Maria Rizzi su “Alla volta di Leucade” - Nazario Pardini - Mediterranea editrice
Maria Rizzi, collaboratrice di Lèucade |
Ricevere
“Che dire dell’autunno; dei colori
iridescenti simili a falcate
di
uccelli che si gonfiano le piume
nello sforzo di vincere il libeccio
radente al mare; o dei sentori acuti
dei boschi e dei felceti che sfoltiscono
le
cime per godere gli ultimi aliti
del cinabro ponente; -
tratti da “ Che dire dell’autunno”
Il
‘cinabro’ è solfuro d mercurio cristallizzato dal color rosso vermiglio, che
nella lirica simbolizza il vento che spira da ovest. La cifra stilistica nelle
prime liriche è senz’altro aulica, ma non nel senso di ‘solenne’, bensì di
‘ricercata’, come si confà a un registro linguistico che aderisce perfettamente
al metro classico. Una poesia della prima sezione, intitolata “Che pensare” mi
ha trascinato in flutti emotivi cosi potenti, che per citare il Poeta per
eccellenza “per poco / il cor non si
spaura”.
“Tra poco l’alba sfoltirà la bruma;
le gocce dei brillanti sopra i cigli
alzeranno la testa ai raggi d’oro
di un novello mattino. Stai vicino
a
me, immagine cara. Con la mano
detergerai ancora le camelie
asperse dal frinire verginale
d’iniziazione pudica alla vita”
Il
territorio della memoria è da sempre particolarmente caro al Nostro. Lo visita,
lo rivisita, ci si perde e ci si ritrova e, d’altronde “noi siamo il nostro
passato”, come affermava il filosofo Bergson, aggiungendo “E si ricomincia da
dove ci si era fermati tanti anni prima, con il profumo dell’aratro che sale
piano e le stagioni che si alternano in quell’eterno affannarsi e rincorrersi,
con il fanciullo che scalcia dentro di noi, il corpo che invecchia e la mente
che ci riporta i nostri ricordi”. Sembra
di vedere le liriche di Nazario, la descrizione del paese, la casa, gli ulivi, la
brace del camino, cantati soavemente nel suo ‘svolio notturno di pensieri’. La seconda parte del testo, Canti
Liguri (in Stagioni), consta di quattro perle incastonate nel diadema ligure,
una volontà di indossare le scene di una delle regioni più piccole d’Italia con
un omaggio a colui che, con troppa superficialità, viene definito ‘il poeta
della disperazione’, Eugenio Montale:
“Ossi di seppia rosi dai tramonti
biancheggiano su rene e dentro l’anima
aride rocce a respirare cieli
stondate dai salmastri vagabondi.
Liguri cimiteri arrampicati
con l’anima stordita da risacche
con voi respiro il giallo dei limoni” - tratti da “Alla Liguria di Montale”
Nazario
è nel suo elemento naturale: il mare. Gli “Ossi di seppia” attraversano le
avventure del Mediterraneo occidentale, si adagiano sulla riva con i ciottoli e
le conchiglie, nascono ad altra stagione terrena. Sempre seguendo il richiamo
della riviera il Poeta visita Nicola Ligure, “e le tue pietre / consunte
da giornate sopra il mare” e altre località tra cui Varnazza, la più
pittoresca delle Cinque Terre “carica di
porpora / d’orizzonti fenici”. Dopo la breve intensa sosta in questa
regione, dove grazie ai tocchi sublimi del Poeta ho visto scomparire tutto,
qualsiasi rumore, qualsiasi altra storia… la vita si è fermata in quei quattro
quadri… ho seguito il suo volo pindarico verso la terza parte dell’Opera “La
sera di Ulisse”- Poemetti serali. Nazario ha dimostrato in molte altre
occasioni, vista la sua prolifica produzione letteraria, l’amore per il poema
breve e in questo caso, fedele al sogno del viaggio, nelle radici e nella
conoscenza, narra le vicende del simbolo dell’avventura, di Odisseo, che
incarnò il desiderio dell’uomo di superare i propri limiti e di dare
significato alla sua esistenza.
“Quello che scriverò, miei cari amici,
è
il poema di Ulisse al suo ritorno
o
una canzone di un piovoso giorno
d’autunno. Ci possiamo ritrovare,
se
vogliamo, uniti alla medesima
locanda e con la stessa brocca lucida
(trasuderà di certo di stagioni
vissute). Verseremo nei bicchieri
vino vermiglio che sorseggeremo
tra le chiacchiere rosse.” - tratti da “Quello che scriverò”
Con
endecasillabi perfetti, interrotti da sapienti enjambement, invita noi lettori
a condividere l’esperienza del suo racconto seduti in una locanda davanti a un
bicchiere di vino rosso e tesse l’ennesimo incantesimo: si supera la dimensione
spazio - temporale e si ha accesso al teatro della poesia. Tramite l’apostrofe
siamo tutti in scena, e tutti riflettiamo su quanto “è facile per gli uomini inventare / nei loro sogni vite che non hanno
/ più niente a che vedere con i sogni che vissero” La vicenda di Ulisse si
condisce di filosofia e di quell’ironia e vivacità di spirito che
contraddistinguono l’Autore. Nulla è concesso ai luoghi comuni, allo scontato.
Siamo nel mondo Pardiniano , dove un uomo - fanciullo compie miracoli,
nell’accezione di Whitman, che recitava: “Perché la gente fa tanto caso ai
miracoli?/Per quanto mi riguarda io non conosco altro che miracoli”. Il Poeta riesce
a sconvolgere le norme, sa essere innovativo, trascinante, sa indossare i panni
di Ulisse: “Era ambizione. Andai per mari
e monti./ Fiumi e città conobbi i più lontani / tu possa immaginare. Quale
inganno!”e sa renderlo uomo moderno, stanco, pentito del proprio
peregrinare per alimentare il caparbio, egocentrico desiderio di distinguersi
dagli uomini comuni. La quarta e ultima sezione del testo “Fuga da settembre”
merita di essere inserita da un’espressione dell’ottimo post-fatore Floriano
Romboli: ‘Pardini predilige costantemente l’obiettivazione naturale -
realistica degli stati d’animo, nei suoi versi sono in primo piano gli oggetti
o gli elementi del paesaggio’. Torna in scena la sua terra, e il mese di Settembre
dà vita a nuovi quadri da abitare. I ricordi divengono pulsanti, sono forme che
esistono nell’anima da tempo immemorabile, forme desideri che riposano nei
pensieri e si accendono al balenare di un’immagine.
“Verrò con te settembre. Porterò
l’involucro
ricolmo di pensieri,
d’immagini e passioni sui balconi
ad
ammirare i giochi di perizia,
gli
inganni della sorte che ricorre
a smalti
di Limoges. Porterò
dolce
concento di memorie e suoni
ad
ascoltare i teneri singulti
dei miei
rimpianti. Andiamo venditore
ambulante
di scampoli d’avanzo,
agli
smerci fulgenti di un’estate
onusta di
broccati. Forse tu
mi
insegnerai a sentire quanto sia
struggente rimestare tra le spoglie” - La
lirica “Verrò con te settembre”
Quest’ultima è la
parte nella quale troviamo il linguaggio tecnico - agreste, la
poderosa commistione
di termini lirici e parole tratte dal gergo quotidiano o dialettale. Un Nazario
che corre nel tempo, supera stanze di anni e si colloca nella modernità
assoluta. Al tempo stesso troviamo il Poeta delle famose ‘dieci poesie
d’amore’, nella sua volontà di perpetrare la tradizione millenaria di Saffo e
Catullo e nella consapevolezza che soltanto attraverso l’Eros l’uomo esterna i
propri sentimenti, ma più in generale il suo mondo parallelo, ovvero quello
dell’anima.
“Un grande sogno vorrei fare, bello.
Che a
settembre scenderanno le stelle
a
regalarmi un luccicante anello
con sopra
incastonata una di quelle.
E magari
per te la mia fortuna
mi
portasse la luna di settembre
a
inargentarsi sopra a un cerchio d’oro
di tenere
comete luccicante.
Insomma ti
vorrei donare un sogno,
mio amore,
donna, madre, dolce amante,
un sogno
da intonare al tuo settembre” - La
lirica “Un dono”
Verso la fine
dell’Opera si compie la genesi dell’isola di Lefkada, alias Leucade, e la mia anima non ha più smesso di tremare. A
trascinare il Poeta verso l’isola dell’arcipelago Ionico sono state le Eumenidi
o Erinni, divinità vendicatrici della malvagità, e la storia racconta che in quel
luogo si compì il suicidio di Saffo, che per amore del giovane Faone, si tuffò
dalla rupe di Porto Katsiki. Il mare che accarezza tutte le tonalità
dell’azzurro, l’atmosfera del posto, il fascino del passato spinsero Nazario a
sceglierla come sua seconda patria interiore e a renderla lussureggiante, calda
e ospitale per concedere a tutti gli amici di abitarla e di respirare il suo
Sogno. Leucade ha cambiato la mia vita, amo ripeterlo, tant’è che ho voluto
abitarla anche fisicamente per due anni di seguito. Era casa. Un’esperienza di
confine, un luogo in cui ci si definisce, che rappresenta sicurezza dentro e
fuori di sé. E può essere la vicinanza dei parenti a ‘fare casa’, ma per chi
osa spalancare le ali, può divenirlo anche uno spazio che, senza saperlo, ci
portavamo dentro da sempre, un corpo ideale che ci fa sentire uniti e vivi.
“…
…. E ti rivissi, vita,
con un sentire lieve e tanto amato
che in ogni fatto lieto o meno lieto,
ma scampato, vidi un superbo dono” - tratti da Fuga da settembre”
Maria Rizzi
.
Ringrazio il nostro Nazario per tutto... scendere nei particolari sarebbe sempre e comunque riduttivo... Chiedo scusa a lui e agli ospiti del blog per il refuso: 'forme desideri' doveva essere solo desideri e abbraccio il Poeta e tutti gli amici che rendono l'isola 'casa'.
RispondiEliminaHo appena letto questa stupenda pagina di Maria Rizzi. Ho fatto un bell'incontro, con due persone che amo ed ammiro ( e taccio gli altri sentimenti che intimamente a loro mi legano): in primis l'Amico grande e generoso che da tempo mi onora della sua benevolenza, e subito dopo , quella meravigliosa persona con cui sto lavorando per un progetto che entrambe intriga e appassiona.
RispondiEliminaGrazie, cara Maria Rizzi, "penna fluente", sempre presente e attiva , grazie per questa interessantissima storia di un libro e di quel grande Artista che a buon diritto consideriamo il nostro Condottiero. Meriti lode e rispetto per quanto fai e sempre hai fatto per arricchire d'interesse il blog "Alla volta di Leucade".
Un abbraccio di affetto per te e ovviamente per l'amato Capitano dei Poeti di Leucade.
Edda Conte
Edda, 'seme d'amore' , che anche in questa occasione si moltiplica, "Alla volta di Leucade" è la nostra storia, l'Opera di un Poeta meraviglioso che ha reso 'casa' il proprio blog e ha favorito incontri e affetti come il nostro... Ti ringrazio di ogni parola, sai cosa rappresenti per me, e sai che ti ho preso nella vita e non ti mollo più. Un immenso abbraccio a te e al fautore di questo Sogno, all'Uomo che sa creare con la musica delle sue liriche il miracolo di un'Isola!
EliminaCarissima Maria,
RispondiEliminagrazie per questo dono che hai fatto a Leucade, al nostro Nume tutelare e a tutti noi che abitiamo in questa meravigliosa Isola.
La tua lettura incanta, e ci porta la curiosità è il desiderio di leggere l'Opera che tu, certamente, hai sentito nel profondo.
Ti abbraccio ammirata ed estendo l' abbraccio sincero all'Autore.
Loredana D'Alfonso
Lory mia, so bene quanto Leucade abbia cambiato la tua vita, ce lo raccontiamo ogni giorno. Mentre scrivevo la chiusa di questa lettura partecipata pensavo a tutti voi e ai nuovi amici conosciuti sull'Isola e mi emozionavo sempre di più. Il Dono del Nume Tutelare stavolta ha superato ogni aspettativa. Ringrazio te e lui e vi stringo con tutta me stessa.
EliminaRICEVO E PUBBLICO
RispondiEliminaCarissima Maria. L’esegesi che hai dedicato alla silloge di Nazario, esprime tutta la versatilità del tuo innato percepire ogni sfumatura emotiva dell’anima e, in questo caso, quelle del nostro generoso Condottiero. La tua lettura ha estrapolato ciò che penso si possa definire l’intima personalità dell’Autore, la sua storia, la sua vita, altruista per natura, sempre pronto ad accogliere sullo Scoglio, tutti coloro che credono ancora nei valori della Poesia e la considerano veicolo di musicalità d’amore. Grazie ancora, Maria, sempre pronta sul blog, per l’arricchimento che mi hai donato con la tua lettura che mi ha consentito di apprezzare parte dei versi della silloge stessa.
Un abbraccio a Edda e Lory che ti hanno già trasmesso il loro caloroso sentire ed a tutti i collaboratori di Leucade che si avvicineranno alla tua lettura. Naturalmente un mio pensiero particolare è per te Nazario, carissimo mentore insostituibile. “Grazie di esserci”.
Lino D’Amico
Lino carissimo, amico altruista e sensibile, ti ringrazio di cuore, hai scritto in poesia adeguandoti al Maestro. Il merito è solo dell'Opera, una genesi straordinaria dell'origine del nostro stare insieme e una collezione di liriche che stordisce. Ringrazio e abbraccio te e Nazario con tutto il mio affetto.
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