aulica, ma non nel senso di ‘solenne’, bensì di ‘ricercata’, come si confà a un registro linguistico che aderisce perfettamente al metro classico. Una poesia della prima sezione, intitolata “Che pensare” mi ha trascinato in flutti emotivi cosi potenti, che per citare il Poeta per eccellenza “per poco / il cor non si spaura”.

 

“Tra poco l’alba sfoltirà la bruma;

   le gocce dei brillanti sopra i cigli

   alzeranno la testa ai raggi d’oro

   di un novello mattino. Stai vicino

   a me, immagine cara. Con la mano

   detergerai ancora le camelie

   asperse dal frinire verginale

   d’iniziazione pudica alla vita”

 

Il territorio della memoria è da sempre particolarmente caro al Nostro. Lo visita, lo rivisita, ci si perde e ci si ritrova e, d’altronde “noi siamo il nostro passato”, come affermava il filosofo Bergson, aggiungendo “E si ricomincia da dove ci si era fermati tanti anni prima, con il profumo dell’aratro che sale piano e le stagioni che si alternano in quell’eterno affannarsi e rincorrersi, con il fanciullo che scalcia dentro di noi, il corpo che invecchia e la mente che ci riporta i nostri ricordi”. Sembra di vedere le liriche di Nazario, la descrizione del paese, la casa, gli ulivi, la brace del camino, cantati soavemente nel suo ‘svolio notturno di pensieri’. La seconda parte del testo, Canti Liguri (in Stagioni), consta di quattro perle incastonate nel diadema ligure, una volontà di indossare le scene di una delle regioni più piccole d’Italia con un omaggio a colui che, con troppa superficialità, viene definito ‘il poeta della disperazione’, Eugenio Montale:

 

“Ossi di seppia rosi dai tramonti

  biancheggiano su rene e dentro l’anima

  aride rocce a respirare cieli

  stondate dai salmastri vagabondi.

 

  Liguri cimiteri arrampicati

  con l’anima stordita da risacche

  con voi respiro il giallo dei limoni”  - tratti da “Alla Liguria di Montale”

 

Nazario è nel suo elemento naturale: il mare. Gli “Ossi di seppia” attraversano le avventure del Mediterraneo occidentale, si adagiano sulla riva con i ciottoli e le conchiglie, nascono ad altra stagione terrena. Sempre seguendo il richiamo della riviera il Poeta visita Nicola Ligure, “e le tue pietre / consunte da giornate sopra il mare” e altre località tra cui Varnazza, la più pittoresca delle Cinque Terre “carica di porpora / d’orizzonti fenici”. Dopo la breve intensa sosta in questa regione, dove grazie ai tocchi sublimi del Poeta ho visto scomparire tutto, qualsiasi rumore, qualsiasi altra storia… la vita si è fermata in quei quattro quadri… ho seguito il suo volo pindarico verso la terza parte dell’Opera “La sera di Ulisse”- Poemetti serali. Nazario ha dimostrato in molte altre occasioni, vista la sua prolifica produzione letteraria, l’amore per il poema breve e in questo caso, fedele al sogno del viaggio, nelle radici e nella conoscenza, narra le vicende del simbolo dell’avventura, di Odisseo, che incarnò il desiderio dell’uomo di superare i propri limiti e di dare significato alla sua esistenza.

 

“Quello che scriverò, miei cari amici,

  è il poema di Ulisse al suo ritorno

  o una canzone di un piovoso giorno

  d’autunno. Ci possiamo ritrovare,

  se vogliamo, uniti alla medesima

  locanda e con la stessa brocca lucida

  (trasuderà di certo di stagioni

  vissute). Verseremo nei bicchieri

  vino vermiglio che sorseggeremo

  tra le chiacchiere rosse.”           - tratti da “Quello che scriverò”

 

Con endecasillabi perfetti, interrotti da sapienti enjambement, invita noi lettori a condividere l’esperienza del suo racconto seduti in una locanda davanti a un bicchiere di vino rosso e tesse l’ennesimo incantesimo: si supera la dimensione spazio - temporale e si ha accesso al teatro della poesia. Tramite l’apostrofe siamo tutti in scena, e tutti riflettiamo su quanto “è facile per gli uomini inventare / nei loro sogni vite che non hanno / più niente a che vedere con i sogni che vissero” La vicenda di Ulisse si condisce di filosofia e di quell’ironia e vivacità di spirito che contraddistinguono l’Autore. Nulla è concesso ai luoghi comuni, allo scontato. Siamo nel mondo Pardiniano , dove un uomo - fanciullo compie miracoli, nell’accezione di Whitman, che recitava: “Perché la gente fa tanto caso ai miracoli?/Per quanto mi riguarda io non conosco altro che miracoli”. Il Poeta riesce a sconvolgere le norme, sa essere innovativo, trascinante, sa indossare i panni di Ulisse: “Era ambizione. Andai per mari e monti./ Fiumi e città conobbi i più lontani / tu possa immaginare. Quale inganno!”e sa renderlo uomo moderno, stanco, pentito del proprio peregrinare per alimentare il caparbio, egocentrico desiderio di distinguersi dagli uomini comuni. La quarta e ultima sezione del testo “Fuga da settembre” merita di essere inserita da un’espressione dell’ottimo post-fatore Floriano Romboli: ‘Pardini predilige costantemente l’obiettivazione naturale - realistica degli stati d’animo, nei suoi versi sono in primo piano gli oggetti o gli elementi del paesaggio’. Torna in scena la sua terra, e il mese di Settembre dà vita a nuovi quadri da abitare. I ricordi divengono pulsanti, sono forme che esistono nell’anima da tempo immemorabile, forme desideri che riposano nei pensieri e si accendono al balenare di un’immagine.

 

“Verrò con te settembre. Porterò

  l’involucro ricolmo di pensieri,

  d’immagini e passioni sui balconi

  ad ammirare i giochi di perizia,

  gli inganni della sorte che ricorre

  a smalti di Limoges. Porterò

  dolce concento di memorie e suoni

  ad ascoltare i teneri singulti

  dei miei rimpianti. Andiamo venditore

  ambulante di scampoli d’avanzo,

  agli smerci fulgenti di un’estate

  onusta di broccati. Forse tu

  mi insegnerai a sentire quanto sia

  struggente rimestare tra le spoglie”   - La lirica “Verrò con te settembre”

 

Quest’ultima è la parte nella quale troviamo il linguaggio tecnico - agreste, la

poderosa commistione di termini lirici e parole tratte dal gergo quotidiano o dialettale. Un Nazario che corre nel tempo, supera stanze di anni e si colloca nella modernità assoluta. Al tempo stesso troviamo il Poeta delle famose ‘dieci poesie d’amore’, nella sua volontà di perpetrare la tradizione millenaria di Saffo e Catullo e nella consapevolezza che soltanto attraverso l’Eros l’uomo esterna i propri sentimenti, ma più in generale il suo mondo parallelo, ovvero quello dell’anima.

 

“Un grande sogno vorrei fare, bello.

  Che a settembre scenderanno le stelle

  a regalarmi un luccicante anello

  con sopra incastonata una di quelle.

 

 E magari per te la mia fortuna

 mi portasse la luna di settembre

 a inargentarsi sopra a un cerchio d’oro

 di tenere comete luccicante.

 

 Insomma ti vorrei donare un sogno,

 mio amore, donna, madre, dolce amante,

 un sogno da intonare al tuo settembre”       - La lirica “Un dono”

 

Verso la fine dell’Opera si compie la genesi dell’isola di Lefkada, alias Leucade,  e la mia anima non ha più smesso di tremare. A trascinare il Poeta verso l’isola dell’arcipelago Ionico sono state le Eumenidi o Erinni, divinità vendicatrici della malvagità, e la storia racconta che in quel luogo si compì il suicidio di Saffo, che per amore del giovane Faone, si tuffò dalla rupe di Porto Katsiki. Il mare che accarezza tutte le tonalità dell’azzurro, l’atmosfera del posto, il fascino del passato spinsero Nazario a sceglierla come sua seconda patria interiore e a renderla lussureggiante, calda e ospitale per concedere a tutti gli amici di abitarla e di respirare il suo Sogno. Leucade ha cambiato la mia vita, amo ripeterlo, tant’è che ho voluto abitarla anche fisicamente per due anni di seguito. Era casa. Un’esperienza di confine, un luogo in cui ci si definisce, che rappresenta sicurezza dentro e fuori di sé. E può essere la vicinanza dei parenti a ‘fare casa’, ma per chi osa spalancare le ali, può divenirlo anche uno spazio che, senza saperlo, ci portavamo dentro da sempre, un corpo ideale che ci fa sentire uniti e vivi.

 

“…        ….        E ti rivissi, vita,

con un sentire lieve e tanto amato

che in ogni fatto lieto o meno lieto,

ma scampato, vidi un superbo dono” -  tratti da Fuga da settembre”

                                         

Maria Rizzi

 

. 

 

  

 

 

 

 

7 commenti:

  1. Ringrazio il nostro Nazario per tutto... scendere nei particolari sarebbe sempre e comunque riduttivo... Chiedo scusa a lui e agli ospiti del blog per il refuso: 'forme desideri' doveva essere solo desideri e abbraccio il Poeta e tutti gli amici che rendono l'isola 'casa'.

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  2. Ho appena letto questa stupenda pagina di Maria Rizzi. Ho fatto un bell'incontro, con due persone che amo ed ammiro ( e taccio gli altri sentimenti che intimamente a loro mi legano): in primis l'Amico grande e generoso che da tempo mi onora della sua benevolenza, e subito dopo , quella meravigliosa persona con cui sto lavorando per un progetto che entrambe intriga e appassiona.
    Grazie, cara Maria Rizzi, "penna fluente", sempre presente e attiva , grazie per questa interessantissima storia di un libro e di quel grande Artista che a buon diritto consideriamo il nostro Condottiero. Meriti lode e rispetto per quanto fai e sempre hai fatto per arricchire d'interesse il blog "Alla volta di Leucade".
    Un abbraccio di affetto per te e ovviamente per l'amato Capitano dei Poeti di Leucade.
    Edda Conte

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    1. Edda, 'seme d'amore' , che anche in questa occasione si moltiplica, "Alla volta di Leucade" è la nostra storia, l'Opera di un Poeta meraviglioso che ha reso 'casa' il proprio blog e ha favorito incontri e affetti come il nostro... Ti ringrazio di ogni parola, sai cosa rappresenti per me, e sai che ti ho preso nella vita e non ti mollo più. Un immenso abbraccio a te e al fautore di questo Sogno, all'Uomo che sa creare con la musica delle sue liriche il miracolo di un'Isola!

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  3. Carissima Maria,
    grazie per questo dono che hai fatto a Leucade, al nostro Nume tutelare e a tutti noi che abitiamo in questa meravigliosa Isola.
    La tua lettura incanta, e ci porta la curiosità è il desiderio di leggere l'Opera che tu, certamente, hai sentito nel profondo.
    Ti abbraccio ammirata ed estendo l' abbraccio sincero all'Autore.


    Loredana D'Alfonso

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    1. Lory mia, so bene quanto Leucade abbia cambiato la tua vita, ce lo raccontiamo ogni giorno. Mentre scrivevo la chiusa di questa lettura partecipata pensavo a tutti voi e ai nuovi amici conosciuti sull'Isola e mi emozionavo sempre di più. Il Dono del Nume Tutelare stavolta ha superato ogni aspettativa. Ringrazio te e lui e vi stringo con tutta me stessa.

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  4. RICEVO E PUBBLICO
    Carissima Maria. L’esegesi che hai dedicato alla silloge di Nazario, esprime tutta la versatilità del tuo innato percepire ogni sfumatura emotiva dell’anima e, in questo caso, quelle del nostro generoso Condottiero. La tua lettura ha estrapolato ciò che penso si possa definire l’intima personalità dell’Autore, la sua storia, la sua vita, altruista per natura, sempre pronto ad accogliere sullo Scoglio, tutti coloro che credono ancora nei valori della Poesia e la considerano veicolo di musicalità d’amore. Grazie ancora, Maria, sempre pronta sul blog, per l’arricchimento che mi hai donato con la tua lettura che mi ha consentito di apprezzare parte dei versi della silloge stessa.
    Un abbraccio a Edda e Lory che ti hanno già trasmesso il loro caloroso sentire ed a tutti i collaboratori di Leucade che si avvicineranno alla tua lettura. Naturalmente un mio pensiero particolare è per te Nazario, carissimo mentore insostituibile. “Grazie di esserci”.
    Lino D’Amico

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    1. Lino carissimo, amico altruista e sensibile, ti ringrazio di cuore, hai scritto in poesia adeguandoti al Maestro. Il merito è solo dell'Opera, una genesi straordinaria dell'origine del nostro stare insieme e una collezione di liriche che stordisce. Ringrazio e abbraccio te e Nazario con tutto il mio affetto.

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