Anna Vincitorio, collaboratrice di Lèucade |
Poesia snella, agile, profonda, dove i commenti di Anna Vincitorio, con i suggestivi interventi di epigrammatica valenza, fanno da contorno ad un pensiero di grande respiro etico ed estetico. I miei occhi piangono d’amore, LAULAT AL – LAYALI, Mia solitudine… sono poesie che respirano aria di libertà, sapore di amore, gioia di vivere, e quel tanto di malinconia che fa bene al verso, dandogli quel senso di larga umanità che vola oltre le soglie del particolare. Qui prezioso è il commento di Anna Vincitorio, che con la sua tecnica di approfondimento emotivo-strutturale, ne fa risaltare i momenti di maggiore resa lirica: “Le parole echeggiavano nelle ombre lunghe del deserto con sulla testa un tetto infinito di stelle. Poesia d’amore e di memorie recitata in rime. Linguaggio di una società patriarcale legata ad origini perse in un tempo di sabbie, di lunghe ombre e di luci.”, e dove i temi di solitudine e libertà riecheggiano dando forza al senso d’infinito:
“…Eppure,
quale immensità mia solitudine,
quale
libertà abbiamo conquistato!
In lei
e per mezzo di lei
ci
libriamo a toccare l’infinito.”.
Da mettere in evidenza la ricchezza verbale e l’intuizione metrica della traduzione di Francesco Medici.
Nazario Pardini
Considerazioni sulla lettura
di
POETI ARABI DELLA DIASPORA
Versi e prose liriche di Kahlil Gibran,
Ameen Rihani, Mikhail Naimy, Elia Abu Madi
Traduzione a cura di Francesco Medici
Stilo Editrice – 2015
Ed i
miei occhi piangono d’amore
Risplendi
o Layla, quando ormai è l’ora
che
all’orizzonte già cala la luna.
Sorgi,
quando nel ciel tarda l’aurora:
la
luce e i raggi che il sole aduna.
splendono
in te ma il sole non ricuce
col
filo dei tuoi denti il tuo sorriso.
Di
luna e sole assieme tu hai la luce,
essi
non hanno gli occhi che ha il tuo viso. […]
QAYS –
VII sec.
Traduzione
R. La Scaleia[1]
Qays,
poeta che iniziò una vita raminga e girovaga, fu chiamato “il re errante”.
Poesia che nasce dai nomadi dei deserti d’Arabia. Steppe e infinite distese
desertiche. Con la parola poetica si rievocano paesaggi, lontani eventi
scolpiti nel cuore. I versi venivano recitati nelle veglie notturne (samar)
attorno al fuoco. Tradizione orale ricca di fascino dove la voce con cadenze
ritmiche evocava memorie.
Le
parole echeggiavano nelle ombre lunghe del deserto con sulla testa un tetto
infinito di stelle. Poesia d’amore e di memorie recitata in rime. Linguaggio di
una società patriarcale legata ad origini perse in un tempo di sabbie, di
lunghe ombre e di luci.
LAULAT
AL – LAYALI
Di
notte sulla raggiante Rialto[2]
vicino
alle stelle nelle loro case di vetro,
vagavo
con l’anima in tasca
pregando
che quel momento non finisse mai…
E
quante migliaia e migliaia di volte
ho
camminato all’ombra di una Layla[3]
Ma
l’estasi e la beatitudine della visione
finivano
sempre in una frustrazione profonda…
Ho
desiderato che ogni edificio intorno a noi
fosse
un cedro, un pioppo, un pino,
che
gli uomini e le donne fossero statue
e la
pioggia che cadeva fosse vino,
che le
luci fossero fuori, eteree
e le
automobili fossero rifugi nel bosco
[…]
“Oh
basta così” esclamò lei e mi diede un bacio:
“Questa
soffitta e questo letto vanno benissimo”.
Ameen
Rihani
Traduzione
di Francesco Medici
Ameen
Rihani (1876-1940 – Libano settentrionale). Uno dei poeti della diaspora emigrati
negli USA. Si nota il verso libero che permette ampi spazi ma che nulla toglie
all’armonia delle parole usate. Contrasto tra le case di vetro contrapposte
all’estasi di visioni che acuiscono il rimpianto della terra lontana, dei cedri
del libano, di pioggia che cadeva come vino. L’amore per una donna come Layla,
il grande amore del poeta Qays. L’amore nei suoi aspetti è dentro e fuori il
tempo anche se alla fine della poesia la donna di Rihani ridimensiona il
rapporto: Basta con i ricordi e lontana dalle piogge e dalle luci che la
fantasia trasfigura, è appagata dall’amplesso in una stanza qualsiasi. Non le
interessa guardare le stelle ma il soffitto. Moderna realtà di un rapporto in
una società occidentale.
Ho
messo accanto una poesia araba del VII secolo ad una del primo
novecento
scritta a New York. È presente la necessità per lo spirito arabo di impegnarsi
combattivamente nel campo politico, sociale, essendo consapevole di essere
erede di un’antica civiltà che ha dato un fondamentale contributo allo sviluppo
storico dell’umanità. Dalla miseria, indigenza, privazione, nasce la
letteratura araba in terra straniera. Dietro ogni poeta immigrato (muhagirun),
un passato di emarginazione e sfinimenti. Vivere a New York, una megalopoli e,
nel cuore, il ricordo struggente e il tormento verso la terra dell’infanzia e
giovinezza. Poter sperare in un ritorno.
Mikhail
Naimy (nativo del Libano – 1889-1988).
È
particolarmente provato dalla solitudine che gli procura un amore non
completamente appagato dalla sua condizione di esule.
Mia
solitudine
Mia
solitudine, lei non saprà mai[4]
i tuoi
cieli senza sole e senza luna.
Non
attraverserà mai i tuoi deserti senza traccia,
né
affronterà i tuoi mari senza approdi…
Soli
eravamo, mia Solitudine,
e soli
saremo per sempre.
Eppure,
quale immensità mia solitudine,
quale
libertà abbiamo conquistato!
In lei
e per mezzo di lei
ci
libriamo a toccare l’infinito.
Traduzione
di Francesco Medici
Risaltano,
la cadenza dei versi e il ripetersi come un mantra della parola
solitudine.
Solitudine in una terra diversa ma foriera di libertà. La libertà
incondizionata che si conquista con la forza del pensiero, ci libra verso
l’infinito. Libertà che però riporterà il poeta in Libano in un eremo a
Baskintà. Mikhail Naimy fu soprannominato “Il Vecchio della Montagna”.
Elia
Abu Madi (1890-1957 – nato in Libano)
Molto
popolare nella sua terra. Nel 1900 si trasferisce ad Alessandria d’Egitto dove
studia e lavora. Nel 1912 viene esiliato dalle autorità ottomane e si
trasferisce a New York nel 1916.
Mare
…
Mare
sei tu
a inviare le nuvole
per
dissetare la terra e gli alberi.
…
Ti
abbiamo bevuto
e
abbiamo detto:
abbiamo
bevuto la pioggia.
È vero
o è falso?
Non
so.
Mare,
ho
chiesto alle nuvole
se
ricordavano le tue spiagge,
agli
alberi rigogliosi
le
dolci piogge,
e alle
perle
il
luogo in cui nacquero.
Insieme
li ho uditi dire:
non
so…
Nel
tuo seno
hai
raccolto
vita e
morte.
Sei
culla o tomba?
Non
so…
Mare
custodisco in me molti segreti
ricoperti
da un velo
E io
stesso sono il velo.
Più mi
avvicino
e più
sono lontano.
…
Non
chiedermi
cos’è
domani
cos’è
ieri.
Non
so.
Traduzione di Francesco Medici
Poesia
originale e innovativa. Abu Madi sa esprimersi con eleganza e saggezza. Parole
suggestive, profonde, quasi enigmatiche; rivelano una sensibilità inquieta.
Sicuramente il mare è per lui origine e distacco dalla sua terra. Si pone
interrogativi ma non li risolve. Di fronte a lui un interlocutore silenzioso:
l’immensità dell’acqua che può disperdere ma anche unire in una realtà nuova,
incommensurabile e fonte di vita. Lui non fece mai ritorno in Libano. Scrisse
esclusivamente in Arabo ed è stato poco tradotto. Molti critici affermano che con
la sua opera “I ruscelli” del 1927, nacque la poesia romantica araba.
Kahlil
Gibran (Libano settentrionale – 1883-1931)
Oggi
come ieri
Oggi
il sole risplende in cielo
proprio
come ieri
e gli
uccelli cantano senza sosta nel bosco,
ma
senza luce è il mio giorno e senza canzoni
…
Amore,
tu che percorri la terra in cerca della vita,
posa
ancora la tua mano sul mio cuore
e
digli che non è morto.
…
Traduzione di Francesco Medici
Sabbia
e spuma
Per
sempre camminerà su queste spiagge,
tra la
sabbia e la spuma
L’alta
marea cancellerà le mie orme,
e il
vento soffierà via la spuma.
Ma il
mare e la spiaggia resteranno
Per
sempre
…
Una
volta riempii di nebbia la mia mano
Poi
l’aprii ed ecco, la nebbia era un verme
E io
chiusi e aprii di nuovo la mia mano e
vidi
che vi era un uccello
E io
chiusi e aprii di nuovo la mia mano e
vidi
che nel cavo stava
ritto
un uomo con viso mesto, rivolto verso l’alto.
E
ancora chiusi la mia mano e quando l’aprii
vi era
solo nebbia
Ma
udii un canto di straordinaria bellezza.
Traduzione
di Francesco Medici
I
versi su riportati sono forti e melanconici; le immagini imbevute di colore.
Gibran
Kahlil Gibran nacque in Libano a Bisharri nel 1833. A 12 anni emigrò negli
Stati Uniti e risiedette a Boston. Tornò in Libano a studiare per poi ritornare
in America nel 1902. Non rivide più il suo paese natale. Gravi lutti in
famiglia. Profonda la sua formazione culturale: letteratura araba e francese.
Legge la Bibbia e il Corano. Nel 1905 il suo primo libro sulla musica “Al
Musiqah”. Il suo spirito è profondamente ribelle come appare in “Spiriti
ribelli” del 1908. Frequentò a Parigi l’Académie Julien e l’École des Beaux Art
affermandosi validamente come pittore. Conosce Rodin che paragonò la sua opera a
quella di William Blake per la visionarietà e il senso del colore. Nel 1912, su
consiglio dell’amico scrittore Ameen Rihani, affittò uno studio al 51 West 10th
street. Lo chiamò Eremo. Intorno al 1916 con un gruppo di scrittori arabi
emigrati (muhagirun – i pionieri) dette vita all’arrabitah (il
legame della penna), società letteraria che eserciterà una influenza stilistica
fondamentale sulla rinascita della letteratura in lingua araba. Tale società
ebbe però vita breve.
La
scuola poetica siro-americana nasce a New York il 28 aprile 1920
quando
una decina di scrittori emigrati tra il XIX e il XX secolo si riunì nello
studio di Gibran per promuovere la rinascita della lingua araba in tutto il suo
fascino dopo secoli di stagnazione e sterilità. L’influenza del movimento
romantico di New York si diffuse in tutto il mondo arabo inaugurando una nuova
era che si allontanava dai rigidi canoni del gusto letterario di Beirut,
Damasco e del Cairo.
Furono
infrante le regole stilistiche e si adottò il genere della poesia in
prosa.
Naimy indicò in Walt Whitman il modello da seguire perché quello della poesia
classica ostacolava la libertà di espressione.
Le
opere di Abu Madi in Arabo non ebbero rilievo nel Nuovo Continente.
Il
gruppo, per divergenze interne si sciolse anche perché Gibran aveva assunto
posizioni radicali in relazione all’indipendenza della madre patria dal gioco
turco. Importante il Congresso Arabo di Parigi del 1813. Gibran non partecipò
perché in disaccordo con la maggioranza del gruppo a cui aveva raccontato di
essere scampato a diversi attentati da parte turca. Mary Elisabeth Haskell
disse: “Per Kahlil la diplomazia non basta […]. Kahlil è per la rivoluzione: la
forza militare araba è pronta e non c’è bisogno di alcun piano”.
Al
Congresso di Parigi andò Rihani iniziando così una importante carriera
diplomatica.
Gibran
iniziò a scrivere in Inglese e “Il Profeta” è del 1923.
Riconoscimento
e plauso universali e, a cento anni di distanza, è molto popolare e letto in
tutto il mondo. Gibran si spense nel 1931 per una cirrosi epatica. Riposa nel
suo Libano a Busharri. Mary Haskell, sua mentore e poi moglie, lo ricorda:
“…poeta veggente, profeta, ama ed è riamato dalla sua gente. Ma tutto sommato
c’è in lui una specie di solitudine”. Al Mustafà, il prescelto, l’amato, alter
ego di Gibran, nel “Profeta” si rivolge ai marinai che chiama “cavalieri dei
flutti” e dice: “Quanto spesso veleggiaste nei miei sogni, e ora arrivate a
questo risveglio che è il mio sogno più profondo. Sono pronto a partire è la
mia brama, spiegate le vele, è in attesa del momento… E tu, vasto mare, madre
insonne,/ unica pace e libertà per fiumi e rivi;/ Solo un’altra volta farà
questa corrente,/ solo un altro mormorio in questa radura,/ e poi io verrò da
te,/ una goccia sconfinata in uno sconfinato oceano”. Per Gibran “L’amore non
conosce la propria profondità se non nell’ora della separazione”. La sofferenza
al suo acme, vivifica; e l’amore, soltanto lui potrà salvare il mondo. “Quando
l’amore vi chiama, seguitelo” ci dice. L’amore va oltre la vita e la morte
poiché “la vita e la morte sono unite e indivisibili come lo sono il fiume e il
mare”.
Il
logo realizzato da Gibran attribuito al profeta è: “Dio custodisce tesori
sotto
il Suo trono, le cui chiavi sono le lingue dei poeti”.
Firenze, 28 febbraio 2021
Anna Vincitorio
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