giovedì 15 aprile 2021

M. LUISA DANIELE TOFFANIN LEGGE "ZANZOTTO"


L’INNOCENZA DEL CREATO

 

VILLANOVA

 

Torna il sole dopo la neve.

Nel piano è fulgore e luce.

L’azzurro ardente sui colli

candidi splende.

 

Sotto i piedi corre l’ombra

noi camminiamo nel sole.

Per noi vivi nell’ora del sole

non è dolore.

 

Pura è la nostra gioia

nata a dileguare al sole

come la neve.

 

Scenderemo in corsa alle sale aperte

al ballo: dalle finestre

vedremo fanciulle scendere

a chi le attese.

 

In quel tempo, in disparte, la sera

vedrò, non vedute le nuvole.

Sarà il gelo e nelle danze acute

lo stordimento.

 

 

 

Andrea Zanzotto, Le poesie e prose scelte, I Meridiani, 1999

 

 

 

LIGONÀS

 

Quell’intimo splendore

di “c’era una volta” e che

da dirupati anni mi resta diviso

………………………………..

Stillicidi in colline stradine e giardini

e anche là nel mistero che s’addensa ai Palù

che dagli oblò di Ligonàs s’indovinano –

ed è, tutto, colmo calice di nivale dolcezza

di nivale attitudine ad appianare, sanare,

è-in-sé-e-per-sé di neve involata, di soli involati –

Sole, ma timido per geli, ma quasi supplicante

tregue almeno di poche ore, deh!

ore pur sempre d’etra purissimo, ah!

e neve augurata, ma solo di tocco in tocco,

tatti, contatti, feste, agguati placati –

 

appena sopravvivente

ma ben decisa a tutto

sopportare per esistere qui e figurare, adeguare,

verde e polveri e voci di altre ragioni…

E ogni sole e neve, punto di sole o neve

va per beatamente allacciare gli estremi di foco-luce e

di gelo negato-negante, li allaccia per solo un dito

e poi per dita e fiati e fiati e baci e baci

E anche le più avverse potenze nel destino comune

si fanno carezze e nozze e illimiti titillii

fanno corona di gioia-lutto-iddii:

qui il dirupo del ’29, del ’54, del ’63 megainverni

ed altri dirupi di neve-sole di sommi-inverni

si colmano, si ritrovano in seconda fila;

e i bambini in slittino

si lasciano andare appunto di dirupo in dirupo

da dirupi alti tre dita o alti tre millenni

e tutto è bambino in tintinno con loro, indenni

tra gloriuscole-ombra già al primo pomeriggio…

       Fatate dimenticanze già tentano e ritentano,

       magici sottozero

       decine di sottozero, terribili eppure

       dolcemente ridenti, irrisivi fino all’indaco al turchino

       preparano le irte, irsute d’addiacci, nottate

       che ridanno la voce di campo in campo, di annate in annate.

 

Andrea Zanzotto, Sovrimpressioni, Mondadori, 2001 

Le due poesie di Andrea Zanzotto da me avvicinate,  appartengono a periodi diversi: la prima Villanova fa parte delle composizioni giovanili (1938-1942), la seconda Ligonàs è del 1990-2000, età più matura del poeta. Eppure presentano elementi comuni: i luoghi, i paesaggi invernali, la presenza umana, la vita con le sue luci e ombre, certamente trasferiti nei versi con modalità poetiche diverse. In Villanova piace l’atmosfera luminosa del paesaggio collinare in una giornata invernale, accesa dal sole e dal candore nivale, abitata dalla gioia giovane di chi vive il fremito dell’attesa della danza nelle sale animate di giovani, fanciulle in corsa verso la festa per stordirsi nel ballo. Un’età felice ignara della realtà: ci saranno poi le nuvole non ancora vedute, ci sarà il gelo perché la gioia umana è apparentemente pura: si cammina nel sole insieme al poeta  e si avverte che sotto i piedi corre l’ombra; si avverte la fragilità della gioia e il dolore come presenza nella condizione umana. Tutto questo sente il lettore nella scena nitida, presa da vicino nel suo presente, resa con linguaggio immediato, scena che sempre più si interiorizza striandosi di ombre. E chi è in disparte, nella sera leopardiana, vede oltre il paesaggio solare che già muta nella malinconia vesperale.

Nella seconda, Ligonàs, protagonista è ancora il paesaggio invernale delle colline innevate sullo sfondo e dei Palù avvolti nel mistero, visione scrutata dagli occhi-finestra di una casa-trattoria di campagna, appunto Ligonàs, abbandonata poi ricostruita. Luoghi, paesaggi oltraggiati dal degrado ambientale, qui rivisitati in una magica atmosfera memoriale, quella di C’era una volta, quindi di lontananza, suscitano in me il senso di un mondo perduto, rievocato dal poeta  nel suo segreto splendore, nel suo incantesimo, proprio da questa casa con gli oblò quasi casa d’acqua sospesa sugli acquitrini dei Palù. Da qui vivo l’incanto di uno spazio tempo purificato dalla neve che con la sua psicologia appiana colma sana,decisa a tutto sopportare per esistere qui e rifigurare, adeguare,/ verde e polveri e voci di altre ragioni; neve insieme al sole che, con la sua timidezza dovuta al gelo, è pur sempre purissimo e implora di rimanere ancora. Neve e sole, che hanno dentro l’anima del poeta, penetrano così nella vita umana creando legami che si dilatano nel tempo, nei luoghi  per dita e fiati e fiati e baci e baci, nel ricordo di un’età innocente che riacquista la dolcezza di un procedere umano naturale in cui anche le più avverse potenze nel destino comune/si fanno carezze:/ e nozze illimiti titillii/fanno corona di gioia-lutto- iddii. L’uomo qui non è rappresentato come in Villanova, ma rievocato nei suoi gesti, nei suoi riti purificati da questo paesaggio invernale che delinea il giorno, la vita intera, la storia stessa in cui gli anni si ritmano, si contano in relazione ai megainverni. Unica presenza reale sono i bambini sugli slittini, bambini di ieri, di oggi anche, cioè l’innocenza dell’infanzia l’unica che possa coesistere con la purezza della natura. E il pomeriggio bambino già con le prime ombre si tinge nel tramonto invernale di indaco e turchino e prepara le nottate gelide che si ripetono all’infinito nel tempo e nello spazio nottate/che si danno la voce di campo in campo, di annate in annate.

La lettura di quest’ultimo testo suscita in me un senso di stupore e devozione per questa magica rappresentazione della natura che si muove nella sua eternità segnando il tempo umano con la sua potenza, avvolgendo nel suo manto di neve, espressione quasi musicale di armonia ed energia benefica e purificatrice, le vicende dell’uomo ricuperate solo in tracce leggere del suo effimero passare. E pure mi sorprende questo inno all’innocenza del creato nel suo solenne andare così dai primordi in uno spazio illimitato, innocenza che appunto solo nei bambini Zanzotto intravede nel suo desiderio di purezza universale. Mi coinvolge il tutto reso da un linguaggio fatato, incantato, tenero proprio di chi riguarda da lontano la bellezza perduta e colma, ricolma il suo rimpianto, la malinconia sottesa per la terra amata offesa, proprio nella ricreazione di essa in questa storia, leggenda d’inverno.

Due poesie appartenenti a fasi vitali differenti, con elementi comuni visti da prospettive psicologiche diverse, con altra resa poetica proprio per questa distanza emozionale da cui le scene sono rivissute. Un linguaggio quindi immediato realistico in Villanova che diviene in Ligonàs favoloso, fantastico, musicale, trascinante, talora bambino. Mi sento, in umiltà, molto vicina a Zanzotto e al suo sentire: in questa armonia ed energia del creato ritrovo tutta la tensione della mia pur modesta ricerca e della mia scrittura. 

  Maria Luisa Daniele Toffanin


 

2 commenti:

  1. Marisa cara, questo tributo ad Andrea Zanzotto, l'intellettuale di Pieve di Soligo, del quale proprio quest'anno si celebrerà il centenario della nascita, è uno dei tuoi cammei e l'ennesima testimonianza della sensibilità e della grandezza della tua anima. La lirica tratta dai versi giovanili presenta in nuce le peculiarità della produzione poetica successiva, ma come giustamente sottolinei, si sofferma sulla osservazione
    riflessiva del paesaggio, sia come ambiente concreto, sia nei suoi tratti pittorici e figurativi. Zanzotto valorizza gli elementi naturali e il piccolo borgo, ovvero il suo territorio, da cui egli sembra osservare il mondo come da un angolo protetto. Seducente, allegro e al tempo stesso disilluso il Poeta inizia il proprio viaggio verso la consapevolezza della fragilità dell'uomo. Con una disamina alata svolgi poi l'esegesi della lirica "Ligonàs", che già nei primi versi narra l’incanto di un suo paesaggio perduto, rivisitato dalla memoria poetica come luogo dell’innocenza rigeneratrice della natura e dell’infanzia. Posso dirti da umile ascoltatrice di questo incanto, delle due voci, tua e di Zanzotto, che l'assonanza che avverti è molto forte, 'la sua armonia e l'energia del creato' sono tematiche che vi accomunano e creano la famosa affinità elettiva... dono raro e bellissimo. Mi complimento per l'omaggio e plaudo i due Poeti e le loro voci che accarezzano e arricchiscono. Un forte abbraccio, amica mia!


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  2. Grazie di cuore per questa armoniosa corrispondenza. Marisa

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