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giovedì 1 aprile 2021

FRANCO CAMPEGIANI LEGGE: "I GIORNI DELLA NEVE" DI LOREDANA D'ALFONSO

   I giorni della neve (Tracce Edizioni), di Loredana d'Alfonso

Franco Campegiani,
collaboratore di Lèucade
 

Nella collana Scritture e orizzonti diretta da Francesco Paolo Tanzj, l'Editrice Tracce ha di recente pubblicato il testo poetico I giorni della neve di Loredana D'Alfonso, nota giallista gradatamente approdata ad una prosa al tempo stesso realistica e psicologica, dove l'attento ed impietoso occhio fotografico, tipico del giallo, s'impasta con una ritrattistica interiore di particolare finezza e intensità. Degno di nota, in questo processo scritturale, è il recente L'equilibrista del tempo, dove racconti non polizieschi danno vita ad un altissimo messaggio morale radicato nel cuore della cruda realtà. Ne risulta una pietas assolutamente priva di pietismo, fatta di sanguinanti sconfitte e di sussulti intimi, di veri e propri scatti e riscatti della personalità.

Ed è in questa nuova avventura - I giorni della neve - che tale orizzonte catartico trova maturo compimento, cavalcando un'onda nuova, del tutto nuova, per la scrittrice, la poesia. Un'onda che l'ha colta di sorpresa, si può dire folgorandola con lo stesso fulmine che ha colpito e stecchito il suo uomo sul bordo di un marciapiede, non molto tempo fa. E' lei stessa a ricordarlo nella poesia che s'intitola Freddo, dove rammenta l'orrore ed il pianto legati al triste evento, quando si trovò a raccogliere l'ultimo respiro del suo uomo sul marciapiede di febbraio. Nelle proprie braccia, lo ha accolto, "come melagrana spaccata / come albero cavo / come nido d'amore".

Una vicenda personale particolarmente traumatica, che doveva trascinarla nel gorgo della disperazione, richiedendole uno sforzo di accettazione e rinascita davvero fuori dal comune. Una ferita dolorosissima ("Purtroppo / Il Sole cadde. / E non vi fu rimedio") che con fatiche titaniche lei tenterà di suturare. A sostenerla la certezza (umanissima, per me, ma religiosa per lei) che fa del dolore un viatico verso l'evoluzione spirituale. Una poesia che nasce dalla vita, dunque. Che è come dire dalla morte, dal regno del limite, dell'assenza, della negazione, svelando il rovescio della medaglia (la pienezza, l'assolutezza, l'affermazione), che non è una chimera, ma una componente ineliminabile, seppure nascosta, della vita e della realtà.

Il Vuoto esiste in quanto esiste il Pieno. E viceversa. Sta qui il miracolo dell'arte, dove il Bianco non fa che evocare il Nero, e il Nero il Bianco, rigenerandosi vicendevolmente al tocco dell'Universale, dell'Assoluto. Quando si leggono poesie di tal fatta, si comprende il vero valore dell'arte che nasce dalla vita, dove balena il Tutto/Nulla per una rigenerazione costante di energia. La neve, ossia l'inverno, è una magnifica metafora di questo rinnovamento doloroso. Un mesto e vittorioso annuncio della primavera. Immersa nella coltre gelida e bianca, che intorpidisce i sensi, la poetessa va in letargo, spogliandosi di ogni veste, di ogni maschera e sovrastruttura, restando nuda di anima. E' così che sfida se stessa, scoprendosi capace di sopportare tutto, come un ramo stecchito.

Ed è un ritorno in se stessa, nel proprio silenzio interiore, senza niente da dichiarare, senza esternazioni, contrariamente ai tanti fiori capricciosi che fanno la ruota del pavone e, ciarlando, sfioriscono alla sera, terrorizzati dal silenzio notturno che incombe su di loro. La poetessa al contrario ama questa condizione di leggerezza e di assoluta libertà, questo sfrondamento che le impone di risvegliare l'essenza che è in lei. La versificazione segue questa stessa sete di essenzialità, come del resto accade anche nella sua prosa. Sono versi scarni e scabri, che appaiono in un guizzo di luci e tenebre avvinghiate tra di loro: "Buio ovunque. / Ma dai vetri rotti / Forzano / Giochi di luce / Impigliati nella polvere".

La morte è irrevocabile, ma la poetessa sa attendere il risorgere dalle proprie stesse ceneri dell'Araba fenice: "sulle ossa (scarnificate) / ricomparirà / la carne dell'esistere". Tutto ciò non è ancora accaduto, ma lei sente che sta accadendo ed accadrà. Una sfida con se stessa, assai impervia, che sente di poter superare. I ricordi di Carlo, tutt'altro che funerei, sono pieni di colori che le arabescano la vita: un mosaico di "marmi policromi", un viaggio avventuroso nell'esistenza, con "Il blu petrolio / Dei nostri no / Il giallo caldo / Dei nostri si". Una vita intensa, nel silenzio della parola: "Parlavamo senza parlare / Non c'era nulla da aggiungere / a ciò che vivevamo. / Sapevamo tutto quello / che c'era da sapere".

Un amore vissuto in essenza: "Parlavamo senza parlare / Non c'era nulla da aggiungere / a ciò che vivevamo. / Sapevamo tutto quello / che c'era da sapere". Ed è un rincorrersi reciproco, tra i due. Anche al di là dell'esistenza. Lei segue i suoi passi sulla neve, ma quando la neve ne cancella le tracce, lei lo perde di vista, finché voltandosi s'accorge di orme che seguono le sue. Non è l'amore di Orfeo per Euridice, destinato a scomparire per sempre al primo soffio di vento, facendo precipitare il cantore nella follia. Il dolore di Loredana è immenso, ma lei sa che l'amore è in grado di superare ogni barriera.

Sa che la corazza dell'Io, la "maschera bianca" di se stessa, deve rompersi per fare emergere un volto nuovo, "un sorriso / che conosce / una gioia conquistata / a mani nude / Sanguinanti / In risalita. /... / E dalle crepe / Insieme a sangue e siero / Trasuderà Amore". "In un mondo di coloro che credono soltanto a ciò che vedono", scrive acutamente Sandro Angelucci in prefazione, qui si prova a "vedere l’invisibile, tentare un percorso diverso da quello stabilito, capovolgendo i termini: non accettare passivamente significa spingersi oltre l’assoda­to... Chi è allora il fatalista? Si, è proprio lui: colui che crede soltanto a quello che vede". Trappola in cui cade lo stesso metafisico (?) Orfeo, che si volta per accertarsi se davvero Euridice lo segue.


 Franco Campegiani

 

                                                                                                                           

2 commenti:

  1. Carissimo Franco,

    Non ho parole per ringraziarti di questo dono prezioso che coincide con i giorni vicini alla Pasqua, alla Resurrezione. E davvero tu hai saputo leggere in profondità il dramma che mi ha colpito e, nello stesso tempo, l' Amore, quello vero, che permette a ciascuno di noi, colpiti dagli inevitabili dolori della vita, di rialzarsi, guardare il Cielo e continuare a camminare.

    Hai toccato ogni corda, ogni tasto del mio cuore..
    L' importanza della poesia che mi ha scavato l'anima e nello stesso tempo l' ha riempita del lievito dell'Amore...
    Grazie ancora, caro Amico, sono onorata dalle tue bellissime parole.

    Un abbraccio che estendo al nostro Nume tutelare che protegge Leucade e che permette questi miracoli,

    Loredana D'Alfonso

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  2. Caro Franco, hai saputo dare l'ennesimo volto alla catarsi poetica della nostra adorata amica, catarsi che si è rivelata un'autentica predisposizione. Come precisi il Vuoto dà motivo al Pieno di esistere, la tua teoria si palesa in tutta la sua universalità, e Lory in quest'Opera nata dall'assenza, ha scoperto che la neve preannuncia la primavera. Straordinario il seguente passaggio: "Ed è un rincorrersi reciproco, tra i due. Anche al di là dell'esistenza. Lei segue i suoi passi sulla neve, ma quando la neve ne cancella le tracce, lei lo perde di vista, finché voltandosi s'accorge di orme che seguono le sue'. Ricorda una bellissima preghiera oltre alla favola di Euridice e Orfeo... Sei stato così esaustivo, accorato e ispirato che aggiungere significherebbe sottrarre... per usare la teoria dei contrari. Mi complimento per l'esegesi, rinnovo il plauso alla nostra Poetessa, vi auguro giorni lievi e vi abbraccio forte!

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