Lucio Zaniboni su “La testa tra le mani” (2016) di Lorenzo Spurio
Lorenzo Spurio,
collaboratore di Lèucade
La testa tra le mani di Lorenzo Spurio, silloge prima
classificata al “Premio Letterario Nazionale Patrizia Brunetti” di Senigallia,
può essere letta più come un poemetto che una raccolta poetica.
L’idea
che guida il lavoro è la visione di un mondo che avrebbe bisogno di una correzione
per le negatività che si riscontrano in ogni sua parte.
L’incipit è la dedica ai terremotati di
Amatrice e dei territori limitrofi; si prosegue con quella ad Antonia Pozzi per
giungere alle stragi di Bruxelles e al “Lamento per le donne yazide”.
C’è
una forte tensione lirica a reggere lo sviluppo, ma anche politica nel senso
più vero e migliore della parola.
Il
mondo è soggetto all’ingiustizia, sia essa pubblica o privata e la sofferenza
si dilata come i cerchi concentrici, per un sasso lanciato, in uno specchio
d’acqua. Il poeta è partecipe di questa pena, la vive, perché sa: “che è difficile dire” e, aggiungiamo
noi, ancor più farsi percepire.
“La ruggine par che non arda: / ho chiesto
alle poche pietre / di ascoltare un canto di sfogo / ma irrorate dalla
vigliaccheria, / mute hanno assistito alla tragedia”.
Fra
quelle pietre ci siamo noi che rimaniamo sordi al pianto dei sofferenti,
indifferenti alla tragedia di milioni di esseri ridotti allo stremo, calpestati
e privati di ogni diritto.
Il
grido di dolore dell’umanità prosegue con la visione del luogo in cui Reyhaneh
Jabarri è stata sepolta dopo l’impiccagione e ancora con la fiumana di genti in
fuga da morte e fame verso il territorio ungherese e una nuova terra in cui
ritrovare la vita.
È
questa di Lorenzo Spurio, un’opera che unisce all’alto valore etico una
liricità sorprendente.
Filosofia
e poesia sono in simbiosi perfettamente. Il poeta riesce a librarsi ad alta
quota, cosa ardua per chiunque imbocchi questo duplice binario, senza cedimenti,
cadute di vento e riprese di volo.
D’altra
parte ha dato prova della sua validità in diverse altre opere di poesia,
narrativa e saggistica.
Particolare
qui, intima, incisiva, e a mio parere chiave di lettura della raccolta è la
lirica “Colloquio”, interrogativo e muto dialogo poeta-terra.
È
colpevole la terra dell’iniquità della vita sul suo suolo?
“L’Atomo
opaco del male” non risponde, ma addita quanto vi è attorno, sulla terra e in
cielo. Indica così che tutto obbedisce alle leggi naturali cui terra e cielo
devono sottostare e così tutte le creature, sino alle più microscopiche.
È
l’eterno problema, questo del mondo, che ha unito scienza, filosofia e poesia
alla ricerca di risposta. Soltanto la fratellanza, ci ha detto il Pascoli, può
mitigare il dolore dell’umanità.
Leopardi
lo ha dichiarato universale e inevitabile, mentre il Manzoni ha superato
“l’impasse” degli scogli della vita con il concetto della Provvidenza che guida
il cammino della storia e dei singoli, secondo un disegno divino. Ad ogni uomo
prove da superare per acquisire il merito per la “vita futura”.
Lorenzo
Spurio ci dà conferma di quest’ultima fede nei versi di “Sezione 98 del
Cimitero Behesht-e Zahra”, “Leggi tribali
osano l’Assoluto e triturano tutto…”.
La
fede affiora e risolve l’interrogativo suo e nostro.
La
testa tra le mani è senz’altro fra le opere recensite recentemente quella che
più mi ha convinto.
Mi
piace terminare questo mio breve intervento lasciando Spurio a continuare (da
“Difficile dire”): “Per di più era
successo / anche se il lambrusco era mezzo. / Quei ninnoli impolverati / erano
ormai diventati una pietra / incorruttibile e filosofale. / Sodoku spezzati da
vette di grafite / perse in giro, / un po’ per malcuranza, agognando
reminiscenze del futuro./ Incollavo frammenti di scontrini stinti / e leggevo
biglietti d’avvertimento / per sentire compagnia /in quella terra desolata e
lagnante. / Imprigionai la testa nelle svogliate mani / per ingabbiare
gl’incorruttibili pensieri, / di notte, andando a letto, mi accorsi che era
ancora giorno”.
Raccolta
poetica che sicuramente lascerà il segno.
Prof. Lucio Zaniboni
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