Maria Rizzi su “Il ventennio
d’oro del Cinema Italiano” di Borrelli – Palattella Cilento - Graus Edizioni -
Napoli
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Maria Rizzi, collaboratrce di Lèucade |
I tre
Saggisti Ciro Borrelli, Domenico Palattella e Gianmarco Cilento pubblicano con
Graus Edizioni - Napoli “Il ventennio
d’oro del cinema italiano” - Quattro lustri di illustri - con l’ottima
prefazione di Valerio Caprara, professore di Storia e critica del cinema presso
la facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli studi di Napoli
L’Orientale, che termina la sua disamina asserendo che il nostro cinema ‘al
posto delle immersioni nei cento fiori dell’esistente, preferisce rimasticare
il passato con l’aiuto del dozzinale digestivo moralistico - qualunquistico
alla moda’. A fronte dello sconforto più che giustificato del Caprara, i nostri
tre Autori, animati da slancio
creativo,
portano avanti una disamina del nostro Cinema, che rappresenta grande fonte di
arricchimento. Il Saggio parte dal periodo 1956 - 1962, vero e proprio lustro
d’oro, come viene definito dall’Autore Ciro Borrelli, che ho l’onore di avere
come amico e del quale conosco la formazione e i precedenti letterari. Il
saggista avellinese si è interessato a pilastri del teatro e del cinema
italiano come Peppino de Filippo, Totò e Massimo Troisi. Li si potrebbe
definire illustri partenopei, ma personalmente ritengo che nell’Arte non sia
intelligente creare barriere, ma alzare ponti. Questi esponenti del
palcoscenico e del cinema - tranne Massimo Troisi -, li ritroviamo nel lustro descritto con
dovizia di particolari e di aneddoti da Ciro Borrelli, insieme ai protagonisti
della grande scuola del neorealismo: Roberto Rossellini e Vittorio De Sica.
Questo movimento culturale, già presente nella letteratura del ‘900 in
scrittori come Verga, cattura gli aspetti della natura umana sulle pellicole
cinematografiche.
Roberto
Rossellini è considerato il padre del neorealismo e il suo film “Roma Città
Aperta” è il più famoso di questa scuola. Rossellini scelse come protagonista
l’impareggiabile Anna Magnani, considerata una delle attrici più valide in
tutto il mondo. Celeberrimo il suo ruolo della madre nel film di Luchino
Visconti “Bellissima”. De Sica fu superbo rappresentante del movimento con Opere
come “Ladri di biciclette” e “Umberto D.”, che fu l’ultimo film della corrente
neorealista. Del lustro d’oro narrato da Ciro Borrelli fanno parte registi come
Bolognini, Monicelli, che ebbe l’intuito e la fortuna di riunire sul set Totò e
Anna Magnani; Dino Risi e gli indimenticabili attori di quella che si potrebbe
definire la scuola romana, ma per scelta personale, affermo ancora di sentire
l’esigenza di non chiudere l’Arte in recinti: Vittorio Gassmann, Marcello
Mastroianni, Alberto Sordi, Nino Manfredi, Ugo Tognazzi. Talenti di statura
artistica e morale così elevata meritano il carattere internazionale. Peraltro
se gli altri hanno preferito‘la commedia all’italiana’, Marcello Mastroianni ha
fatto la spola tra l’Italia e i set stranieri, ma tutti insieme hanno portato
il cinema italiano a livelli sublimi. Il periodo descritto dal saggista Ciro
Borrelli si conclude con il 1962, anno del film “Il sorpasso”, pietra miliare
del nostro cinema, ed ennesimo trionfo di Vittorio Gassmann. Il grande attore
incarnò con precisione sociologica perfetta, uno spaccato, realisticamente
autentico dell’Italia del boom economico, con tutti i difetti e i pochi pregi.
Il film ha uno stile misurato ed equilibrato e, a dispetto della tiepida
accoglienza dell’epoca, si è guadagnato fama e pubblico nel corso degli anni ed
è entrato a far parte dell’immaginario collettivo. Borrelli introduce anche il
grande Michelangelo Antonioni e la sua Musa Monica Vitti. La loro relazione
siglò per entrambi l’avvio di una folgorante carriera. Prima di incontrarsi,
infatti, l’attrice e il regista non avevano ancora conosciuto il successo, ma
insieme diedero vita a pellicole entrate negli annali della settima Arte come
“L’avventura”, “La notte” e “L’eclisse”. Il libro presenta come cammei, che ne
valorizzano le suggestioni, varie interviste. La prima è condotta da Ciro
Borrelli a Carlotta Bolognini, figlia e nipote d’arte. Ella afferma che per il
padre e lo zio la svolta della carriera fu costituita dall’incontro con Pier
Paolo Pasolini e che il film “Accattone”
di Pasolini fu girato solo grazie alle pressioni che lo zio di Carlotta fece
sul produttore. Nel testo a Ciro Borrelli subentra Domenico Palattella, scrittore,
giornalista e critico cinematografico, e presidente e socio-fondatore
dell’Associazione Cinematografica “La Dolce
Vita”, che nel raccontare il suo ‘lustro d’oro’, analizza gli
anni del boom economico dal 1963 al 1969. Esordisce con il film di Dino Risi
“La marcia su Roma” interpretato da Vittorio Gassmann e Ugo Tognazzi, coppia di
lusso, che viaggiava sulla falsariga di Totò e Peppino, anche se con minor
costanza. Mi piace soffermarmi ad analizzare che i figli di questi attori,
sempre vivi nella memoria del pubblico, sono altrettanto legati e collaborano
in molte pellicole cinematografiche moderne. Gli anni del boom vedono l’avvento
di nuovi attori, come Aldo Fabrizi, Macario, Renato Rascel e Nino Taranto, che
tiene a battesimo il film campione d’incassi del 1964 /65, “Il ginocchio da te”
con Gianni Morandi e Laura Efrikian. Credo sia di grande rilievo l’analisi del
cambio di rotta in fatto di gusti degli italiani in questi anni: presero il
sopravvento sui film d’Autore, i cosiddetti Musicarelli, sottogeneri
cinematografici, che rispondevano a due necessità, la prima squisitamente
commerciale, in quanto supportavano un cantante di fama e il suo nuovo album
discografico; la seconda di costume, perché erano il riferimento costante alla
moda della gioventù, anche in versione vagamente polemica nei confronti di ciò
che si riteneva vecchio, desueto. Per contro Totò e Peppino De Filippo vivevano
stagioni di grande successo e l’incontro con Pier Paolo Pasolini consegnò al
pubblico un’interpretazione del grande Totò a dir poco commovente in
“Uccellacci e uccellini” una pellicola ‘con un occhio al proletariato e uno
alla figura dell’intellettuale’-tratto dal testo -. A metà degli anni ’60
salirono alla ribalta nuovi registi, come Ettore Scola, Luigi Magni, e un
Fellini sempre più stratosferico, unico italiano che riuscì a vincere tre premi
Oscar. Mastroianni si rivelò uno degli interpreti prediletti del regista
riminese, e insieme diedero vita all’Opera “8½”, ‘un gioco di specchi
pirandelliano, omaggio ai film come metafora dei sogni’.- tratto dal testo -.
Attorno al regista si muoveva un gineceo di donne, che includeva anche molte
presenze di culto lontane dal prototipo di donna ‘felliniana’. Si ricordano
Sandra Milo, Anita Ekberg, Anouk Aimeé, Tina Aumo. Va esclusa, ovviamente
Giulietta Masina, moglie di Fellini e protagonista di film memorabili, come
“Giulietta degli spiriti”, “Lo sceicco bianco” , “Ginger e Fred”. Cinquant’anni
di matrimonio tormentato e trenta pellicole insieme a un uomo volubile come le
nuvole e fragile come tutti i grandi Artisti. Si consolidava sempre più il
talento e la fama del Marcello nazionale, affiancato spesso da Sofia Loren,
l’attrice scoperta da Vittorio De Sica, vincitrice di un Oscar nel 1960 con il
film “La ciociara” e candidata nel 1965 per “Matrimonio all’italiana”.
Mastroianni affermava che uno dei suoi personaggi preferiti era Casanova ’70,
nel quale ebbe attorno a sé uno stuolo di dive nazionali e internazionali, come
Virna Lisi, Marisa Mell, Moira Orfei, Margaret Lee. Fu a Parigi che Marcello
Mastroianni conobbe e conquistò Catherine Deneuve, che fu ‘sua croce e delizia’
e lo rese padre di Chiara. La carriera
dell’attore romano, scandita con precisione e nerbo artistico dal nostro
saggista Palattella, fu incredibile, infatti in 58 anni girò 147 film e fece la
storia del cinema mondiale. Dal 1963 al 1969 cominciarono a fiorire i film a
episodi, che furono occasioni per
mettere in contatto voci diverse come il
“Ro.Go.Pa.G.” del 1963 di Rossellini-Godard-Pasolini-Gregoretti con Rosanna
Schiaffino, Orson Welles, Ugo Tognazzi e Jean Mary Bory, ma il film a episodi
si concretizzò soprattutto come un fenomeno popolare. Si partiva da un tema
accessibile e ammiccante e si chiamavano a raccolta i nomi più popolari del
nostro cinema, da artigiani del mestiere a grandi autori. Negli anni ’60 si
affacciò a questo genere l’attore Walter chiari, che ne divenne uno degli
indiscussi protagonisti. Chiari amava molto il mare e accettava di buon grado
copioni balneari in piena ‘Italia della dolce vita”. Furono girati film come
“Intrigo a Taormina”; “Bellezze sulla spiaggia”; “Ferragosto in bikini”,
“Caccia al marito”. Gli attori erano contenti perché lavoravano poco e guadagnavano
bene, gli sceneggiatori mettevano in circolazione le idee che non erano riusciti
a far diventare film autonomi e il pubblico era soddisfatto. A onor del vero questa corrente non ha mai
smesso di avere successo e oserei dire che oggi è la più diffusa, la meno edificante,
e la più remunerata. Negli anni ’60 il cinema a episodi, come sottolinea il
nostro Palattella, aveva nelle sue corde un potenziale enorme e in alcuni casi
vennero prodotti autentici capolavori. Citiamo “Le tentazioni del Dottor Antonio”
con Peppino de Filippo e Anita Ekberg, che ritrovarono De Sica dopo 12 anni.
Memorabili nei film a episodi fu Alberto Sordi, con una delle sue caratterizzazioni
più divertenti nell’episodio “Guglielmo, il dentone”, del film “I complessi”, Manfredi
e Walter Chiari, che l’ottimo Palattella evidenzia anche come attore di film di
grande spessore. Si formò, inoltre, in quegli anni il duo comico Franchi e
Ingrassia, definito dal Saggista ‘la coppia d’oro del cinema italiano’. La
celebre coppia è stata tra i grandi protagonisti del cinema italiano, ed anche
del genere a episodi. In tale filone hanno interpretato più di 20 film e sono
stati premiati, come sempre accadeva loro, da un grande successo di pubblico.
Tra gli specialisti dei film a episodi e della cinematografia in genere è da
ricordare anche la coppia formata da Raimondo Vianello e dalla moglie Sandra
Mondaini. La loro, in coppia, fu una formula vincente, soprattutto nella misura
breve, nella descrizione di sarcastici e divertenti episodi di vita coniugale:
basti ricordare negli anni ’70 e negli anni ’80, i divertentissimi sketch
televisivi che incollavano davanti allo schermo milioni e milioni di italiani. Il
Nostro sottolinea quanto verso la fine degli anni ’60 il cinema diventi lo
specchio del rapporto tra gli italiani e il sesso con l’avvento dei film
erotici, che vide tra i grandi protagonisti Lando Buzzanca. Anche in questa
corrente sono stati girati autentici capolavori, come “Vedo nudo”, con un Nino
Manfredi assoluto mattatore e “Signore e Signori” del grande Pietro Germi, impietoso
ritratto della provincia veneta, raccontato con la crudeltà del moralista che
non ha tenerezze per nessuno. Un vero diamante incastonato nel saggio è
l’intervista di Gianmarco Cilento alla moglie di Nino Manfredi Erminia. Gli
anni ’70 vengono definiti dallo stesso Autore, che peraltro è il più giovane
dei tre, in quanto è del 1992, eppure è Saggista e critico cinematografico,
tant’è che collabora con la testata “DassCinemag” all’Università La Sapienza di Roma, di ‘contestazione
e controcultura’, generate dai grandi cambiamenti avvenuti nella società nel
sessantotto. Il cinema si rinnova. La qualità sembra in calo anche a causa
dell’allentamento dei freni censori e dell’ondata di film a episodi del genere
basso e scollacciato, con attori del calibro di Lino Banfi, Alvaro Vitali e
Renzo Montagnani, coadiuvati da attrici e soubrette in atteggiamenti
ammiccanti, spesso denudate, tra le quali spiccano in bellezza e bravura Gloria
Guida, Edwige Fenech e Barbara Bouchet. In questo contesto storico, c’è anche
un certo tipo di cinema ancorato al passato, che resiste, e in qualche modo si
rinnova, e produce degli autentici capolavori: il cinema dei Gassman, dei
Tognazzi e dei Manfredi per citarne alcuni. In questo periodo due massimi
capolavori del nostro cinema, come “Amici
miei”(in tutti e tre i film della serie)e “Fantozzi”( in tutti e dieci i film
della serie), pur essendo delle commedie e quindi dei film lunghi a tutti gli
effetti, sono influenzati dalla struttura del film a episodi nella “volontaria”
frammentarietà della trama e degli episodi che li compongono. Cilento Analizza
il rapporto cinema - politica, partendo da un momento di grande importanza
storica: l’approvazione del divorzio il 1° dicembre 1970 e mette in luce che il
cinema anticipa
i
tempi, perché il film “Il divorzio” con Vittorio Gassmann diretto da Romolo
Guerrieri esce nell’aprile dello stesso anno. Le pellicole che trattano
tematiche politiche vedono tre grandi protagonisti, i registi Elio Petri, Citto
Maselli e Marco Bellocchio. Spicca tra le altre l’Opera “Indagine su un
cittadino al di sopra di ogni sospetto” di Elio Petri, nel quale convergono l'interesse del regista per i
meccanismi del giallo e del thriller; l'osservazione della società italiana e
delle sue contraddizioni più aspre e la fascinazione per la follia, il surreale
e la dimensione onirica a cui il regista romano aveva già dato sfogo, due anni
prima, con l'horror psicologico. Il nostro critico cinematografico asserisce
che una grande pagina ‘di commedia della
distorsione’ la scrive Lina Wertmuller, realizzando film
capaci di incidere profondamente sulla realtà italiana. Un cinema ribelle,
provocatorio, estremo, immerso nei conflitti socio-economici e negli squilibri
della società; ma anche un cinema barocco, pieno di ironia, allegro,
imprevedibile, iconoclasta e anarchico, insofferente non soltanto alle
convenzioni ideologiche, e ai pregiudizi sociali, ma anche al "perbenismo
linguistico" che mira a sfumare i contrasti del reale. Ne risultano opere
da cui trabocca l’insopprimibile emergere della vita, dell’eros, della
tenerezza; racconti popolati da una galleria di personaggi di maschi e femmine
perennemente in lotta tra loro e contro gli schemi culturali che vorrebbero
incasellarli. Cilento cita inevitabilmente “Travolti
da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto” del 1974, dove si intreccia, tra
Mariangela Melato e Giancarlo Giannini - protagonisti di alcuni tra i film
centrali della Wertmüller -, un doppio conflitto di cui alla fine è difficile
stabilire il vincitore: la lotta di classe e la guerra tra i sessi. Teneri e
spietati sono i suoi ritratti delle classi popolari di cui resta esemplare “Mimì Metallurgico” del 1972 . Straniante la
ricostruzione capovolta dell’Italia fascista che la Wertmüller fa filtrare
nella casa chiusa in cui si svolge “Film
d’amore e d’anarchia” del 1973 mentre “Pasqualino Settebellezze”, del 1977, candidato a quattro premi Oscar, sembra nato da una sorta di
rilettura postmoderna di Eduardo, dove l’autrice per la prima volta utilizza la chiave del
grottesco e della farsa per leggere la tragedia dei lager oltre a darci un
ritratto spietato dell’immobilità del Sud. Il filone della commedia
all’italiana negli anni ’70 vive il suo periodo conclusivo. Cilento dedica ai
lettori una magnifica pagina di cinema con l’intervista a Marco Risi, figlio di
Dino. Questi afferma che per il padre la commedia all’italiana rappresentava un
modo di raccontare la realtà attraverso un neorealismo rosa, ovvero divertente.
Ovviamente non si trattava di commedia fine a se stessa: si rideva, ma si
ricevevano anche seri spunti di riflessione e spesso si assisteva a eventi
drammatici. Gianmarco Cilento si sofferma anche sulla carriera
televisiva di Ugo Tognazzi, intervistando Luciano Salce, regista del programma
“Un due tre”. Salce, in quest’altro
gioiello del Saggio indugia sulla formazione del duo Tognazzi –Vianello, e
sulla mancanza di ambizione cinematografica di Tognazzi, che un giorno confidò
al regista: “Meno faccio al cinema , meglio è! Mentre al teatro devo darci
dentro!” Ovviamente si riferiva al differente spreco di energia creativa che
richiedevano le due attività. I tre Saggisti arricchiscono questo testo
straordinario, di vari approfondimenti, e sono convinta che un libro come
questo andrebbe letto da tutti, in quanto ‘la settima arte’, come R. Canudo, il suo primo teorizzatore,
ha voluto chiamare il Cinema, è senza dubbio la forma di attività artistica che
più di tutte rivela un intimo legame, una precisa rispondenza alle condizioni
economiche, sociali, culturali e artistiche del nostro tempo.
Maria Rizzi
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