Pagine

giovedì 1 aprile 2021

ANNA VINCITORIO: "POETI ARABI DELLA DIASPORA"


Anna Vincitorio,
 collaboratrice di Lèucade

 Poesia snella, agile, profonda, dove i commenti di Anna  Vincitorio, con i suggestivi interventi di epigrammatica valenza, fanno da contorno ad un pensiero di grande respiro etico ed estetico. I miei occhi piangono d’amore,  LAULAT AL – LAYALI, Mia solitudine… sono poesie che respirano aria di libertà, sapore di amore, gioia di vivere, e quel tanto di malinconia    che fa bene al verso, dandogli quel senso di larga umanità che vola oltre le soglie del particolare. Qui prezioso è il commento di Anna Vincitorio, che con la sua tecnica di approfondimento emotivo-strutturale, ne fa risaltare i momenti di maggiore  resa lirica: “Le parole echeggiavano nelle ombre lunghe del deserto con sulla testa un tetto infinito di stelle. Poesia d’amore e di memorie recitata in rime. Linguaggio di una società patriarcale legata ad origini perse in un tempo di sabbie, di lunghe ombre e di luci.”, e dove i temi di solitudine e libertà riecheggiano dando forza al senso d’infinito:

 

“…Eppure, quale immensità mia solitudine,

quale libertà abbiamo conquistato!

In lei e per mezzo di lei

ci libriamo a toccare l’infinito.”.

 

Da mettere in evidenza la ricchezza verbale e l’intuizione metrica della traduzione di Francesco Medici.

Nazario Pardini

Considerazioni sulla lettura

di

POETI ARABI DELLA DIASPORA

Versi e prose liriche di Kahlil Gibran, Ameen Rihani, Mikhail Naimy, Elia Abu Madi

Traduzione a cura di Francesco Medici

Stilo Editrice – 2015


Ed i miei occhi piangono d’amore


Risplendi o Layla, quando ormai è l’ora

che all’orizzonte già cala la luna.

Sorgi, quando nel ciel tarda l’aurora:

la luce e i raggi che il sole aduna.

 

splendono in te ma il sole non ricuce

col filo dei tuoi denti il tuo sorriso.

Di luna e sole assieme tu hai la luce,

essi non hanno gli occhi che ha il tuo viso. […]

 

QAYS – VII sec.

Traduzione R. La Scaleia[1]

  

Qays, poeta che iniziò una vita raminga e girovaga, fu chiamato “il re errante”. Poesia che nasce dai nomadi dei deserti d’Arabia. Steppe e infinite distese desertiche. Con la parola poetica si rievocano paesaggi, lontani eventi scolpiti nel cuore. I versi venivano recitati nelle veglie notturne (samar) attorno al fuoco. Tradizione orale ricca di fascino dove la voce con cadenze ritmiche evocava memorie.

Le parole echeggiavano nelle ombre lunghe del deserto con sulla testa un tetto infinito di stelle. Poesia d’amore e di memorie recitata in rime. Linguaggio di una società patriarcale legata ad origini perse in un tempo di sabbie, di lunghe ombre e di luci.

 

LAULAT AL – LAYALI

 

Di notte sulla raggiante Rialto[2]

vicino alle stelle nelle loro case di vetro,

vagavo con l’anima in tasca

pregando che quel momento non finisse mai…

E quante migliaia e migliaia di volte

ho camminato all’ombra di una Layla[3]

Ma l’estasi e la beatitudine della visione

finivano sempre in una frustrazione profonda…

Ho desiderato che ogni edificio intorno a noi

fosse un cedro, un pioppo, un pino,

che gli uomini e le donne fossero statue

e la pioggia che cadeva fosse vino,

che le luci fossero fuori, eteree

e le automobili fossero rifugi nel bosco

                    […]

“Oh basta così” esclamò lei e mi diede un bacio:

“Questa soffitta e questo letto vanno benissimo”.

 

Ameen Rihani

Traduzione di Francesco Medici

 

Ameen Rihani (1876-1940 – Libano settentrionale). Uno dei poeti della diaspora emigrati negli USA. Si nota il verso libero che permette ampi spazi ma che nulla toglie all’armonia delle parole usate. Contrasto tra le case di vetro contrapposte all’estasi di visioni che acuiscono il rimpianto della terra lontana, dei cedri del libano, di pioggia che cadeva come vino. L’amore per una donna come Layla, il grande amore del poeta Qays. L’amore nei suoi aspetti è dentro e fuori il tempo anche se alla fine della poesia la donna di Rihani ridimensiona il rapporto: Basta con i ricordi e lontana dalle piogge e dalle luci che la fantasia trasfigura, è appagata dall’amplesso in una stanza qualsiasi. Non le interessa guardare le stelle ma il soffitto. Moderna realtà di un rapporto in una società occidentale.

Ho messo accanto una poesia araba del VII secolo ad una del primo

novecento scritta a New York. È presente la necessità per lo spirito arabo di impegnarsi combattivamente nel campo politico, sociale, essendo consapevole di essere erede di un’antica civiltà che ha dato un fondamentale contributo allo sviluppo storico dell’umanità. Dalla miseria, indigenza, privazione, nasce la letteratura araba in terra straniera. Dietro ogni poeta immigrato (muhagirun), un passato di emarginazione e sfinimenti. Vivere a New York, una megalopoli e, nel cuore, il ricordo struggente e il tormento verso la terra dell’infanzia e giovinezza. Poter sperare in un ritorno.

Mikhail Naimy (nativo del Libano – 1889-1988).

È particolarmente provato dalla solitudine che gli procura un amore non completamente appagato dalla sua condizione di esule.

 

Mia solitudine

 

Mia solitudine, lei non saprà mai[4]

i tuoi cieli senza sole e senza luna.

Non attraverserà mai i tuoi deserti senza traccia,

né affronterà i tuoi mari senza approdi…

Soli eravamo, mia Solitudine,

e soli saremo per sempre.

Eppure, quale immensità mia solitudine,

quale libertà abbiamo conquistato!

In lei e per mezzo di lei

ci libriamo a toccare l’infinito.

 

Traduzione di Francesco Medici

 

Risaltano, la cadenza dei versi e il ripetersi come un mantra della parola

solitudine. Solitudine in una terra diversa ma foriera di libertà. La libertà incondizionata che si conquista con la forza del pensiero, ci libra verso l’infinito. Libertà che però riporterà il poeta in Libano in un eremo a Baskintà. Mikhail Naimy fu soprannominato “Il Vecchio della Montagna”.

 

Elia Abu Madi (1890-1957 – nato in Libano)

 

Molto popolare nella sua terra. Nel 1900 si trasferisce ad Alessandria d’Egitto dove studia e lavora. Nel 1912 viene esiliato dalle autorità ottomane e si trasferisce a New York nel 1916.

 

Mare

 

Mare

sei tu a inviare le nuvole

per dissetare la terra e gli alberi.

                   

Ti abbiamo bevuto

e abbiamo detto:

abbiamo bevuto la pioggia.

È vero o è falso?

Non so.

Mare,

ho chiesto alle nuvole

se ricordavano le tue spiagge,

agli alberi rigogliosi

le dolci piogge,

e alle perle

il luogo in cui nacquero.

Insieme li ho uditi dire:

non so…

Nel tuo seno

hai raccolto

vita e morte.

Sei culla o tomba?

Non so…

Mare custodisco in me molti segreti

ricoperti da un velo

E io stesso sono il velo.

Più mi avvicino

e più sono lontano.

                   

Non chiedermi

cos’è domani

cos’è ieri.

Non so.


Traduzione di Francesco Medici

 

Poesia originale e innovativa. Abu Madi sa esprimersi con eleganza e saggezza. Parole suggestive, profonde, quasi enigmatiche; rivelano una sensibilità inquieta. Sicuramente il mare è per lui origine e distacco dalla sua terra. Si pone interrogativi ma non li risolve. Di fronte a lui un interlocutore silenzioso: l’immensità dell’acqua che può disperdere ma anche unire in una realtà nuova, incommensurabile e fonte di vita. Lui non fece mai ritorno in Libano. Scrisse esclusivamente in Arabo ed è stato poco tradotto. Molti critici affermano che con la sua opera “I ruscelli” del 1927, nacque la poesia romantica araba.

 

 

Kahlil Gibran (Libano settentrionale – 1883-1931)

 

Oggi come ieri

Oggi il sole risplende in cielo

proprio come ieri

e gli uccelli cantano senza sosta nel bosco,

ma senza luce è il mio giorno e senza canzoni

                          

Amore, tu che percorri la terra in cerca della vita,

posa ancora la tua mano sul mio cuore

e digli che non è morto.

                          

Traduzione di Francesco Medici 

Sabbia e spuma

 

Per sempre camminerà su queste spiagge,

tra la sabbia e la spuma

L’alta marea cancellerà le mie orme,

e il vento soffierà via la spuma.

Ma il mare e la spiaggia resteranno

Per sempre

                          

Una volta riempii di nebbia la mia mano

Poi l’aprii ed ecco, la nebbia era un verme

E io chiusi e aprii di nuovo la mia mano e

vidi che vi era un uccello

E io chiusi e aprii di nuovo la mia mano e

vidi che nel cavo stava

ritto un uomo con viso mesto, rivolto verso l’alto.

E ancora chiusi la mia mano e quando l’aprii

vi era solo nebbia

Ma udii un canto di straordinaria bellezza.

 

Traduzione di Francesco Medici

 

I versi su riportati sono forti e melanconici; le immagini imbevute di colore.

Gibran Kahlil Gibran nacque in Libano a Bisharri nel 1833. A 12 anni emigrò negli Stati Uniti e risiedette a Boston. Tornò in Libano a studiare per poi ritornare in America nel 1902. Non rivide più il suo paese natale. Gravi lutti in famiglia. Profonda la sua formazione culturale: letteratura araba e francese. Legge la Bibbia e il Corano. Nel 1905 il suo primo libro sulla musica “Al Musiqah”. Il suo spirito è profondamente ribelle come appare in “Spiriti ribelli” del 1908. Frequentò a Parigi l’Académie Julien e l’École des Beaux Art affermandosi validamente come pittore. Conosce Rodin che paragonò la sua opera a quella di William Blake per la visionarietà e il senso del colore. Nel 1912, su consiglio dell’amico scrittore Ameen Rihani, affittò uno studio al 51 West 10th street. Lo chiamò Eremo. Intorno al 1916 con un gruppo di scrittori arabi emigrati (muhagirun – i pionieri) dette vita all’arrabitah (il legame della penna), società letteraria che eserciterà una influenza stilistica fondamentale sulla rinascita della letteratura in lingua araba. Tale società ebbe però vita breve.

La scuola poetica siro-americana nasce a New York il 28 aprile 1920

quando una decina di scrittori emigrati tra il XIX e il XX secolo si riunì nello studio di Gibran per promuovere la rinascita della lingua araba in tutto il suo fascino dopo secoli di stagnazione e sterilità. L’influenza del movimento romantico di New York si diffuse in tutto il mondo arabo inaugurando una nuova era che si allontanava dai rigidi canoni del gusto letterario di Beirut, Damasco e del Cairo.

Furono infrante le regole stilistiche e si adottò il genere della poesia in

prosa. Naimy indicò in Walt Whitman il modello da seguire perché quello della poesia classica ostacolava la libertà di espressione.

Le opere di Abu Madi in Arabo non ebbero rilievo nel Nuovo Continente.

Il gruppo, per divergenze interne si sciolse anche perché Gibran aveva assunto posizioni radicali in relazione all’indipendenza della madre patria dal gioco turco. Importante il Congresso Arabo di Parigi del 1813. Gibran non partecipò perché in disaccordo con la maggioranza del gruppo a cui aveva raccontato di essere scampato a diversi attentati da parte turca. Mary Elisabeth Haskell disse: “Per Kahlil la diplomazia non basta […]. Kahlil è per la rivoluzione: la forza militare araba è pronta e non c’è bisogno di alcun piano”.

Al Congresso di Parigi andò Rihani iniziando così una importante carriera

diplomatica.

Gibran iniziò a scrivere in Inglese e “Il Profeta” è del 1923.

Riconoscimento e plauso universali e, a cento anni di distanza, è molto popolare e letto in tutto il mondo. Gibran si spense nel 1931 per una cirrosi epatica. Riposa nel suo Libano a Busharri. Mary Haskell, sua mentore e poi moglie, lo ricorda: “…poeta veggente, profeta, ama ed è riamato dalla sua gente. Ma tutto sommato c’è in lui una specie di solitudine”. Al Mustafà, il prescelto, l’amato, alter ego di Gibran, nel “Profeta” si rivolge ai marinai che chiama “cavalieri dei flutti” e dice: “Quanto spesso veleggiaste nei miei sogni, e ora arrivate a questo risveglio che è il mio sogno più profondo. Sono pronto a partire è la mia brama, spiegate le vele, è in attesa del momento… E tu, vasto mare, madre insonne,/ unica pace e libertà per fiumi e rivi;/ Solo un’altra volta farà questa corrente,/ solo un altro mormorio in questa radura,/ e poi io verrò da te,/ una goccia sconfinata in uno sconfinato oceano”. Per Gibran “L’amore non conosce la propria profondità se non nell’ora della separazione”. La sofferenza al suo acme, vivifica; e l’amore, soltanto lui potrà salvare il mondo. “Quando l’amore vi chiama, seguitelo” ci dice. L’amore va oltre la vita e la morte poiché “la vita e la morte sono unite e indivisibili come lo sono il fiume e il mare”.

Il logo realizzato da Gibran attribuito al profeta è: “Dio custodisce tesori

sotto il Suo trono, le cui chiavi sono le lingue dei poeti”.

 

Firenze, 28 febbraio 2021

Anna Vincitorio



[1]     La biblioteca di Repubblica – Poesia Araba – n° 17.

[2]     Area di Broadway a New York.

[3]     L’amata di Qays – donna bella e irraggiungibile

[4]     Probabilmente una donna chiamata Niunia.

Nessun commento:

Posta un commento